«Grande progetto educativo per fare rinascere il Sud»
Ma le  denuncie “non bastano”, perché “per sconfiggere la mafia c’è bisogno di  un preciso intervento educativo”: “è su questo terreno che si gioca il  ruolo decisivo della Chiesa nel Sud”. Lo ha detto Giuseppe Savagnone,  direttore del Centro diocesano per la pastorale della cultura di  Palermo, nella sua relazione alla Settimana Sociale, incentrata sul  documento “Chiesa italiana e Mezzogiorno”. “In mancanza di questo  rinnovamento culturale, nessuna innovazione giuridica può risultare  decisiva”, ha spiegato il relatore, secondo il quale “proprio a questo  livello culturale la comunità cristiana sa di dover fare sempre più  coerentemente la propria parte, traendo precisamente dal Vangelo – e non  da un generico codice etico – l’ispirazione per un impegno sempre più  pienamente umano”. Savagnone ha citato gli esempi di don Pino Puglisi,  don Giuseppe Diana e Rosario Livatino, ma anche le “battaglie civili,  condotte soprattutto dai giovani”, per sconfiggere la mafia. 
 
“Resta,  però – ha proseguito Savagnone – lo scandalo di un territorio su cui i  cattolici hanno un capillare e profondo radicamento, più che al Nord”, e  nel quale “le Chiese debbono ancora recepire sino in fondo la lezione  profetica di Giovanni Paolo II e l’esempio dei testimoni morti per la  giustizia”. “Non si tratta di invocare un assistenzialismo che sarebbe  fatale, ma di suscitare, partendo dalle potenzialità già presenti, nuove  mentalità e nuovi stili di comportamento da parte della stessa gente  del Sud”, ha osservato il relatore, secondo il quale “la società  meridionale non ha bisogno di un ente assistenziale in più, o di un  supporto alla lotta contro la mafia che venga in soccorso alle  istituzioni politiche, esercitando una funzione di supplenza”. Non si  tratta, perciò, “di assumere, come fanno alcuni presbiteri e laici,  modelli profani di linguaggio” mutuati dalla “cultura laica, o più  banalmente nei mass-media”. Si tratta di “imparare a dire le ragioni  cristiane dell’impegno per la promozione umana e per un rifiuto radicale  della mafia”. Perciò il Sud “non ha tanto bisogno di ‘preti  anti-mafia’, quanto di presbiteri come don Pino Puglisi, che non lo fu  mai, perché scelse di essere fino in fondo solo un sacerdote”, che  “seppe magistralmente coniugare”, soprattutto con i giovani,  evangelizzazione e promozione umana. 
 
“La presenza costruttiva  della Chiesa nel Meridione non è affidata solo ai documenti ufficiali e  alle figure eccezionali dei suoi martiri, ma allo stile di vita delle  comunità ecclesiali”. In questa prospettiva, per Savagnone, “le Chiese  del Sud sono chiamate a dare il loro essenziale contributo, con la loro  pastorale ordinaria, prima ancora che con singole denunzie”, mettendo  mano ad “un grande progetto educativo” che “affronti alla radice,  partendo dalla formazione delle persone, i problemi culturali”,  attraverso “una profonda trasformazione della pastorale”, a partire da  un nuovo protagonismo dei laici. “Troppe volte ancora – la denuncia di  Savagnone – la nostra pastorale è affetta da una schizofrenia che da un  lato neutralizza la valenza laica dei fedeli quando si trovano  all’interno del tempio e assegna loro esclusivamente un ruolo di  vice-preti, ignorando la loro dimensione professionale, familiare,  politica; dall’altro, li abbandona, fuori delle mura del tempio, a una  logica puramente secolaristica, per cui essi alimentano la loro cultura  non attingendo al Vangelo e alla dottrina sociale della Chiesa, ma ai  grandi quotidiani laicisti e alla televisione”. Le denuncie della  Chiesa, spesso “sono rimaste al piano nobile. C’è un piano terra, quello  della pastorale ordinaria”, di cui bisogna maggiormente tener conto. 
 
