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Assemblea Diocesana 2021: sintesi della giornata

«È necessario uscire dalla comoda presunzione del “già saputo” e mettersi in movimento, andare a vedere, stare con le persone, ascoltarle, raccogliere le suggestioni della realtà, che sempre ci sorprenderà in qualche suo aspetto» (Papa Francesco, messaggio per la 55a Giornata delle Comunicazioni Sociali 2021).

 

Immagine2.jpgDopo la “pausa forzata” causata dalle restrizioni pandemiche dello scorso anno, si è potuta tenere venerdì 29 ottobre 2021 la consueta assemblea diocesana di inizio anno pastorale per l’Arcidiocesi di Bari-Bitonto presso l’Auditorium della Scuola Allievi della Guardia di Finanza in Bari-San Paolo.

Va sottolineata anzitutto una buona partecipazione “in presenza” delle comunità parrocchiali, sacerdoti, laici, comunità religiose ed associazioni laicali che hanno risposto all’invito dell’Arcivescovo alla partecipazione.

 

Immagine1.jpgLa preghiera iniziale ha preparato ed introdotto la Lectio su At 10,1-11,18 tenuta da don Angelo Garofalo, docente di Sacra Scrittura presso la Facoltà Teologica Pugliese.

Commentando l’episodio della conversione del centurione Cornelio, don Angelo ha sottolineato che la “Parola chiave” per la comprensione del brano è un termine tanto caro a Papa Francesco: “in uscita”. La comunità di Gerusalemme – ha ricordato - a partire dal giorno di Pentecoste, ha iniziato a crescere a dismisura, fino a quando l’orizzonte cittadino non era più sufficiente affinché la buona notizia di Cristo prendesse il largo. Anche se spinta da un episodio drammatico (la lapidazione di Stefano e la successiva prima persecuzione), la comunità di Gerusalemme ha intuito che questi fatti sanguinosi fossero «tempo opportuno» per adempiere al mandato che Gesù aveva consegnato ai discepoli nel giorno dell’Ascensione: «Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8).

Una comunità in evoluzione che si è lasciata interpellare dagli eventi, illuminati dalla Parola di Dio e dalla voce dello Spirito.

L’annuncio ha così incontrato e coinvolto le categorie umane più disparate, specie quelle considerate escluse. Un movimento “in uscita” appunto, che coinvolgerà anche i cosiddetti “gentili”, i pagani.

La conversione di Cornelio da parte di Pietro diventa così un episodio simbolico di questo movimento, di questa apertura al mondo.

Ciò che accomuna Pietro e Cornelio il “timorato di Dio” è la pratica della preghiera assidua. E’ nel contesto delle loro preghiere, infatti, che entrambi ricevono la visione angelica.

La dimensione della preghiera rappresenta il contesto ideale per l’irruzione di Dio nell’esistenza di questi due uomini, così diversi, ma accomunati entrambi dal desiderio di realizzare la volontà di Dio nella loro vita.

Il Signore, attraverso questa visione, prepara Pietro ad una conversione totale dello sguardo: non ci sono esseri umani che possano essere detti impuri, vale a dire indegni di partecipare al disegno di salvezza. Egli, pur non comprendendo pienamente il significato della visione, è disposto ad attendere che il Signore gli offra maggiore chiarezza. Gli eventi successivi, infatti, gli suggeriranno l’importanza di volgere particolare attenzione alla realtà che lo circonda. È attraverso di essa che Dio chiarisce il suo disegno.

Una ulteriore condizione per la comprensione è la disponibilità a mettersi in cammino, ed ancora più necessaria, la dimensione dell’incontro. Quando finalmente il «puro» e l’«impuro» si incontrano, Pietro capisce che Dio gli mostra che non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo.

Come afferma il Documento preparatorio al Sinodo «È nell’incontro con le persone, accogliendole, camminando insieme a loro ed entrando nelle loro case, che (Pietro) si rende conto del significato della sua visione: nessun essere umano è indegno agli occhi di Dio» (Documento preparatorio – Sinodo 2021, n. 23).

