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Dossier. Medio Oriente, cristiani in fuga

La paura dei conflitti regionali e dell'intolleranza religiosa, la ricerca di un futuro migliore stanno portando i cristiani lontani da questa terra. Un'inchiesta del mensile "Jesus" mette in luce la situazione nelle regione.

1 Medio Oriente, il grande esodo dei cristiani

La paura dei conflitti regionali e dell'intolleranza relgiosa, la ricerca di un futuro migliore stanno portando i fedeli lontani da questa terra.

Sono destinati a essere spazzati via, schiacciati dalle guerre civili e dalla violenza dell’integralismo islamico? Finiranno per chiudersi sempre più in piccoli ghetti, in difesa di tradizioni esangui? Oppure diventeranno una minoranza creativa e saranno il lievito per la rinascita di queste terre dove la storia dei seguaci di Gesù ebbe inizio? Di certo c’è che il numero dei cristiani in Medio Oriente diminuisce ogni giorno di più. Nell’area che va dall’Egitto all’Iran passando per la Terra Santa, oggi i fedeli delle diverse Chiese sono ridotti a meno di 12 milioni di persone: una cifra che continua a scendere per via dell’aumento esponenziale dell’emigrazione verso l’Europa, gli Stati Uniti e l’Australia.

La ricerca di un futuro migliore, la paura dell’intolleranza religiosa e la fuga dai conflitti regionali sta portando i cristiani ad abbandonare le terre che furono la culla della Chiesa delle origini. E rischia di dar vita a uno scenario mai realizzatosi prima nella storia: un Medio Oriente orfano di quel ricco mosaico di comunità cristiane che è stata caratteristica originale di una delle aree più lacerate ma anche più vivaci del pianeta.

Che cosa succederà nei prossimi anni? Un’inchiesta del nostro mensile Jesus indaga sulla fragile situazione nella regione, in un viaggio che ha attraversato tutti i Paesi compresi tra il Nilo e l’Eufrate.

Giovanni Ferrò

© Famiglia Cristiana, 5 gennaio 2014

 

2 I seguaci di Cristo sempre stranieri in questo mondo

 

Ma il ripopolamento giudaico della Palestina deve alimentare nei cristiani la speranza in una loro rinascita. L'analisi del giornalista e scrittore Gad Lerner.

Il brutale ridimensionamento numerico della presenza cristiana nei luoghi natali di Gesù può configurarsi come un paradosso, o se volete un mistero della fede: stiamo parlando della religione più diffusa del pianeta che si ritrova quasi estirpata dal suo luogo d’origine. Può suonare a riconferma, per chi lo voglia, del fatto che i seguaci del Cristo sono sempre un po’ stranieri in questo mondo. Di certo è un monito salutare per tutti quei manipolatori che nei secoli hanno preteso esistesse una terra esclusivamente cristiana, o musulmana, o ebraica, o di qualunque altra confessione.

So che alcuni dotti hanno cercato un significato provvidenziale alla rapida conversione all’islam di intere popolazioni già cristiane, nei due secoli successivi alla predicazione del Profeta. Che sia stato l’esito di una grave deviazione delle Chiese orientali dell’epoca? Più complesso ancora, dal punto di vista teologico, è accettare che il mistero della persistenza ebraica lungo diciannove secoli di dispersione, con un repentino colpo di scena, abbia generato il massiccio ripopolamento giudaico della Palestina storica: i nostri antenati avrebbero ritenuto impensabile che in tale regione il numero degli ebrei tornasse a superare di gran lunga la presenza dei battezzati.

Quest’ultimo evento consentirà forse ai cristiani di avere fiducia in un domani che sovverta l’incubo della sparizione da cui oggi in tanti si sentono afflitti. Come già ai tempi dei califfi, sono minacciate di scomparsa Chiese in genere compromesse col potere (anche se a pagarne il tributo sono sacerdoti eroici e fedeli innocenti). Ma la storia, oltre che la fede, ci insegnano che non è mai detta l’ultima parola.

