Civiltà Cattolica, un tuffo nel web
 Chi  ha idee si faccia avanti, si legge. Un bel colpo di scena per quella  che, oltre a essere la più antica rivista culturale italiana, è anche  ritenuta la più austera, realizzata dai gesuiti romani e metodicamente  approvata dalla Segreteria di Stato vaticana. Messinese, classe 1966,  docente alla Gregoriana e titolare di una vastissima bibliografia in cui  la critica letteraria (esercitata su autori imprevedibili come Pier  Vittorio Tondelli o comunque anticonsolatori, come l’amatissima Flannery  O’Connor) si mescola sempre più spesso con la riflessione intorno ai  nuovi media, padre Spadaro non si considera affatto un rivoluzionario.
Chi  ha idee si faccia avanti, si legge. Un bel colpo di scena per quella  che, oltre a essere la più antica rivista culturale italiana, è anche  ritenuta la più austera, realizzata dai gesuiti romani e metodicamente  approvata dalla Segreteria di Stato vaticana. Messinese, classe 1966,  docente alla Gregoriana e titolare di una vastissima bibliografia in cui  la critica letteraria (esercitata su autori imprevedibili come Pier  Vittorio Tondelli o comunque anticonsolatori, come l’amatissima Flannery  O’Connor) si mescola sempre più spesso con la riflessione intorno ai  nuovi media, padre Spadaro non si considera affatto un rivoluzionario. 
«L’innovazione – spiega – appartiene fin dalle origini alla storia e alla tradizione della Civiltà cattolica,  che nacque nel 1850, quando l’Italia non era ancora unita, ma scelse di  esprimersi in italiano anziché in latino, come nell’uso dell’epoca per  le pubblicazioni di questo tipo. Lo stesso strumento della rivista, poi,  era un fatto inconsueto per gli ambienti cattolici: le riviste erano  appannaggio dei liberali, degli anarchici…»
Insomma, erano i blog del Risorgimento.
«In  un certo senso sì. Quello che intendo dire è che l’apertura al nuovo è  da sempre uno dei tratti dominanti della comunità di cui Civiltà cattolica è espressione».
Comunità?
«Certo.  La rivista è frutto del lavoro di un "collegio di scrittori", di cui la  redazione e il direttore stesso sono espressione. Secondo le  disposizioni contenute nei testi pontifici di fondazione, gli scrittori  vivono "in comunanza di vita e di studi", cosicché l’intero collegio è  responsabile di quanto viene pubblicato. Anche per questo, fino a  qualche anno fa, gli articoli apparivano anonimi, senza firma.  Attualmente, invece, ogni approfondimento, prima di essere pubblicato,  passa al vaglio di altri scrittori, che ne discutono con l’autore».
Il direttore avrà almeno il potere di commissionare gli interventi, no?
«In  alcuni casi, quando l’attualità l’impone. Altrimenti gli scrittori  seguono un loro percorso di ricerca, che però non è mai solitario e si  inserisce, piuttosto, in questa dimensione di comunità».
Letteratura e social network: il nuovo direttore si presenta con un profilo che può apparire inusuale.
«Anche  Marshall McLuhan partì dalla letteratura per approdare ai media  "elettrici", nella convinzione che la tecnologia non fosse una questione  di valvole e circuiti, ma il tentativo di mettere in gioco la libertà  dell’uomo in ordine alla realizzazione di alcuni desideri radicali: la  relazione, la comunicazione, la conoscenza. È una curiosità di natura  spirituale, prima ancora che intellettuale, qualcosa che come gesuita mi  riporta al grande insegnamento di Ignazio, e cioè la pratica del  discernimento, la volontà di trovare Dio in tutte le cose. E siccome  parliamo del Dio incarnato, non possiamo permetterci neppure per un  momento di pensare che il mondo di oggi, così evidentemente attraversato  dalla mutazione digitale, sia un luogo da cui Dio si ritrae, una realtà  della quale, come cristiani, siamo autorizzati a disinteressarci. Al  contrario, la Chiesa è sempre chiamata a essere lì dove si trova l’uomo,  anche quando, per farlo, deve mettersi in movimento».
Sì, ma tanto entusiasmo potrebbe essere scambiato per ingenuità.
«È  un rischio da correre e che, in ogni caso, mi pare meno grave di quello  che deriverebbe dall’assecondare la tentazione di serrare i ranghi ed  erigere steccati. Per quanto pessimistica possa essere la lettura della  realtà che ci circonda, bisogna evitare di dare risposte che prescindano  dalle domande. Mettersi in dialogo con l’umanità di oggi (un’umanità  che è ancora capace di impegno, di coraggio) significa sforzarsi di  decifrare la tensione spirituale che sta all’origine di tanti  interrogativi, magari disordinati, di cui il Web si fa collettore».
È questo il significato della cyber-teologia?
«Esattamente:  l’intelligenza della fede al tempo della rete. O, meglio ancora, il  modo in cui la fede può essere pensata seguendo la logica della rete.  Come cambia la ricerca di Dio nell’epoca dei motori di ricerca, per  esempio. L’uso degli strumenti, e degli strumenti tecnologici in  particolare, non è mai neutro, la nostra conoscenza del mondo cambia a  seconda dell’attrezzatura di cui disponiamo. Tutto sta nel saper  guardare la realtà in trasparenza, mettersi in ascolto della profonda  ricerca di significato che attraversa, in maniera spesso inavvertita, il  mondo digitale».
Dobbiamo aspettarci una "Civiltà cattolica" più presente sul web, quindi?
«La  questione è più ampia, riguarda la trasformazione del concetto di  rivista. Senza rinunciare alla carta stampata, occorre inserirsi in una  pratica di condivisione, secondo lo stile di prossimità e amicizia  caratteristico dei social network. Sì, sono convinto che questo processo  toccherà anche La Civiltà cattolica, ma con tempi lunghi e nelle modalità che verranno stabilite dall’intero collegio degli scrittori». 				    
 
            