Da questo racconto, così ricco di dettagli, apprendiamo che l’annuncio del vangelo è davvero efficace e dirompente solo se vissuto come atto comunitario di obbedienza a Dio e se si ha il coraggio di andare verso il nuovo, l’inaspettato, il totalmente inedito, lasciandosi condurre dalla freschezza dello Spirito.

«Vivere il Sinodo», auspicava il nostro vescovo Giuseppe, a conclusione della sua omelia del 16 ottobre scorso, «ci aiuti a riascoltare la voce dello Spirito che precede la Chiesa e la orienta nel suo cammino».

 

Immagine3.jpgDopo la meditazione biblica, la prof.ssa Giuseppina De Simone, docente presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale Sez. San Luigi in Posillipo, ha tenuto la sua riflessione su “La sinodalità come stile”, argomento centrale dell’Assemblea.

Una delle prime domande che sicuramente ci siamo posti – ha introdotto – è quella di chiederci a che cosa serve un Sinodo o un Cammino sinodale. Riprendendo ciò che viene riportato nel Documento Preparatorio, «lo scopo del Sinodo, e quindi di questa consultazione, non è produrre documenti ma “far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro, creare un immaginario positivo che illumini le menti e riscaldi i cuori”. (Francesco, Discorso all’inizio del Sinodo dedicato ai giovani, 3 ottobre 2018)» (Documento Preparatorio). In altri termini, il cammino sinodale si propone di suscitare un’alba di speranza.

Ed è sempre il Documento Preparatorio a rispondere ad un altro interrogativo di fondo: «Come si realizza oggi (…) quel “camminare insieme” che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo, conformemente alla missione che le è stata affidata; e quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere come Chiesa sinodale?». (Documento Preparatorio): il camminare insieme della e nella Chiesa non rappresenta uno stile ma è nella sua sostanza. Nel come c’è il che cosa.

Per questo è indispensabile un invito alla conversione per aprirci all’azione dello Spirito, come vento che apre le porte e saper cogliere anche nelle difficoltà (le chiese vuote, il tempo della pandemia) il coraggio di lasciarsi interrogare da ogni crisi e chiederci con quale volto la Chiesa si lascia incontrare, quale Chiesa sogniamo, quale Chiesa sogna ed attende la gente comune, quale Chiesa è nel sogno di Dio, avendo il coraggio di far risuonare queste domanda nella vita ordinaria delle nostre comunità.

Questo cammino sinodale è dunque una straordinaria occasione di Grazia, anzitutto perché possiamo spostare lo sguardo da noi a Dio e domandarci: qual è il Suo desiderio, il Suo sogno, che ci viene incontro “nel grido del popolo”?

E poi perché possiamo ascoltare le voci di tutti attraverso una consultazione ampia e diffusa per far sì che si realizzi una Chiesa per tutti.

Attraverso il valore dell’ascolto si riesce a fare spazio raccogliendo i vissuti che ci interpellano, ad andare oltre l’accidia pastorale e a ogni forma di chiusura, ad imparare a lavorare in rete nella Chiesa e non solo, esercitando l’arte del dialogo e della testimonianza ed essere fermento di speranza sul territorio e per la vita delle persone.

Questa è dunque la scommessa: ridare entusiasmo «riconnettere la nostra vita a Dio in un rapporto intimo, profondo, che nutra i ritmi del vivere e riscaldi l’esistenza aprendola con fiducia all’altro. Ripartire da Dio per ripensare l’identità di un cristianesimo che guardi alla Chiesa, alla sua iscrizione territoriale non contro ma dentro l’attuale cultura». (Mons. Giuseppe Satriano, Cassano delle Murge 4-5 settembre 2021).

Ed infine uno sguardo nelle nostre Comunità: quale la loro corresponsabilità? Su che cosa si edificano?

Andando oltre la distinzione “dentro” e “fuori” che spesso caratterizza lo stile delle Comunità, siamo chiamati ad edificare una Chiesa estroversa perché centrata in Cristo e presente nel mondo, in cammino verso il Regno, con il passo degli ultimi.

