Bagnasco: che lezione da questa gioventù

Una gioventù nuova, e non solo anagraficamente.  È l’impressione di  tutti gli educatori  e accompagnatori dei 90mila ragazzi italiani  visti  a Cracovia. C’è qualcosa di profondo che si sta muovendo e che va  osservato con rispetto e attenzione. Anche il cardinale Angelo Bagnasco  ne è rimasto impressionato, cogliendo più di un segnale  dei germogli  che stanno spuntando. Da arcivescovo  di Genova e presidente della Cei,  sente la responsabilità di osservare, capire e accompagnare il mutamento  in corso.
Tanti giovani italiani a Cracovia, partecipi, impegnati,  sensibili, per parere unanime di chi li ha seguiti. Cosa sta emergendo?
È un mondo nuovo che nasce. Non è retorica, o un modo di dire, né una  captatio benevolentiae ma una  realtà, una fortissima impressione. Questi ragazzi,  molti dei  quali giovanissimi, sprigionano una  gioia verso l’esperienza che hanno  compiuto, per il Santo Padre, i loro pastori, che è commovente. Mi ha  davvero molto impressionato  vedere e ascoltare come desiderano che gli  stiamo vicini,  li sosteniamo nella verità  delle cose, soprattutto sui  temi più delicati del dibattito  di questi tempi. Essere confermato e  incoraggiato da questi ragazzi è una cosa che mi commuove.
Da dove nasce questa novità?
Ci  ho pensato a lungo: penso  che, a differenza di noi adulti,  questi  ragazzi non sono  condizionati da preconcetti  e schemi mentali. Certo,  sono esposti alle mille fragilità  che conosciamo, legate all’età e a  una cultura che li avvolge e che, come gli dico spesso, è una bolla di  bugie, di miti inutili, di fantasmi. Nonostante questo, hanno però un  fiuto verso la verità, un istinto per il bene che è più limpido del  nostro.
Cosa chiedono alla Chiesa?
Che stia loro  vicina, con amore  e simpatia, perché c’è tanta solitudine, anche  all’interno  delle famiglie. Ma si aspettano che la Chiesa lo faccia  sempre con parole di verità, perché ne hanno una percezione intuitiva,  limpida.  Si sentono vulnerabili rispetto  all’oceano di idee nel quale  naviga la loro vita, e chiedono punti di riferimento,  una paternità che  con grande affetto e vicinanza,  ma anche con parole come quelle del  Vangelo, li aiutino a crescere, a non avere paura della vita e più  fiducia in se stessi. Circola molto timore, senso  di inferiorità,  l’autostima non è affatto scontata:  se non ci fossero i nostri  sacerdoti che vivono sul fronte delle parrocchie e dei gruppi tutti i  giorni, che ne sarebbe di questi ragazzi? Novantamila di loro a  Cracovia, accompagnati da 2mila sacerdoti e 136 vescovi, dove sarebbero  ora senza chi li ha accolti, seguiti, ascoltati, educati? In Polonia i  nostri sacerdoti  e vescovi si sono prodigati con autentici  tour de force e grande sacrificio. Ne ho incontrati tanti, con molti o pochi giovani,  e mi tocca sempre nel profondo vedere come si spendono completamente  per loro.
I giovani della Gmg hanno mostrato un volto nuovo della Chiesa?
 Sono una provocazione positiva. Con il loro tumulto  interiore  combinato con grandi speranze e aspettative aiutano gli adulti, pastori  compresi. Ci spingono a pensare, a rispondere non con discorsi   insignificanti ma con parole profonde. I giovani che abbiamo visto non  hanno paura di impegnarsi,  le voci che abbiamo ascoltato in tanti  dialoghi sono impegnative, non si tirano mai indietro:  le loro domande  sono molto serie, difficili.  Significa che se stimolati in un contesto  adeguato  e con parole giuste sanno andare a fondo e pungolarci ancor  più di quanto siamo capaci di fare con loro. La Chiesa vuole star loro  vicina per aiutarli a crescere e incontrare il Signore: questo è il  segreto della gioia vera.
