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Bari. Raspanti (Cei): «Pace e perdono senza frontiere»

Si apre domani a Bari l’Incontro dei vescovi del Mediterraneo. Parla il vice-presidente della Cei Raspanti. «Per la prima volta insieme i pastori di tutto il bacino»

«Non dobbiamo attenderci risultati di natura politica. Noi siamo pastori, non governanti delle nazioni». Il vescovo di Acireale, Antonino Raspanti, mette le mani avanti. Non per prudenza ma per evitare confusione. Sarebbe un errore considerare alla stregua di un summit del G20 l’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” che si apre domani a Bari. Eppure saranno proprio venti i Paesi rappresentati dai 58 vescovi che stanno arrivando in Puglia dall’intero bacino e che saranno i protagonisti di quello che il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, ha definito “una sorta di Sinodo” dedicato al grande mare. «Per la prima volta noi pastori degli Stati affacciati sulle rive del Mediterraneo ci ritroviamo insieme con l’intento di individuare nuove vie per la pace e per la riconciliazione fra i popoli. Di fatto ci porremo una domanda: che cosa Dio vuole oggi dal Mediterraneo? Al tempo stesso vogliamo favorire la correzione di storture che sono evidenti a tutti e fanno soffrire le nostre genti», spiega Raspanti.

In qualità di vice-presidente della Cei, è il coordinatore del Comitato scientifico e organizzatore che ha messo a punto il forum ecclesiale in cui sono coinvolte le Chiese di tre continenti: Europa, Asia e Africa. Un gruppo composto da vescovi, direttori degli uffici Cei, studiosi, esperti di geopolitica e di cooperazione internazionale che hanno tessuto una rete di relazioni con le comunità ecclesiali della regione, raccolto spunti, elaborato la traccia di lavoro, definito il metodo e varato il programma.

 


Non siamo governanti delle nazioni.
Siamo pastori. Vogliamo individuare nuove vie
per la riconciliazione fra i popoli.

Proprio al vescovo di Acireale, che ha seguito passo dopo passo tutto il percorso di preparazione, è affidato domani il compito di presentare ai vescovi delegati le giornate e lo stile dell’iniziativa, dopo l’introduzione del cardinale Bassetti. «Avverto attesa per il nostro incontro – afferma Raspanti –. Sia all’interno della Chiesa, sia nel mondo laico si guarda con fiducia all’appuntamento. Il che mi fa dire che c’è voglia di pace, di perdono, di convivenza armoniosa, di verità e di giustizia. E si teme che gli scontri, le violenze, gli odi abbiano il sopravvento. Raccoglieremo questi auspici. E ci lasceremo guidare dallo Spirito Santo per tentare di rispondere a quanto ci viene sollecitato».

Eccellenza, in agenda ci sono due grandi temi: da una parte, la trasmissione della fede; dall’altra, il rapporto fra le Chiese e la società. Perché questa scelta?

È la prima volta che ci incontriamo come pastori del Mediterraneo. E abbiamo deciso di non restringere eccessivamente il campo. In tutte le nostre Chiese la prima preoccupazione è l’annuncio del Vangelo con una particolare attenzione ai giovani. Tuttavia avere a cuore il messaggio di Cristo significa anche occuparsi dell’uomo a tutto tondo, di ciò che lo riguarda e lo affligge. Se Gesù è il compimento dell’umano e con la sua Pasqua ha redento l’umanità, l’urgenza di una nuova evangelizzazione non è altra cosa rispetto ai problemi sociali, economici, politici. Si tratta di due facce della stessa medaglia.


Le migrazioni sono il sintomo di gravi ingiustizie e disordini. Però non parleremo soltanto dei profughi che devono sbarcare. Non possiamo tacere sulle cause di un fenomeno che è frutto di squilibri fra i popoli in cui si intrecciano guerre, miseria, potere, interessi economici

L’incontro di Bari arriva mentre nel Mediterraneo le tensioni si acuiscono e si accendono nuovi focolai.

Quando l’evento è stato pensato, il Mediterraneo era già in subbuglio. In questi ultimi mesi, però, la situazione si è fatta più critica. Pertanto l’incontro può essere visto come un tassello da inserire nel mosaico della pace da costruire l’uno con l’altro.

L’iniziativa è stata lanciata nel 2018. Ci sono voluti due anni di preparazione.

Tutto è partito da un’intuizione del cardinale presidente, rafforzata dai suoi colloqui con il Papa che l’ha sempre ritenuta un’idea buona. La macchina si è messa in moto con la costituzione del Comitato scientifico avvenuta un anno fa. Il Consiglio permanente della Cei ha dato un contributo essenziale. In questi mesi ho assistito a un cammino di maturazione che ci ha permesso di essere meno eurocentrici. All’inizio eravamo chiusi nel nostro modo di percepire le urgenze e i bisogni. Come testimoniano le interviste ai vescovi partecipanti raccolte da Avvenire, i punti di vista sono numerosi. Ecco perché è necessario che il dialogo sia autentico.

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L’evento è nel segno della sinodalità.

Ritengo che l’iniziativa sia espressione della collegialità episcopale. Certo, il metodo è pienamente sinodale. E il percorso è simile a quello di un Sinodo dei vescovi. L’ascolto ha caratterizzato la stesura del documento preparatorio che è stato redatto coinvolgendo sia vescovi, sacerdoti e laici in Italia, sia gli episcopati esteri. A Bari le giornate saranno scandite dal confronto fraterno fra i vescovi: in momenti assembleari e nei circoli minori. Al termine verrà predisposto un testo che tutti i presenti approveranno e che sarà consegnato nelle mani del Papa durante il nostro incontro con lui nella Basilica di San Nicola.

Come leggere la presenza di papa Francesco che domenica concluderà l’evento?

È straordinaria. Significa che il Papa sta sposando l’iniziativa. E probabilmente si attende un risultato concreto dal nostro incontro. D’altro canto, anche noi vescovi ci attendiamo da lui indicazioni per agire al meglio nel contesto del Mediterraneo.

Se pensiamo all’intero bacino, viene subito in mente la questione migratoria.

È uno dei temi che rimbalzeranno nelle discussioni. Certo, le migrazioni sono il sintomo di gravi ingiustizie e di drammatici disordini che sono accompagnati purtroppo anche da forme di propaganda non sempre veritiere. Per essere chiari: non parleremo soltanto dei profughi che sbarcano in Europa. Di sicuro non possiamo tacere riguardo alle cause di un fenomeno che è frutto degli squilibri esistenti fra i popoli del Mediterraneo dove si intrecciano guerre, miseria, bramosia di potere, interessi economici. Dinanzi a tutto ciò la comunità ecclesiale si sente chiamata a far sentire la sua voce e a intervenire.

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L’incontro può essere il punto di partenza per un nuovo protagonismo delle Chiese nel Mediterraneo?

Penserei di sì, ma molto dipenderà da quanto il Papa ci dirà e da come gli episcopati accoglieranno i risultati. L’intenzione è quella di aprire nuovi spazi di collaborazione fra Chiese “sorelle” che insistono sulla medesima area e che vogliono sedersi al tavolo con altre realtà religiose o istituzionali per realizzare una nuova cultura dell’incontro. Poi i legami andranno consolidati. Non è possibile ipotizzare oggi con quale formula. Ma mi auguro che tutto questo avvenga.

Giacomo Gambassi, inviato a Bari

© Avvenire, martedì 18 febbraio 2020

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