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S.E. Giuseppe

Satriano

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«La Porta Santa che oggi, insieme, abbiamo potuto varcare ci incoraggi a edificare la nostra Chiesa diocesana come una casa aperta, un grembo di misericordia, uno spazio di fraternità»

Omelia di S.E. Mons. Giuseppe Satriano nel Pellegrinaggio Giubilare dell'Arcidiocesi di Bari-Bitonto. Basilica di San Pietro – Altare della Cattedra, venerdì 19 settembre 2025

Carissimi fratelli e sorelle,

siamo qui come popolo di Dio in cammino. Siamo giunti numerosi, più di milleduecento, da parrocchie e comunità, portando con noi la vita, le ferite, le attese e i sogni della nostra Chiesa di Bari-Bitonto. Grazie a ciascuno per la fede e la gioia che avete messo in questo pellegrinaggio, e grazie a quanti hanno lavorato per renderlo possibile.

Il nostro saluto affettuoso va al Santo Padre, Papa Leone XIV, che ci conferma nella fede e ci ricorda che «il Giubileo è tempo in cui la speranza si fa cammino condiviso e volto di misericordia per il mondo».

Ringraziamo il Cardinale Mauro Gambetti per l’accoglienza in questa Basilica, il Dicastero per l’Evangelizzazione e il suo pro-prefetto, l’arcivescovo Rino Fisichella, per la cura e l’organizzazione di questo tempo di grazia.

La Parola di Dio proclamata ci apre a uno sguardo edificante con il quale scrutare l’esperienza che stiamo vivendo.

Paolo, nella prima lettura, invita Timoteo a combattere la buona battaglia della fede e a tendere verso giustizia, pietà, carità, mitezza. È un invito a non lasciarsi intrappolare dall’avidità e dall’egoismo che corrodono l’anima, ma a vivere con cuore capace di libertà. Una libertà che è propria di quanti non pongono la propria vita nella logica del possesso, del piacere o del guadagno.

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Bene abbiamo cantato con il salmista: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli», ribadendo che felice è colui che sa dipendere con fiducia da Dio.

In questa luce, il Vangelo di Luca ci porta a contemplare i Dodici e le donne guarite da ferite profonde che accompagnano il Maestro, e insieme a lui attraversano città e villaggi. Sono uomini e donne toccati dalla misericordia che diventano compagni di strada, testimoni del Regno di Dio, già presente in mezzo agli uomini.

È questa l’immagine della Chiesa: non un esercito di perfetti, ma una comunità di guariti, di misericordiati – avrebbe detto papa Francesco – che portano nel mondo la memoria viva di un perdono ricevuto.

Varcare la Porta Santa significa accogliere questa logica: riconoscere di essere peccatori, affidare al Signore la nostra fragilità e ricevere da Lui perdono, libertà, futuro. È un gesto che ci immerge nella “bellezza struggente” dell’amore misericordioso di Dio. Egli non si limita a cancellare il male, ma lo trasfigura, lo piega in bene; così noi peccatori siamo rigenerati come figli.

Da questa misericordia sgorga la speranza: non un ottimismo ingenuo, ma la certezza che Dio continua a scrivere una storia di salvezza con ciascuno di noi, risollevandoci dalle nostre cadute.

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Il mondo di oggi geme sotto il peso dell’odio, della violenza, della guerra. È un mondo segnato da tante ferite, personali e collettive. In questo scenario noi siamo chiamati a essere guaritori feriti. Non portatori di ricette facili, ma uomini e donne che hanno sperimentato su di sé la potenza risanante del perdono di Dio e per questo possono farsi prossimi a chi è schiacciato dal dolore.

Un guarito diventa a sua volta guaritore: non perché ha dimenticato la propria ferita, ma perché l’ha consegnata a Cristo e ne ha visto scaturire speranza. Pensiamo a Maria di Magdala, liberata da sette demoni, che diventa testimone del Risorto. Pensiamo a tante donne e uomini che, incontrando la misericordia, hanno ritrovato dignità e coraggio e hanno saputo farsi compagni di viaggio per altri.

Il Giubileo consegna a ciascuno questo mandato: non restare spettatore, ma diventa testimone credibile. Non vivere da rassegnato, ma da seminatore di speranza. Non avere paura delle tue fragilità, perché proprio lì la grazia di Dio si manifesta con più forza.

Tornando a casa, nelle nostre parrocchie, nei quartieri, nelle famiglie, non possiamo limitarci a dire “c’ero anch’io”.

Il nostro passaggio attraverso la Porta Santa ci ha resi responsabili di un dono. Proviamo a tradurre questa esperienza in gesti concreti: accogliere chi è perso, ascoltare chi è ferito, consolare i malati, accompagnare i giovani, tessere pace dove regna il conflitto.

Il mondo attende cristiani capaci di guardare oltre la violenza e l’odio, cristiani che sanno rialzarsi per sostenere i fratelli, cristiani che vivono con la forza mite della speranza.

Papa Leone XIV ci ha detto fin dal primo giorno del suo ministero: la Chiesa è chiamata a essere lievito di unità e di pace, segno di speranza in un mondo lacerato da divisioni e paure.

Noi siamo arrivati qui, davanti alla tomba di Pietro, per rinnovare la nostra fede in Colui che non delude. Le nostre comunità tornino da Roma con il cuore più saldo nella comunione e la voce più audace nell’annuncio.

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Siamo pellegrini di speranza: testimoni di un Vangelo che consola, che rialza, che apre orizzonti. Non lasciamo che le fatiche o le ombre del tempo presente spengano la fiducia.

Camminiamo per chi non è qui con noi, per chi è rimasto a casa e ci ha chiesto una preghiera, per i malati, per gli anziani, per gli amici, per i nemici. Camminiamo per chi è costretto a lasciare casa per andare dove non vorrebbe, per i deportati, per i perseguitati, per le vittime delle guerre, per i migranti.

E la Porta Santa che oggi, insieme, abbiamo potuto varcare ci incoraggi a edificare la nostra Chiesa diocesana come una casa aperta, un grembo di misericordia, uno spazio di fraternità. In questo modo la speranza non sarà soltanto parola, ma diventerà vita che profuma di Vangelo.

Affido tutto alla Vergine Odegitria, Madre della Speranza. Lei che ha saputo rimanere in piedi sotto la croce ci insegni a non perdere fiducia nei momenti bui.

Giuseppe Satriano

Arcivescovo di Bari-Bitonto

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