Come possono parlare i 90mila italiani di Cracovia a tutti i loro coetanei?
Ci  vuole molto coraggio oggi per affrontare incomprensione,  derisioni,  emarginazione a scuola, sul lavoro, persino in famiglia. Questa è  un’epoca di martiri, e per i giovani tutto ciò diventa una domanda:  che  fede ho? Sarei disposto a lasciarmi sgozzare  per la fede in Cristo,  l’amore alla Chiesa? Nei miei incontri con loro ho insistito che ora  all’interno  delle loro diocesi e parrocchie non si disperda- no. È  indispensabile mantenere i contatti, un’abilità  nella quale peraltro  sono insuperabili con tutti  gli strumenti tecnologici che usano. Vorrei  che mantenessero tra loro un legame positivo, tenendo  viva la fiamma  di un’esperienza straordinaria. Bisogna poi che a partire dai loro  piccoli gruppi parrocchiali sappiano diffondere questo fuoco vivo   attraverso esperienze di 'campi missionari'.
In cosa consistono?
Ogni  parrocchia almeno una volta all’anno organizza  un 'campo', in genere  d’estate. Sogno che in questi campi ci siano dieci ragazzi della  parrocchia e altrettanti invitati da loro personalmente, un compagno,   un amico indifferente, che non crede, o distratto.  Dieci e dieci,  formulando le proposte del campo in funzione di chi è nuovo. Ecco la  formula  del campo missionario di evangelizzazione, che qualcuno sta già  realizzando ma che dovrebbe diventare  prassi pastorale per una Chiesa  concretamente  'in uscita'. A Genova, con l’aiuto di Dio, nel 2017  proporremo la missione 'dei giovani ai giovani',  e vorrei che l’estate   prossima l’attività conclusiva  fossero proprio campi simili.
I giovani cosa trovano in papa  Francesco? Quella vista a Cracovia è una generazione  che sta crescendo con lui...
Sentono  nel Santo Padre l’apice di quella paternità che vanno cercando e che in  modo più evidente trovano  in lui e, nelle diocesi, nei loro vescovi e  sacerdoti.  Il Papa con loro non risparmia  nessuna parola impegnativa:  alla Via Crucis  li ha invitati a guardare il Crocifisso parlandogli di  servizio fattivo e gratuito, che significa anche dare la vita. A loro  questo piace perché si sentono interpretati,  e di conseguenza attratti   dagli inviti che il Papa gli rivolge.
Ora il testimone passa  al Congresso eucaristico nazionale  di settembre, nella  sua Genova.  Cosa dice Cracovia a questo nuovo evento?
Che l’Eucaristia è il  volto sacramentale della misericordia  di Dio perché è Cristo vivo, vero  e presente.  C’è un filo unitario tra Cracovia e Genova, dove  l’Eucaristia sarà adorata e celebrata soprattutto in chiave missionaria,  come riassume il titolo: 'L’Eucaristia sorgente della missione'.
Cosa vuol dire ai giovani rientrati a casa, o prossimi a farlo?
 Incendiate l’Italia, non solo la Chiesa: penso al Paese  civile, alla  società. I giovani dovranno lottare e affrontare sfide molto più di noi,  per loro la vita sarà più difficile. L’Europa ha tagliato le sue  radici, le sorgenti della vita, la linfa del Vangelo, e non sapendo  più  chi è vuole fondarsi sull’economia e la difesa di sé, ma è priva di un  progetto culturale alto.  In questo clima le nuove generazioni dovranno  avere la forza di essere un’onda di risveglio spirituale,  senza paura,  con entusiasmo, perché l’Europa ritrovi se stessa.
Francesco Ognibene
© Avvenire, 2 agosto 2016
            