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Chiesa e lavoro. Policoro al traguardo dei 25 anni La speranza ora è diventata Progetto

In un quarto di secolo l’iniziativa nata per creare una nuova cultura del lavoro, specie tra i giovani, è cresciuta e si è estesa a tutto il Paese

Venticinque anni di Progetto Policoro. Quello che è ormai alle porte sarà infatti l’anno delle 'nozze d’argento' per l’iniziativa della Cei che dal 1995 ad oggi ha creato posti di lavoro, dato speranza a molti giovani e soprattutto ha cercato di invertire la spirale della rassegnazione nelle zone economicamente più depresse del Paese. È tempo, dunque di tentare un bilancio per il percorso nato dall’intuizione dell’allora direttore dell’Ufficio Cei per i Problemi sociali e il Lavoro, don Mario Operti. All’inizio il Progetto, avviato grazie alla collaborazione tra il suo ufficio, la Caritas e il Servizio nazionale di Pastorale giovanile, fu limitato alle regioni del Sud, soprattutto per stimolare l’imprenditorialità giovanile.

C’era la necessità di contrastare da un lato la passiva mentalità del posto fisso (la cui ricerca spesso estenuante si risolveva quasi sempre nel diventare 'clienti' del politico di turno, onde assicurarsi la famigerata 'raccomandazione'); dall’altro di contenere la fuga dei cervelli verso le zone più ricche del Paese o addirittura all’estero. Venticinque anni dopo è ormai esteso a tutte le regioni italiane e ha già prodotto risultati importanti.

In pratica, attraverso corsi di formazione a livello diocesano e regionale, vengono innanzitutto sele- zionati gli animatori di comunità. Questi hanno la funzione di leggere i bisogni del territorio e aiutare i giovani ad avviare start up che rispondano a quei bisogni, proprio per essere poi in grado di sostenersi autonomamente sul mercato. Con il loro supporto si procede quindi alla creazione di nuove aziende, il che naturalmente porta con sé nuovi posti di lavoro, mettendo in atto un circolo virtuoso destinato ad allargarsi.

Il Progetto Policoro, sostenuto anche dall’8xmille, è oggi attivo in 136 diocesi italiane (erano appena 16 nel 1996, un anno dopo l’esordio). In queste diocesi operano 188 animatori di comunità e si stima che nei ventitré anni del Progetto siano nate circa 700 piccole e medie imprese, denominate gesti concreti. Secondo un recente censimento, i gesti concreti sono distribuiti in 12 regioni ecclesiastiche d’Italia (il 25% rispettivamente in Sicilia e in Calabria, il 23% in Puglia, percentuali inferiori nelle altre regioni), 50 province e 93 diocesi. Fra tutti i gesti concreti nati nel corso degli anni, risultano attive 427 realtà imprenditoriali con un volume di affari complessivo di circa 39 milioni di euro.

Il costo del lavoro di tali realtà è pari a quasi 15 milioni di euro. In sostanza, un migliaio circa di nuovi posti di lavoro. Le tipologie più rappresentate sono le imprese artigiane (25%), seguite da professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi (20%) e i servizi socio-educativi rivolti a minori, anziani e soggetti svantaggiati (19%). I settori di impegno sono i più svariati: dalla valorizzazione dei beni artistico-culturali ai servizi alla persona, dalla produzione agricola al tessile, dall’artigianato al campo pubblicitario, dall’alimentare al turistico, dall’animazione all’oreficeria. Una particolare menzione meritano le aziende agricole, sorte specialmente nelle regioni del Sud, spesso grazie alla riassegnazione dei beni confiscati alle organizzazioni mafiose. Grazie alla collaborazione tra l’Associazione Libera, l’Ufficio nazionale per i Problemi sociali e il Lavoro, il Servizio nazionale di Pastorale giovanile e la Caritas italiana è nato il percorso 'Libera il bene.

Dal bene confiscato al bene comune'. In pratica, 155 esperienze sorte e sviluppatesi in 13 regioni italiane e in 46 diocesi. Sono beni che non si trovano solo nelle regioni a più forte infiltrazione mafiosa, ma per esempio anche in Lombardia (30). E davvero rappresentano un segno di speranza. Come del resto tutto il Progetto. Giusto due anni fa, nel Natale del 2017 il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, così fotografava l’impegno degli operatori del 'Policoro': «La vostra vocazione può trasformare luoghi o relazioni conflittuali in intraprendenza positiva, in cura per la vita, in semina di progetti di pace, in esperienze di gioiosa fraternità. Potete diventate imprenditori di speranza per tanti giovani coetanei che si rassegnano, che vivono sdraiati nella vita che si accontentano, che non volano alto». E così in effetti avviene.

Mimmo Muolo

© Avvenire, domenica 15 dicembre 2019

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