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Dossier. «Il non profit va difeso insieme Sbagliati gli attacchi alla Chiesa»

I presidenti di oltre 150 circoli Arci dell’area fiorentina sabato hanno consegnato simbolicamente le chiavi delle strutture al prefetto del capoluogo toscano per protestare contro la disciplina 2012 dell’Imu che equipara, come hanno spiegato, «circoli e Case del popolo agli esercizi commerciali»

LOGO HOME PAGE.jpgNel corso del presidio è stato spiegato che le norme dell’Imu hanno fatto sì che le cifre della tassa decuplicassero rispetto a quelle dell’Ici. «Avanti di questo passo non ci resterà che chiudere», hanno detto alcuni dei presidenti Arci. La protesta è emblematica. Perché le nuove norme Imu sono state varate in seguito alla pressante campagna "laicista" orchestrata per far pagare le strutture della Chiesa cattolica, senza considerare che l’imposta avrebbe colpito tutto il non profit per una semplice ragione: che non vi era alcuna norma che esentava la Chiesa in quanto tale, ma solo una legge che esentava gli immobili di enti e associazioni nei quali si svolgono attività non profit di rilevanza sociale. Sull’argomento abbiamo intervistato Paolo Beni, presidente Arci nazionale.

Paolo Beni, presidente dell’Arci, perché il grido d’allarme contro l’Imu dei Circoli e delle Case del Popolo in Toscana?
Con l’iniziativa di sabato a Firenze abbiamo voluto richiamare l’attenzione su una contraddizione evidente: immobili dove si svolgono attività associative in forma volontaria e di alto valore sociale devono pagare cifre insostenibili. Fatti i conteggi, è emerso un quadro disastroso, la situazione sta diventando veramente esplosiva.

Scusi, ma per mesi questo giornale è stata l’unica voce a scrivere che la Chiesa non aveva alcun privilegio, che le esenzioni riguardavano solo le attività di rilevanza sociale di tutto il non profit, e che alla fine della campagna contro la Chiesa tutto il non profit ne avrebbe fatto le spese. Dove eravate?
Come Arci la nostra posizione l’abbiamo sempre sostenuta con chiarezza, anche all’interno del Forum Terzo settore. Il fatto è che sulla questione in Italia c’è stata una discussione confusa e viziata da un approccio ideologico. I mezzi di informazione non hanno favorito la chiarezza ed è passata l’idea che la questione Ici/Imu riguardasse solo la Chiesa cattolica. Le esenzioni erano concesse ad attività di rilevanza sociale, che fossero laiche o cattoliche. Ma noi abbiamo sempre detto anche un’altra cosa.

Quale?
Che non è giusto esentare solo gli enti non profit proprietari degli immobili, ma che l’esenzione andrebbe concessa in base all’uso del fabbricato, anche quando il proprietario è un altro, ma concede a un’associazione lo stabile in comodato gratuito o con affitto agevolato.

Non negherà che a sinistra molti hanno cavalcato la campagna Imu-Chiesa, ma quasi nessuno ha capito che la questione riguardava tutto il sociale, anche laico. Distacco dalla realtà?
La questione è stata amplificata in modo superficiale, è stata presentata erroneamente come Chiesa sì o Chiesa no, e si è fatta molta confusione. Nell’opinione pubblica vi è una visione superficiale di quello che sono il volontariato e il privato sociale, mentre servirebbe una conoscenza più puntuale di questo mondo e una maggiore attenzione al valore sociale che esprime. È anche colpa della confusione normativa. Sarebbe ora di fare chiarezza per dare forza e visibilità alla società quando si auto organizza. Il non profit ha fatto passi in avanti nella capacità di rappresentarsi, forse è il momento di fare di più per rendere visibile e riconoscibile la qualità sociale di queste realtà.

Eppure gli attacchi al non profit, quando è cattolico, non arrivano solo da ambienti ultraliberisti e radicali, ma anche dal fronte politico che più dovrebbe avere a cuore l’esistenza di un’economia civile e di reti di solidarietà. O no?
Sia nel mondo dell’impegno sociale riconducibile all’esperienza laico-socialista che in quella cattolico-popolare ci sono realtà che nella loro diversità sono assolutamente in grado di valorizzare una base culturale comune, che parla di valori come la centralità della persona, di rispetto della dignità e dei diritti, di partecipazione, solidarietà, di giustizia sociale. La contrapposizione non dovrebbe essere tra laici e cattolici, ma tra chi ha un’idea di società nella quale è il mercato a orientare ogni cosa, e dove a decidere è il più forte o il profitto fine a se stesso, e chi invece vede una società fondata sulla cooperazione tra individui e in quello che rappresenta il Terzo settore. È vero: c’è da fare una grande battaglia culturale.