Gad Lerner

© Famiglia Cristiana, 5 gennaio 2014

 

3 La crisi d'identità dell'islam e il ruolo dei cristiani

 

Partire o restare. Queste sono le due opzioni. Ma chi decide di restare deve farlo con la volontà di prendere parte all'inevitabile cambiamento in corso. L'analisi di padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terrasanta.

Se ci soffermiamo sulla situazione dei cristiani in Terra Santa, negli ultimi tempi non si riscontrano grosse novità: c’è chi, con una buona formazione culturale e professionale, emigra in cerca di un futuro migliore; altri restano, incoraggiati e assistiti dalle istituzioni della Chiesa locale.

Se allarghiamo lo sguardo a tutto il Medio Oriente, gli stravolgimenti in corso invece sono molti ed evidenti: i vecchi equilibri sono saltati e in questa fase di travaglio se ne stanno preparando di nuovi. La tragedia della Siria è forse proprio il segno di questo. Nelle crisi dei sistemi politici e nelle turbolenze interne all’islam, la sorte dei cristiani finisce per essere la cartina di tornasole che segnala il doloroso processo in corso. Sulla componente più fragile si scaricano tutte le tensioni. La crisi di identità del mondo musulmano è evidente in Siria, in Egitto, in Iraq e altrove. Il fondamentalismo, che propone risposte semplici a problemi complessi, non fa che mettere in piena luce lo smarrimento dell’islam contemporaneo.

In un simile contesto, ai cristiani mediorientali non restano che due alternative: partire o restare. Andarsene è tutto sommato l’opzione più semplice. Rimanere è una scelta importante, anche perché occorre farla senza rimpiangere un passato che non tornerà. Implica il voler prendere parte ai cambiamenti lasciandosi alle spalle una fase storica in cui si badava più a proteggere la propria comunità che ad affermare l’uguaglianza dei diritti di tutti e il loro rispetto. Propugnare il pieno riconoscimento dei diritti di cittadinanza è un contributo importante che i cristiani possono offrire alle loro nazioni.

Pierbattista Pizzaballa

© Famiglia Cristiana, 5 gennaio 2014

 

4 Tornare ad essere ponte tra Oriente e Occidente

 

Se non vogliono sparire, i cristiani del Medio Oriente devono lavorare per conciliare cristianesimo e islam. L'opinione di Paolo Naso, docente di Scienza politica e membro della Chiesa valdese.

Secondo osservatori attenti e partecipi come il sociologo cattolico palestinese Bernard Sabella, si è innescato un processo che potrebbe portare all’estinzione dei cristiani in Medio Oriente, di cui rimarrebbero le vestigia di templi e monasteri, a testimonianza però di comunità ormai in diaspora o semplicemente sparite dalla scena regionale. Le ragioni di questo rischio sono diverse, variano da Paese a Paese e non si esauriscono affatto nell’esito «fondamentalista» di alcune rivoluzioni arabe.

L’esodo cristiano inizia infatti negli anni ’70 quando, forti del loro ruolo politico in Libano, molti giovani dei ceti più abbienti scelsero la strada dell’occidentalizzazione e dell’emigrazione verso gli Usa. Fu l’inizio di una fuga di cervelli e di risorse umane divenuta di massa negli anni della guerra civile nel Paese dei cedri. L’altro grande esodo fu a cavallo dell’Intifada palestinese degli anni ’80, ebbe come protagonisti molti giovani cristiani palestinesi colti e, come fattore determinante, il peso dell’occupazione israeliana. In altri Paesi ancora – Egitto, Siria – i cristiani si adattarono bene a regimi che concedevano loro spazi di autonomia. Il prezzo politico, però, era la loro fedeltà ai vari raís.

Le rivoluzioni e il loro esito islamista hanno fatto saltare questo “patto” ed esposto i cristiani a ritorsioni e vendette che, giustamente, ci devono preoccupare. Ma senza resuscitare le teorie infondate dello «scontro di civiltà». I cristiani arabi sanno, molto meglio di noi, che o torneranno a essere un ponte tra Occidente e Oriente, tra cristianesimo e islam o, semplicemente, non saranno.

Paolo Naso

© Famiglia Cristiana, 5 gennaio 2014

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