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Dossier. Firenze: noi non siamo razzisti ma...

Il raid di Torino contro il campo rom, il duplice omicidio di Firenze. Anni di propaganda a sfondo razzista contro gli immigrati cominciano a dare i loro frutti.

1. Il nostro piccolo Breivik

 

casseri_2315779.jpgDai e dai con la propaganda ed ecco che anche l'Italia può vantare il suo "piccolo Breivik". Certo, i due senegalesi uccisi a Firenze da Gianluca Casseri non sono i 77 giovani massacrati a Oslo, ma i tratti comuni ai due episodi sono troppi per essere archiviati, come qualcuno già prova a fare, come l'episodio di un folle isolato.

    L'Italia, proprio come la Norvegia, ha attraversato anni in cui la polemica politica, dietro l'alibi del realismo e della crisi economica, dell'identità nazionale e dell'omogeneità culturale, si è abbandonata a un razzismo neppur tanto strisciante, condito di pregiudizi e falsità. Lo straniero (tranne quelli ricchi, ovviamente) e l'immigrato sono stati tramutati in categorie sospette per definizione, anche se qualunque studio serio era pronto a dimostrare che il nostro Paese dall'immigrazione trae profitto, in senso economico e demografico.

    L'immigrazione come congiura, l'immigrato come agente patogeno. L'arrivo degli stranieri come un male da combattere, a prescindere. A dispetto, per esempio, della realtà dei fatti: di un mercato del lavoro che, come ha dimostrato il XVII° Rapporto Ismu sull'immigrazione, appena presentato, "chiama" gli immigrati quando l'economia cresce e li respinge automaticamente quando l'economia ristagna: 430 mila nuovi immigrati l'anno tra il 2003 e il 2009, solo 70 mila in un 2010 pure segnato dalle turbolenze e dalle guerre dell'Africa del Nord.

     Dal raid contro il campo nomadi di Torino, provocato dalle incaute dichiarazioni di una ragazzina che ha poi chiesto scusa a tutti, alla sparatoria di Firenze, per citare solo gli ultimissimi episodi, raccogliamo i frutti di una politica che su questo tema ha dato il peggio di sé. Al posto di regolare i fenomeni e placare certe comprensibili paure, ha acceso il conflitto e sulle fiamme ha speculato per piccola convenienza elettorale. Ovunque. Anche, per fare un altro esempio, nella Roma che pareva messa a sacco dai romeni e si è poi ritrovata con il record di omicidi, commessi da italianissimi assassini. Anche a Napoli, con le incursioni contro i rom sobillate forse dalla camorra.

     Piaccia o no, negli spari di Casseri c'è molta Italia. Quella del "io non sono razzista ma", che ai razzisti veri ha tenuto fin troppo bordone.

 

2. Dura la vita dell'immigrato

 

operaie_2315797.jpgPer anni ci siamo sentiti ripetere la favola che gli immigrati tolgono lavoro ai nostri giovani, evidentemente ansiosi di fare i pizzaioli, la badante o il muratore. Ho recuperato di recente uno studio Eurostat, l’ufficio statistico della Commissione Europea, frutto di una ricerca realizzata a fine 2008, che mostra una realtà ben diversa.

    Nell’Unione Europea a 27 Paesi, gli immigrati (cioè le persone nate in Paesi esterni alla Ue) formano ormai il 9,4% della popolazione. E la loro situazione socio-economica è ben lungi dall’essere paragonabile a quella degli europei di nascita. Per il 34% dei casi, gli stranieri di età compresa tra i 25 e i 54 anni che vivono e lavorano in Europa hanno titoli di studio e qualificazioni assai superiori a quelli richiesti dal lavoro che in effetti svolgono. Lo stesso dato tra gli europei si ferma al 19%. Andando a vedere Paese per Paese, lo stesso dato risulta particolarmente clamoroso in Grecia (stranieri super-qualificati nel 66% dei casi contro il 18% dei greci), Italia (50% contro 13%), Spagna (58% contro 31%), Cipro (53% contro 27%), Estonia (47% contro 22%) e Svezia (31% contro 11%).

     Ma non basta. Solo in due Paesi dell’Europa a 27, cioè in Grecia e in Ungheria, il tasso di disoccupazione degli stranieri (sempre tra i 25 e i 54 anni) è più o meno simile a quello dei nativi. Molto netta la differenza, invece, in Belgio (immigrati disoccupati al 14% contro il 5% dei belgi), Svezia (11% contro 3%), Finlandia (11% contro 5%), Spagna (15% contro 9%), Francia (12% contro 6%) e Germania (12% contro 6%).

     Per finire: il 31% degli stranieri che vivono e lavorano in Europa è a rischio di povertà o esclusione sociale, contro il 20% dei nativi. Livelli di rischio molto più alti per gli stranieri soprattutto in Belgio (36% contro 13%), Svezia (32% contro 10%), Grecia (43% contro 23%), Francia (34% contro 14%), Austria (32% contro 13%), Finlandia e Danimarca (31% contro 13% in entrambi questi Paesi).

Fulvio Scaglione

© Famiglia Cristiana, 14 dicembre 2011