Massimo Calvi
 
© Avvenire, 5 febbraio 2013
 
 

Imu, ora protesta il non profit di sinistra

 
 

IMu190.jpg«Con l’Imu siamo al top. Grazie PdBersani, che fai ora… Ci sbrani tu o ci fai sbranare? Chiuso per lutto della politica di sx. Ridateci una parte dei contributi che vi abbiamo dato per le primarie». La grammatica e la punteggiatura sono quelle che sono ma il messaggio è forte e chiaro. Lui, l’anziano con il tricolore e il cartello di protesta, se ne sta dall’altra parte della strada, davanti all’ingresso del Consiglio regionale della Toscana, nella centralissima via Cavour, a Firenze. I suoi "colleghi" delle Case del popolo e dei Circoli Arci sono di fronte, davanti all’ingresso di Palazzo Medici Riccardi, sede della Provincia e della prefettura. Aspettano di consegnare al prefetto le chiavi delle loro sedi per protesta contro la "batosta" dell’Imu.

Nel cartello del "contestatore solitario", che viene dalla Società di mutuo soccorso di Soffiano, si precisa che il suo circolo non ha "macchinette mangiasoldi", non ha pizzerie né ristoranti, né tantomeno rimborsi elettorali: «Abbiamo – si legge – un piccolo bar, diamo ospitalità a una scuola di danza…», ma soprattutto, nel bilancio 2012, abbiamo «meno euro 850».

L’Sms di Soffiano, alle porte di Firenze, è una piccola realtà, ma ieri mattina, a consegnare le chiavi dei circoli, c’erano molti dei rappresentanti delle 280 realtà associative di sinistra, grandi e piccole, tra Circoli Arci, Società di mutuo soccorso, Case del popolo e associazioni culturali diffuse in gran parte dell’area provinciale fiorentina. «Siamo luoghi aperti, dove le persone si incontrano e costruiscono azioni e relazioni – spiegano i promotori della manifestazione –. Siamo una rete che organizza centinaia di iniziative e offre occasioni di protezione sociale per i più deboli. Svolgiamo un ruolo di presidio del territorio, di mediazione dei conflitti sociali, di offerta di ricreazione e cultura: siamo, che si voglia riconoscere o meno, un pezzo fondamentale del sistema del welfare».

Dicono di avere assistito «al dibattito sull’Imu e accettato la nuova disciplina sulla tassazione (e le esenzioni) delle proprietà immobiliari degli enti no profit». Erano «consapevoli e convinti» che anche a loro sarebbe toccato dare un contributo al risanamento delle finanze statali. Ma trovano ingiusti i criteri con cui si è deciso di calcolare il pagamento dell’Imu per le loro strutture e per quelle similari. In sostanza, ritengono che le attività sociali, ricreative e culturali, siano state equiparate a quelle prettamente commerciali.

Tea Albini, parlamentare del Pd, ex consigliere comunale a Firenze, da sempre vicina all’Arci e ora componente, alla Camera, della commissione Finanze, era nel gruppetto di politici presenti ieri davanti alla prefettura: «C’è una sofferenza sostanziale che riguarda tutto il non profit e non solo i nostri circoli – ammette –. L’allarme lo abbiamo lanciato da tempo, anche se in partenza non abbiamo condiviso quello che veniva dal mondo cattolico per una difficoltà iniziale a capire esattamente la questione. Ma adesso è una battaglia di tutti, che deve essere condivisa. Non dico che non si debba pagare l’Imu ma bisogna entrare nel merito e distinguere le attività esclusivamente commerciali da quelle a carattere sociale o ricreativo».

Per questo, anche con il gesto della consegna della chiavi al rappresentante locale del governo nazionale, viene chiesta «una giusta tassazione e una giusta esenzione per lo sviluppo di associazionismo e solidarietà», e lanciato un monito al governo che verrà affinché «non si spinga a disporre di certe strutture come vuole, ma ne riconosca il ruolo fondamentale per il Paese».

