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Al cuore del problema

Senso da ridare, logiche da cambiare. Non tutto è uguale, il bene è bene e il male è male. Ma anche dal male può nascere un bene. E coloro che hanno responsabilità politiche e istituzionali, coloro che esercitano i poteri cardine della democrazia italiana hanno il compito di lavorare per questo, pena altrimenti la sconfitta di tutti, pena un drammatico «inquinamento» del terreno in cui il nostro Paese vive e un grave colpo al futuro comune.

lapr_6890216_36010.jpgIl cardinale Angelo Bagnasco ha aperto ieri con questa riflessione – o, meglio, anche con questa riflessione – i lavori del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana.

E ha saputo così indicare il vero cuore del problema che oggi scuote e, ancora una volta, divide l’opinione pubblica. Nessuno potrà «rallegrarsi, né ritenersi vincitore», ha avvertito, se dalla gran tempesta nella quale ci troviamo – tempesta morale e istituzionale, tempesta politica ed economico-sociale – non si saprà uscire con uno «scatto di coscienza e di responsabilità».

Molti si aspettavano un giudizio sulle questioni sollevate a partire dall’ultima indagine condotta dalla procura di Milano sul presidente del Consiglio, e il giudizio è arrivato. Non nella impossibile forma di una sentenza sommaria e indebita sul premier o sui suoi accusatori, ma in quella della lucida individuazione dei pesanti nodi che anche questa nuova vicenda mette in evidenza e che vanno sciolti, facendo chiarezza «in modo sollecito e pacato e nelle sedi appropriate».

Un giudizio esplicito, espresso con la stessa sobrietà che si invoca come regola ritrovata e condivisa, mettendo a disposizione del Paese la straordinaria capacità di ascolto, di lettura e di servizio della nostra realtà nazionale che è propria della Chiesa.

C’è bisogno, ha dunque spiegato il presidente della Cei, di ritrovare e di dare stabilmente «ormeggi oggettivi» al primato della persona e della coscienza umana, pena l’avvitarsi in un individualismo e in un relativismo che conducono, come insegna Papa Benedetto, alla «perversione di fondo del concetto di ethos». E le cronache costellate di «rappresentazioni fasulle dell’esistenza» e di «ostentazione e mercimonio di sé» dicono quanto questo sia vero.

C’è da imprimere una sterzata che allontani finalmente il Paese da una fase troppo lunga e «convulsa» nella quale «debolezza etica» e «fibrillazioni» dovute al conflitto tra poteri si sono intrecciate e hanno scatenato prove di forza a catena, indotto a «tranelli» reciproci e incentivato una devastante logica del sospetto.

E c’è la necessità da parte di chi ricopre cariche pubbliche di testimoniare a una cittadinanza «sgomenta» per gli esibiti «squarci, veri o presunti, di stili non compatibili con la sobrietà e la correttezza» e di «comportamenti contrari al pubblico decoro» la volontà di adempiere alle funzioni della politica con consapevolezza «della disciplina e dell’onore» che sono indispensabili in questo alto servizio. C’è, insomma, da dimostrare che in politica si sale e non si scende, e che un uomo pubblico deve essere rispettato nella propria sfera privata, ma deve anche poter vivere in una casa di cristallo. Ed è un appello che richiama l’oggettività del bene e del male, «oltre ogni moralismo» di comodo.

Perché per disincagliare il Paese c’è bisogno di ben altro. La classe dirigente italiana deve trovare la forza morale, le politiche e i percorsi di consenso e di scelta per «ringiovanire» se stessa. Per questo il presidente della Cei suggerisce un triplice capovolgimento. Capovolgere le attenzioni, portando in primo piano la questione giovanile, che è educativa e lavorativa e nella sostanza resta – lo dimostrano un disagio e una protesta che non possono essere ridotti agli episodi più esacerbati – la grande ignorata nell’Italia che si avvia a celebrare i 150 anni di unità politica.

Capovolgere le priorità di un fisco che non si è ancora posto al fianco della famiglia costituzionalmente definita, ma che ora può farlo grazie alla vasta convergenza attorno alla soluzione tecnica del "fattore famiglia". Capovolgere la logica autogiustificativa degli evasori fiscali: c’è da ridistribuire risorse e chi ritiene di poter decidere, lui, quante tasse pagare non si fa giustizia, ma compie un furto.

Anche stavolta il presidente della Cei parla da vescovo attento e da cittadino pensoso del bene comune. Invoca «saggezza e virtù» per l’Italia e da chi l’Italia è chiamato a guidare e servire. Non c’è dubbio che proprio questo la nostra gente attende e pretende: qui, ora.

Marco Tarquinio
© Avvenire, 25 gennaio 2011
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