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Dossier Chiesa e fede, scocca l'ora dei laici

A quasi cinquant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962) è tempo nella Chiesa di bilanci e – perché no? – di rilanci. Uno dei grandi temi affrontati dai padri conciliari riguardò la natura della Chiesa, che passò da una concezione gerarchica e piramidale a una essenzialmente comunionale.

1  Campanini: responsabilizzazione dei laici? La chiesa è in ritardo

 

campanini_2824522.jpgIntervista a Giorgio Campanini sul ruolo dei laici nella chiesa pubblicata sul n. 25 di Famiglia Cristiana.

“Popolo di Dio” è titolato il capo secondo della costituzione dogmatica Lumen gentium: vescovi, sacerdoti e laici, tutti con carismi e ministeri diversi ma con pari dignità a servizio della Chiesa per l’unica missione: portare Cristo al mondo. A proposito dei laici, la cui riscoperta si deve proprio a questa rinnovata visione ecclesiologica, poco più avanti si dice: «Grava su tutti i laici il glorioso peso di lavorare, perché il disegno divino di salvezza raggiunga ogni giorno di più tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutta la terra».

A che punto è la loro responsabilizzazione oggi nella Chiesa? Hanno una loro autonomia o sono ancora gregari rispetto alla gerarchia? Tema delicato, su cui abbiamo a lungo parlato con gli autori del libro Manca il respiro (Áncora, euro 13): Giorgio Campanini, noto politologo, e Saverio Xeres.

Professor Campanini, può darci una sintetica fotografia del laicato oggi nella Chiesa?
  
«Molti passi in avanti sono stati compiuti dal tempo del Concilio a oggi, ma un’effettiva corresponsabilità – che implica la valorizzazione dei laici al momento della consultazione e riservando alla gerarchia, in materia di fede e di morale, la decisione – è ancora lungi dall’essere realizzata. Per rendersene conto basta scorrere l’elenco delle grandi decisioni della Chiesa italiana, ad esempio nell’ultimo decennio, e verificare in quale misura i laici siano stati effettivamente ascoltati, sia in sede nazionale che in sede locale».

I rapporti tra gerarchia e laicato hanno comunque conosciuto alcuni importanti momenti di confronto, come lei riconosce...
   
«I convegni ecclesiali sono stati un importante momento di ascolto, ma troppo diradati nel tempo. Sotto altri aspetti – ad esempio per quanto riguarda l’elaborazione dei piani pastorali – vi è da temere che si sia addirittura fatto qualche passo indietro. Sarebbe necessario istituire nuovi “luoghi” di ascolto o almeno valorizzare quelli esistenti».

A questo proposito, come funzionano gli organi di consultazione dei laici, consigli pastorali diocesani e parrocchiali in primis?

    «Male. Comunione, collaborazione e corresponsabilità sono caratteristiche lontane dal rappresentare, per quanto riguarda i laici, la norma nella Chiesa italiana. Molti pastori riconoscono schiettamente che la nostra Chiesa è ancora accentuatamente clericale».

I movimenti ecclesiali hanno cambiato qualcosa nel rapporto tra gerarchia e laicato?

    «I nuovi movimenti hanno indubbiamente promosso una complessiva crescita del laicato e favorito, sotto molti aspetti, un nuovo protagonismo laicale. In generale non hanno avvertito come cosa propria il loro pieno inserimento nella vita delle comunità parrocchiali o diocesane, salvo quelle che i movimenti hanno considerato “vicine” alla loro sensibilità e nelle quali si sono riconosciuti. La linea tradizionalmente perseguita dall’Azione cattolica, quella di una collaborazione schietta e convinta con la Chiesa locale, è purtroppo diventata in molte realtà minoritaria, con il rischio della creazione di “Chiese parallele” o di Chiese locali divenute una quasi ingovernabile sommatoria di realtà autoreferenziali».

Nel volume si segnala la mancata istituzione del Consiglio italiano dei laici. Quale contributo potrebbe dare un siffatto organismo?