 
Andrea Fagioli
 
© Avvenire, 4 febbraio 2013
 
 

Meglio tardi che mai

 
 

L’altro «non pro­fit » s’è sveglia­to, definitivamente. Il mondo delle attività sociali senza fini di lucro è una realtà vasta – cattolica, certo, ma anche di altri e diversi riferimenti ideali, laici e religiosi – che fa migliore la nostra società e offre riferimenti buoni, rendendo un po’ meno grama la vita di tan­ta gente soprattutto in questi tempi di crisi. Non è una realtà solo italiana, ma in Italia è presente in modo unico e speciale, facendo da base a un «wel­fare sussidiario», a una rete di solidarietà che il re­sto dell’Europa non conosce in questa forma, che solo ora sta scoprendo e tentando di imitare (gli in­glesi l’hanno ribattezzato big society) e che, però, le attuali regole vigenti nella Ue non comprendono e, dunque, possono penalizzare.

Una lunga e ostile battaglia politico-mediatica portata appunto sino in Europa,a Bruxelles, al grido di «mor­te ai privilegi della Chiesa cattolica» ha costretto l’I­talia a rivedere le proprie norme in materia di «non profit» tassando una buona parte delle attività di que­sto tipo svolte anche con «modalità commerciali» (bolle di accompagnamento, affidamento in gestio­ne di una mensa o di un circolo culturale pur senza fini di lucro, rette mirate alla pura sopravvivenza di realtà educative e di accoglienza...) e perciò accusa­te di essere attività comunque «commerciali».

Sono le norme varate dal governo Monti dopo un lungo negoziato con la Commissione europea. E se fosse passata integralmente la linea caldeggiata dai nemici del «non profit» (nonché da un incredibile parere di una sezione del Consiglio di Stato che, per fortuna, il governo non ha considerato fondato in quelle argomentazioni) sarebbe stato ancor peggio... Ora anche l’altro «non profit», a cominciare da quello fiorentino e “di sinistra”, ha deciso di farsi sentire sonoramente contro la tassazione pesante e «ingiusta» sui luoghi dove svolge le proprie attività. Fa bene a farlo, anche se un po’ in ritardo.

E noi diamo voce a una protesta fondata, dolente e grave.

La stessa voce che, per così dire, le avevamo prestato in anticipo, quando i portavoce di questo mondo tacevano e noi, su questo giornale, scrivevamo e dimostravamo in solitudine, carte alla mano, che non c’era una norma (e neanche mezzo codicillo) confezionata ad ecclesiam e che tutto ciò che si stava dicendo di falso contro le attività sociali della Chiesa era in realtà mirato contro l’intero mondo del «non profit». Perché le attività «for profit», cioè davvero commerciali, dei cattolici come di chiunque altro, sono sempre state soggette a tassazione (e chi eventualmente non paga il dovuto – l’abbiamo ripetuto infinite volte – è un evasore, non un privilegiato). Perché l’obiettivo – ideologico – di qualcuno era e resta quello di mortificare e tassare la solidarietà. I radicali e tanti, troppi, giornali – soprattutto quelli “di sinistra”: da Repubblica al Manifesto, dal Fatto e, prima dell’attuale direzione, anche a l’Unità – hanno continuato imperterriti a dare spazio, ragione e titoli alle false tesi di coloro che – lo scrissi per due giorni di seguito pubblicando il 7 dicembre 2011 un editoriale intitolato provocatoriamente “La vergogna dell’Ici” e, per sfida, ripubblicandolo identico il giorno successivo – mentivano sapendo di mentire. Costoro, assieme ai radicali, cioè agli iper-liberisti portabandiera di una battaglia profondamente anti-solidarista, hanno contribuito a creare il caso europeo che ha portato alla «bastonatura» di tutto il «non profit» italiano. Non è mai troppo tardi per rendersene conto. E per lavorare per cambiare le regole europee e italiane. Abbiamo tanto da dare all’Europa, non solo ottuso anticlericalismo di stampo ottocentesco e autolesionistiche campagne contro l’altra economia e l’altro welfare.


 
Marco Tarquinio
 
© Avvenire, 3 febbraio 2013
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