Avviandosi verso la conclusione, la prof.ssa De Simone ha sottolineato l’importanza degli strumenti che ci sono stati consegnati per questo cammino, vale a dire i dieci nuclei tematici, come sfaccettature della sinodalità vissuta e le schede esemplificative del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, e ha suggerito alcune indicazioni di metodo: anzitutto liberare la creatività, la passione, l’entusiasmo, mettendo al centro il protagonismo delle Chiese locali e di ogni singola comunità.

La parola chiave per questo cammino è partecipazione: partecipi di una comunione che è affidata alle nostre mani di una sinodalità che è la sostanza della vita della Chiesa e per questo è la sua forma.

Necessario allora riconoscere il “kairos”, come tempo e luogo di grazia in cui risuona per noi l’invito del Signore a uscire, a mettersi in cammino dimorando in Lui, nel contesto del Mediterraneo, il mare del “tra”.

Questo è il tempo (questo e non un altro) e questo è il luogo per accendere la speranza.

 

La riflessione ha suscitato numerosi quesiti, suggerimenti e stimoli che sono stati raccolti attraverso dei biglietti consegnati in sala sui quali si chiedeva di scrivere eventuali considerazioni e domande. Alcuni di questi sono stati letti in sala, suscitando ulteriori interventi da parte della relatrice e dell’Arcivescovo. Tutte le considerazioni pervenute sono state comunque conservate e lette con attenzione.

 

Immagine4.jpgAll’Arcivescovo mons. Giuseppe Satriano, le ultime considerazioni prima della conclusione.

Ciò che è importante – ha sottolineato – è camminare. Il cammino non è un fatto “magico”, occorre innanzitutto mettersi insieme per camminare.

È un percorso quello intrapreso che si va definendo; non mancano dubbi, incertezze, perplessità, anche in seno alla CEI. Ma, specie in questo primo anno, è necessario fare piccoli passi, vivendo un ascolto sereno, possibile, disteso e semplice, così come ogni comunità riesce con sincerità e autenticità a fare, vincendo tutti quei “ma” che spesso poniamo come alibi per non fare, evitando “l’accidia pastorale”.

Tutti, in ogni ambito e in ogni grado, saremo chiamati a vivere degli spazi sinodali semplici. In diocesi stiamo strutturando questo cammino attraverso la scelta di due referenti (don Enrico Dabbicco e la prof.ssa Annalisa Caputo) che formino un’equipe che possa lavorare per accompagnare il nostro cammino e fornire una possibilità di lavoro sulle sintesi che ogni vicaria sarà chiamata a produrre.

Ci siamo anche posti – ha aggiunto – il tema della “strada”, che è un tema molto complesso da approcciare, affidando questo tema ad alcune realtà pastorali presenti in diocesi – gruppi, movimenti – che sulla “strada” sanno starci.

Anche la formazione di alcuni coordinatori, come ulteriore servizio messo a disposizione delle comunità, rappresenta una opportunità per animare un ascolto “ricco di parresia”.

C’è un atteggiamento necessario da assumere che è quello della conversione, condizione necessaria per imparare ad ascoltare e attraverso l’ascolto, imparare che questa conversione riguarda il cammino istituzionale, il modo di essere laici impegnati, il modo di leggere la storia e la cultura di questo tempo.

Non si tratta di fare un “make up” per apparire tutti “belli, bravi e buoni”, ma la sfida che ci viene offerta attraverso questo tempo di grazia è quello di rifondare, rivisitare, riabitare un “noi” ecclesiale.

Anima di questo processo di cambiamento e di conversione è proprio il rimettere al centro come uno spazio da abitare, con tutte le fatiche, la relazione, uno stile di prossimità autentico, che siamo chiamati a recuperare attraverso un ascolto umile e disponibile, capace anche di accogliere il dissenso per ridisegnare questo “noi ecclesiale”.

 

La preghiera finale e il canto alla Vergine Odegitria hanno concluso questo incontro assembleare.

Video integrale dell'Assemblea Diocesana

 

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