    «L’ipotesi di un Consiglio dei laici non è un’esigenza, o addirittura un sogno personale, ma una precisa indicazione del concilio Vaticano II: lo chiede, sia pure proposto come non obbligatorio, il decreto Apostolicam actuositatem al n. 26. Non si vede dunque perché in Italia non possa essere davvero realizzato un organismo già operante in numerosi Paesi. Occorrerà studiare con grande attenzione il problema; ma non vi è dubbio che un autorevole “Senato” laicale potrebbe essere un prezioso organo di consultazione dell’episcopato».

 

2 Cristiani adulti in una chiesa adulta

 

pesce_2824594.jpgPubblichiamo di seguito la lettera di don Francesco Pesce, il sacerdote della diocesi di Treviso incaricato dal vescovo, mons. Gianfranco Agostino Gardin, di presentare a tutte le parrocchie trevigiane la Lettera pastorale "Una meraviglia ai nostri occhi". Sul contenuto e il significato di questo documento il n. 25 di Famiglia Cristiana ora in edicola contiene, insieme a quelle a Giorgio Campanini e Saverio Xeres (autori del libro "Manca il respiro", ed. Ancora), un'intervista a monsignor Gardin.

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Durante l’apertura dell’anno pastorale della diocesi di Treviso lo scorso 30 settembre, il vescovo Gianfranco Agostino Gardin ha presentato la sua lettera pastorale «Una meraviglia ai nostri occhi». Cristiani adulti in una chiesa adulta (G.A. Gardin, Lettera pastorale «Una meraviglia ai nostri occhi». Cristiani adulti in una chiesa adulta, Editrice San Liberale, Treviso 2011). Con questo scritto il vescovo, già Ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali e Segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, nonché fondatore della rivista CredereOggi, propone alla sua diocesi la scelta di puntare l’attenzione e l’attività pastorale sugli adulti e, in particolare, sulla fede degli adulti, allo scopo di formare credenti adulti nella fede. Con questa scelta Gardin intende «“aprire i lavori” di un laboratorio, o di un cantiere, che dovrà vederci all’opera nei prossimi anni»: il «cantiere» della fede degli adulti.

Tale indicazione è meglio comprensibile se collocata nella situazione in cui si trova la diocesi di Treviso, che è delineata nel modo seguente dallo stesso Gardin: «Viviamo in un territorio di forte tradizione cristiana, dove però una fede vissuta in modo maturo e coerente è sempre più una “scelta di minoranza”. Una pratica religiosa che sia sostenuta solo dalla tradizione implode. Si sente l’urgenza di superare una pastorale di conservazione che riproduce modelli legati ad una struttura sociale e ad una cultura di fatto superate […]. Forse lo Spirito ci chiede di recuperare o reinventare stili di vita che ci aiutino ad essere cristiani, ogni giorno, lì dove siamo, nei luoghi della nostra vita quotidiana […]. Molti attendono e chiedono, quindi, che la Chiesa sappia trovare forme nuove di presenza e di trasmissione della fede, tenendo conto delle fatiche che vivono i credenti. Il cammino che le nostre Chiese hanno davanti a loro richiede in primo luogo comunità rinnovate, meno preoccupate dell’efficienza, che sappiano mostrare un volto accogliente» (Una meraviglia…, n. 13).

Pertanto, è di stringente attualità per la chiesa di Treviso la scelta indicata attraverso la lettera di mettere al centro dell’azione pastorale la formazione alla fede degli adulti, i quali sono «in senso più pieno i destinatari del messaggio cristiano» (23), inventando nuove forme di annuncio della Buona Notizia e rivitalizzando le attività tradizionali delle parrocchie in chiave missionaria.

Tale indicazione è in continuità con il cammino della diocesi di Treviso degli ultimi anni: il XIV Sinodo diocesano del 2000 sul tema "La parrocchia,centro di vita spirituale per la missione" e l’Esortazione pastorale di mons. Andrea Bruno Mazzocato «Camminate nella carità come Cristo ci ha amato» (2009), ricca di riflessioni e di indicazioni per la formazione cristiana.