“Forse  sorprende e spiazza – ha osservato Savagnone – il fatto che la Chiesa  si occupi, oltre che dei problemi più strettamente connessi alla sfera  etica, come sono quelli della biomedicina e della famiglia, in cui  sarebbero ravvisabili in modo esclusivo i ‘valori non negoziabili’,  anche di quelli relativi agli assetti sociali e politici”. Un “merito”  del documento dei vescovi “Chiesa e Mezzogiorno” è “di aver sottolineato  che alla Chiesa sta a cuore non soltanto la vita nel momento del suo  concepimento o in quello terminale, ma anche ciò che sta tra questi due  momenti estremi. Anche la solidarietà è un valore non negoziabile, come  lo è la sorte di tutti i deboli e gli esclusi. È a questo titolo che la  Chiesa si occupa della questione meridionale”. “Non si tratta – ha  puntualizzato Savagnone – di invitare la comunità ecclesiale nazionale a  occuparsi di una parte malata. Non è solo che bisogna curare lo  sviluppo del Sud perché è indispensabile a quello dell’intera nazione:  bisogna curare uno sviluppo più armonico dell’intera nazione: bisogna  curare uno sviluppo più armonico dell’intera nazione, che comporta  necessariamente lo sviluppo del Sud”. Per questo, ha concluso, “il  problema del Sud si risolverà solo con un impegno di tutto il Paese, non  per beneficenza, ma nella consapevolezza ce non c’è sviluppo per  nessuno se non ce n’è per tutti”.  
Olivero: Immigrazione, necessaria l'educazione alla cittadinanza
“Cittadinanza”  e “protagonismo”. Sono due parole-chiave nella riflessione dei delegati  alla 46ª Settimana Sociale impegnati nel gruppo dedicato  all’immigrazione. “Il tema della cittadinanza – spiega Andrea Olivero,  presidente delle Acli, che ha guidato l’assemblea tematica su ‘Includere  le nuove presenze’ – è fortemente condiviso, come l’attenzione ai figli  degli stranieri nati in Italia. Si accompagna alla riflessione su come  organizzare quella ‘seconda fase’ del fenomeno immigratorio ricordata  anche dal messaggio del Papa, nel segno della legalità”. Per Olivero, la  discussione dei delegati ha messo in luce “la necessità di realizzare  un incontro vero tra culture e per questo l’importanza che gli stessi  stranieri si sentano protagonisti, abbiano spazi per esserlo, anche  all’interno della comunità ecclesiale. Allo scopo sono decisive le  politiche formative da mettere in atto, così come deve trovare spazio un  lavoro sulle tradizioni, di chi arriva e di chi accoglie”. 
“Linguaggio  e comunicazione sono due ambiti chiave per affrontare la questione  dell’accoglienza e della cittadinanza. E in particolare – ha detto  ancora Olivero, riassumendo la discussione nel gruppo dedicato  all’immigrazione – vale la pena di far conoscere e di mettere in  evidenza le buone pratiche già esistenti, le buone e sperimentate  modalità di integrazione”. Tra i temi sollevati dai delegati “non è  mancato l’accenno al problema della criminalità che disturba i processi  di inclusione, così come sono stati sollevati diversi temi tra cui la  prostituzione e la tratta. Forte – ha aggiunto Olivero – è stata  ribadita la necessità del contrasto alla mafia”. Tornando alla questione  della cittadinanza, “si tratta – ha concluso Olivero – di un problema  che interroga profondamente anche noi. Cosa vuol dire essere italiani?  Ecco, rispondere a questa domanda ci costringe a riflettere”. 
Miano: Mobilità non a scapito delle regole
“La  mobilità sociale non deve andare a scapito delle regole di una cultura  democratica”. È una delle richieste fatte presenti dai partecipanti  all’area tematica su “slegare la mobilità sociale”, illustrate oggi ai  giornalisti da Franco Miano, presidente dell’Azione Cattolica italiana,  durante la seconda conferenza stampa della Settimana Sociale. “Uno dei  fatti che sbloccano lo sviluppo è sicuramente la criminalità organizzata  in tutte le sue forme”, è stato detto concordemente dai partecipanti,  che hanno insistito su due verbi: “Slegare e rilegare”. “Far crescere la  cultura della qualità e del merito”, ad esempio, “comporta rilegare la  cultura della democrazia, della legalità, della giustizia”, così come  “slegare il mercato” vuol dire “trovare forme per facilitare l’accesso  al credito, favorire gli investimenti con modalità diverse di  fiscalizzazione”, ma anche “investire di più sull’occupazione femminile,  rinnovare il patto del lavoro”. “La grande capacità che la comunità  cristiana può avere nel favorire la realizzazione di questi obiettivi –  ha detto il presidente di Ac – è quella di accompagnare le persone,  anche superando il dato locale”. 
Miglio: educazione alla legalità
“Le Settimane Sociali non hanno un ruolo magisteriale e non sono organismi operativi, sono invece un’occasione d’incontro, di cultura, di confronto, di elaborazione d’idee per tutta la comunità cristiana e per la ricerca del bene comune”. Lo ha detto oggi in conferenza stampa a Reggio Calabria mons. Arrigo Miglio, vescovo di Ivrea e presidente del Comitato delle Settimane Sociali. “Se uno scopo si può indicare – ha proseguito – esso consiste nel delineare dei punti di partenza e i fondamenti per una via del bene comune da declinare e non solo da declamare. L’agenda che è emersa dai lavori delle assemblee tematiche – ha proseguito – ha messo in luce alcuni aspetti importanti: che occorre da parte della comunità cristiana educare con energia e con forza, che esiste un valore di base costituito dalla concezione dell’uomo, che occorre porre la famiglia al centro dell’impegno e delle attenzioni anche sociali, che bisogna impegnarsi tutti per lo sviluppo. Soprattutto – ha aggiunto – che bisogna percorrere la via della legalità per dare occasioni di speranza anche a chi non ce l’ha”. Interpellato su cosa pensi la Chiesa del fisco e dell’evasione fiscale, mons. Miglio ha detto che “la Chiesa ha un compito educativo e che essere buoni cittadini fedeli e trasparenti è frutto di una buona educazione”.
© Avvenire, 20 ottobre 2010
            