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«Dio non dimentica nessuno. Inumana la pena di morte»

Il Papa lava i piedi a dodici detenuti, otto di loro di religione cattolica. A tutti dice che il gesto di Gesù è il segno che Gesù non abbandona nessuno. «Se i capi di Stato avessero capito gli insegnamenti di Gesù, quante guerre non sarebbero state fatte!», afferma. Poi annuncia che verrà operato di cataratta

cq5damweb800800-28_2383575.jpgPrima l’incontro con i detenuti ammalati in infermeria, dopo con quelli della VIII sezione che scontano la pena in isolamento. In mezzo la messa nella rotonda del carcere di regina Coeli. Papa Francesco ha voluto incontrare proprio tutti i reclusi del carcere romano più antico. Dopo Casal del marmo,  Rebibbia e Paliano, per la messa in Coena Domini Bergoglio sceglie 12 persone di Regina Coeli: 4 sono italiani, 2 filippini, 2 marocchini, 1 moldavo, 1 colombiano, 1 nigeriano e 1 della Sierra Leone. Otto di loro sono di religione cattolica; due musulmani; uno ortodosso e uno buddista.

Il Papa ha voluto che fosse un incontro privato, senza diretta tv. Nell’omelia, che è stata resa nota al termine della messa, ha ricordato il significato del gesto del lavare i piedi: «Lavare i piedi. I piedi, in quel tempo, erano lavati dagli schiavi: era un compito da schiavo. La gente percorreva la strada, non c’era l’asfalto, non c’erano i sampietrini; in quel tempo c’era la polvere della strada e la gente si sporcava i piedi. E all’entrata della casa c’erano gli schiavi che lavavano i piedi. Era un lavoro da schiavi. Ma era un servizio: un servizio fatto da schiavi. E Gesù volle fare questo servizio, per darci un esempio di come noi dobbiamo servirci gli uni gli altri». Ricorda la disputa tra i suoi discepoli, che avrebbero voluto stare uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra per sottolineare che «Gesù li ha guardati con amore – Gesù guardava sempre con amore – e ha detto: “Voi non sapete ciò che domandate”. I capi delle Nazioni – dice Gesù – comandano, si fanno servire, e loro stanno bene. Pensiamo a quell’epoca dei re, degli imperatori tanto crudeli, che si facevano servire dagli schiavi… Ma fra voi – dice Gesù – non deve essere lo stesso: chi comanda deve servire. Il capo vostro deve essere il vostro servitore». Gesù capovolge le cose, capovolge «l’abitudine storica, culturale di quell’epoca – anche questa di oggi – colui che comanda, per essere bravo capo, sia dove sia, deve servire».

Bergoglio ricorda che «se tanti re, imperatori, capi di Stato avessero capito questo insegnamento di Gesù e invece di comandare, di essere crudeli, di uccidere la gente avessero fatto questo, quante guerre non sarebbero state fatte! Il servizio: davvero c’è gente che non facilita questo atteggiamento, gente superba, gente odiosa, gente che forse ci augura del male; ma noi siamo chiamati a servirli di più. E anche c’è gente che soffre, che è scartata dalla società, almeno per un periodo,  Gesù va lì a dir loro: “Tu sei importante per me”». Una importanza che  è sottolineata proprio dal gesto di lavare i piedi: «Gesù viene a servirci, e il segnale che Gesù ci serve oggi qui, al carcere di Regina Coeli, è che ha voluto scegliere 12 di voi, come i 12 apostoli, per lavare i piedi. Gesù rischia su ognuno di noi. Sappiate questo: Gesù si chiama Gesù, non si chiama Ponzio Pilato. Gesù non sa lavarsi le mani: soltanto sa rischiare! Guardate questa immagine tanto bella: Gesù chinato tra le spine, rischiando di ferirsi per prendere la pecorella smarrita», dice mostrando il regalo che ha portato: l’altare sul quale ha celebrato messa che resterà nel centro penitenziario. «Oggi io, che sono peccatore come voi, ma rappresentò Gesù», dice il Papa, «sono ambasciatore di Gesù. Oggi, quando io mi inchino davanti a ognuno di voi, pensate: “Gesù ha rischiato in quest’uomo, un peccatore, per venire da me e dirmi che mi ama”. Questo è il servizio, questo è Gesù: non ci abbandona mai; non si stanca mai di perdonarci. Ci ama tanto. Guardate come rischia, Gesù!».

E ancora, allo scambio della pace, il Papa ha voluto aggiungere queste parole: «E adesso, tutti noi – sono sicuro che tutti noi – abbiamo la voglia di essere in pace con tutti. Ma nel nostro cuore ci sono tante volte sentimenti contrastanti. È facile essere in pace con coloro a cui vogliamo bene e con quanti ci fanno del bene; ma non è facile essere in pace con quelli che ci hanno fatto torto, che non ci vogliono bene, con i quali siamo in inimicizia. In silenzio, un attimo, ognuno pensi a coloro che ci vogliono bene e a cui noi vogliamo bene, e anche ognuno di noi pensi a coloro che non ci vogliono bene e anche a coloro a cui noi non vogliamo e anche – anzi – a coloro su cui noi vorremmo vendicarci. E chiediamo al Signore, in silenzio, la grazia di dare a tutti, buoni e cattivi, il dono della pace».

Infine, salutando la direttrice del carcere e un detenuto ha ricordato che «non c’è alcuna pena giusta – giusta! – senza che sia aperta alla speranza. Una pena che non sia aperta alla speranza non è cristiana, non è umana! Ci sono le difficoltà nella vita, le cose brutte, la tristezza – uno pensa ai suoi, pensa alla mamma, al papà, alla moglie, al marito, ai figli… è brutta, quella tristezza. Ma non lasciarsi andare giù: no, no. Io sono qui, ma per reinserirmi, rinnovato o rinnovata. E questa è la speranza. Seminare speranza. Sempre, sempre. Il vostro lavoro è questo: aiutare a seminare la speranza di reinserimento, e questo ci farà bene a tutti. Sempre. Ogni pena dev’essere aperta all’orizzonte della speranza. Per questo, non è né umana né cristiana la pena di morte. Ogni pena dev’essere aperta alla speranza, al reinserimento, anche per dare l’esperienza vissuta per il bene delle altre persone».
E, dopo le parole del detenuto ha aggiunto: «Tu hai parlato di uno sguardo nuovo: rinnovare lo sguardo… Questo fa bene, perché alla mia età, per esempio, vengono le cateratte, e non si vede bene la realtà: l’anno prossimo dovremo fare l’intervento. Ma così succede con l’anima: il lavoro della vita, la stanchezza, gli sbagli, le delusioni oscurano lo sguardo, lo sguardo dell’anima. E per questo, quello che tu hai detto è vero: approfittare delle opportunità per rinnovare lo sguardo».

Annachiara Valle

© www.famigliacristiana.it, giovedì 29 marzo 2018

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