Numerosi, inoltre, sono i documenti magisteriali che puntano l’attenzione sull’adulto e la fede degli adulti, in particolare sulla necessità di un «rinnovato primo annuncio della fede» (Cei, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n. 6; Gardin, Una meraviglia…, n. 10). Anche gli Orientamenti della CEI per il decennio "Educare alla vita buona del Vangelo" pongono «la cura della formazione permanente degli adulti e delle famiglie» come la prima delle priorità necessarie per «dare impulso e forza al compito educativo delle nostre comunità» (Cei, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 55). La scelta della formazione alla fede degli adulti può offrire un contributo anche al cammino che le diocesi del Triveneto stanno compiendo in vista del Convegno ecclesiale di Aquileia del prossimo aprile, in particolare alla prima delle tre piste di lavoro: la nuova evangelizzazione (le altre riguardano il rapporto con la cultura di oggi e il bene comune).

Nella parte iniziale della lettera, il Vescovo presenta alcune scene di vita pastorale dalle quali egli stesso è interpellato; ogni credente è invitato a chiedersi quali domande le diverse situazioni quotidiane pongono alla propria fede. Nella seconda parte, il lettore è accompagnato a superare la nostalgia di un (presunto) passato migliore e a guardare alla situazione di oggi convinti che il Signore ci parla attraverso di essa. Dopo aver esposto le ragioni della scelta del tema, la quarta parte risponde alla domanda: “quando la fede può essere detta adulta?”, descrivendo i tratti propri della fede adulta: la meraviglia per il dono ricevuto, che riconosce che «il Dio cristiano è gratuito, impensato, sorprendente» (n. 29), la fede come risposta libera, la centralità di Gesù Cristo, l’aspetto conoscitivo, la dimensione dell’affidamento e della fiducia, la necessità delle mediazioni (chiesa e coscienza), l’operosità della fede.

I contenuti essenziali della Lettera possono essere tratteggiati come segue:

  1. Non generica formazione degli adulti ma formazione alla fede adulta. La lettera evidenzia una condizione diffusa, adulti credenti senza una corrispondente fede adulta: si può essere cresciuti in età ma non nella fede, che, rimanendo infantile, assomiglia a un vestito di un undicenne indossato da un uomo di 45 anni o più. La formazione, pertanto, dev’essere rivolta a far sì che la fede diventi adulta
  2. Non “roba da bambini” ma “roba da adulti”. Agli occhi del “non praticante” o “non credente”, la fede cristiana appare come “roba da bambini”, perché considerata incapace di intercettare le dinamiche vitali dell’adulto. Al tempo stesso, anche il credente rischia di viverla come un settore che non interagisce con il resto della vita, rimanendo in una situazione di «infantilismo religioso» (n. 37). La fede, invece, «è capacità di immettere il Vangelo nelle vicende diverse che intessono il vivere quotidiano» e questo «comporta che essa, nelle varie stagioni e circostanze della vita, sia ri-compresa, ri-motivata, ri-assunta» (n. 24). In questo modo, entra in sintonia con ciò che interessa l’adulto, il quale «subisce i contraccolpi, le provocazioni, le sfide che provengono sia dai mutamenti culturali...sia dalle vicende della propria storia personale: quelle relative alla famiglia e agli affetti, alla salute, alla professione, all’inserimento nella società civile, a circostanze imprevedibili, ecc. Anche l’adulto vive le sue crisi; la sua vita non è affatto lineare» (n. 27).
  3. Non riguarda gli altri ma riguarda me. Il Vescovo sottolinea che «le nostre comunità ecclesiali non sono composte di credenti adulti... in una misura corrispondente alla loro presenza anagrafica nelle parrocchie» (n. 15). La questione della fede adulta non può essere considerata come “problema degli altri, di chi non crede, di chi è lontano, di chi è fuori dalla comunità”. Ogni credente è invitato a «un ininterrotto prendersi cura della propria fede» (n. 24), affinché diventi una fede «fatta propria» (n. 28).
  4. Non da soli ma in una comunità adulta. C’è un legame stretto tra la fede adulta e la chiesa adulta, tanto che non esiste una senza l’altra: «la vera comunità cristiana è una comunità di adulti nella fede» (n. 23) e non si può non «sottolineare il riconoscimento dovuto al laico adulto e all’apporto che egli può dare alla comunità, così che la “fede adulta” trovi il suo habitat dentro una “comunità cristiana adulta”» (n. 35).



In qualità di segretario dell’ufficio pastorale, sono stato incaricato, assieme ad altri, di presentare la lettera nelle parrocchie, a Consigli pastorali e a gruppi di preti. Utilizzando una modalità tesa a coinvolgere l’uditorio e far emergere il punto di vista di ognuno, gli incontri di presentazione tentano di sintonizzare le persone con uno degli obiettivi della lettera: la questione della fede adulta non riguarda gli altri ma me in prima persona. La reazione immediata più frequente è di fatica: non è scontato accostare la lettera secondo l’angolatura adeguata, ossia dal punto di vista dell’ascolto personale.

Infatti, è frequente che il primo livello di lettura sia “pensando agli altri”
(nel senso del “cosa dobbiamo fare per quelli che non vengono a messa, per attirarli”): abbiamo in mente chi non frequenta, chi è “lontano” dalla chiesa, chi ha abbandonato, chi è indifferente, chi vuole ricominciare. Ci si lascia interpellare, sì, dalle esperienze e dagli incontri, ma le domande che emergono sono sulla linea del convincere l’altro, del fare per gli altri. Meno facile è sentire e riconoscere la lettera “rivolta a se stessi”, alla propria fede; sembra si sia più abituati a parlare degli altri che lasciarsi interpellare dagli altri: “cosa stanno dicendo a me? Io che fede ho? Quale Dio comunico? Quale Dio ho incontrato? La mia fede è matura?”.

Pertanto, un elemento importante da chiarire è la differenza tra “fede di un adulto” e “fede adulta”: spesso sembra scontato che esse coincidano, ossia che un adulto abbia in maniera corrispondente alla sua età anche una fede adulta. Dagli incontri svolti appare che neppure chi pratica assiduamente è esente dalla possibilità di trovarsi in una situazione di “infantilismo religioso”, ovvero di considerare la fede come un insieme di sicurezze, inscalfibile, senza domande e senza ricerca.

Tale atteggiamento di sicurezza sembra essere una risposta alla situazione sociale che la diocesi vive: la presenza cristiana è sempre più di minoranza
, l’incontro con altre religioni pone questioni inedite, al fenomeno dell’immigrazione viene attribuita la causa di tensioni e instabilità, un certo benessere raggiunto in questi decenni sembra essere minacciato. Il credente adulto nella fede, invece, riesce a portare l’attenzione sul proprio cammino di fede, non chiudendosi in un atteggiamento intimistico, ma aprendo il cuore alla realtà concreta del proprio rapporto col Signore, entrando in dialogo e lasciandosi interpellare dalle relazioni di ogni giorno (in particolare, con chi si dice non credente).

Un altro aspetto che risulta significativo dai contributi offerti negli incontri è l’attenzione al passaggio da una fede infantile alla fede adulta: esso domanda di essere accompagnato non in modo sporadico ma con un’azione adeguata. “Chi mi può aiutare a camminare verso una fede adulta?”: richieste come questa interpellano le comunità cristiane a sviluppare un servizio specifico rivolto a coloro che intendono muovere i primi passi nella fede ma anche a coloro che hanno il desiderio di immergersi nuovamente nel centro della fede. Si aprono nuove piste di lavoro: come acquisire le capacità adeguate a rivolgersi a persone adulte? Quando la fede di una persona può essere detta “adulta”? Quali segnali ne indicano la maturità? Quali azioni pastorali sostenere o mettere in atto per accompagnare il passaggio alla fede adulta?

don Francesco Pesce

Segretario Ufficio pastorale Diocesi di Treviso

© Famiglia Cristiana, 15 giugno 2012