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Dottrina Fede: doni carismatici e gerarchici coessenziali alla Chiesa

Doni gerarchici ed i doni carismatici sono “coessenziali” alla vita della Chiesa: questo il punto centrale della Lettera "Iuvenescit Ecclesia" ("La Chiesa ringiovanisce"), pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede

I doni gerarchici e i doni carismatici sono “coessenziali” alla vita della Chiesa: questo il punto centrale della Lettera "Iuvenescit Ecclesia" ("La Chiesa ringiovanisce"), pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Il documento – a firma del cardinale prefetto, Ludwig Müller, e dell’arcivescovo segretario, Luis Ladaria – è rivolto ai vescovi della Chiesa cattolica e si sofferma “sulla relazione tra doni gerarchici e carismatici per la vita e la missione della Chiesa”. I primi sono quelli conferiti dal Sacramento dell’ordinazione (episcopale, sacerdotale, diaconale), mentre i secondi vengono liberamente distribuiti dallo Spirito Santo.

Qui sotto la sintesi del documento:


Connessione armonica e complementare, con obbedienza ai Pastori
In particolare, la Lettera “Iuvenescit Ecclesia” (IE) si sofferma sulle questioni teologiche, e non pastorali o pratiche, che derivano dal rapporto tra istituzione ecclesiale e nuovi Movimenti e aggregazioni, insistendo sull’armonica connessione e complementarietà dei due soggetti, purché nell’ambito di una “partecipazione feconda ed ordinata” dei carismi alla comunione della Chiesa, che non li autorizzi a “sottrarsi all’obbedienza verso la gerarchia ecclesiale”, né conferisca loro “il diritto ad un ministero autonomo”. “Doni di importanza irrinunciabile per la vita e la missione ecclesiale”, dunque, i carismi autentici devono guardare “all’apertura missionaria, alla necessaria obbedienza ai Pastori e all’immanenza ecclesiale”.

Non contrapporre Chiesa istituzionale e Chiesa della carità
Pertanto, una loro “contrapposizione o giustapposizione” con i doni gerarchici sarebbe un errore. Non bisogna, infatti, opporre una Chiesa “dell’istituzione” a una Chiesa “della carità”, perché nella Chiesa “anche le istituzioni essenziali sono carismatiche”, e “i carismi devono istituzionalizzarsi per avere coerenza e continuità”. In tal modo, ambedue le dimensioni “concorrono insieme a rendere presente il mistero e l’opera salvifica di Cristo nel mondo”.

Dimensione carismatica e maturità ecclesiale
Le nuove realtà, dunque, devono giungere alla “maturità ecclesiale” che comporta la loro piena valorizzazione e inserzione nella vita della Chiesa, sempre in comunione con i Pastori e attente alle loro indicazioni. L’esistenza di nuove realtà, infatti – sottolinea la Lettera – colma il cuore della Chiesa di “gioia e gratitudine”, ma le chiama anche a “relazionarsi positivamente con tutti gli altri doni presenti nella vita ecclesiale”, affinché siano “promossi con generosità ed accompagnati con vigilante paternità” dai Pastori per “concorrere al bene della Chiesa ed alla sua missione evangelizzatrice”. “La dimensione carismatica – si legge nel documento – non può mai mancare alla vita ed alla missione della Chiesa”.

I criteri per discernere i carismi autentici
Ma come riconoscere un dono carismatico autentico? La Lettera della Congregazione richiama al discernimento, compito che è “di pertinenza dell’autorità ecclesiastica”, secondo criteri specifici: essere strumento di santità nella Chiesa; impegnarsi nella diffusione missionaria del Vangelo; confessare pienamente la fede cattolica; testimoniare una comunione fattiva con tutta la Chiesa, accogliendo con leale disponibilità i suoi insegnamenti dottrinali e pastorali; riconoscere e stimare le altre componenti carismatiche nella Chiesa; accettare con umiltà i momenti di prova nel discernimento; avere frutti spirituali come carità, gioia, pace, umanità; guardare alla dimensione sociale dell’evangelizzazione, consapevoli del fatto che “la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati dalla società non può mancare in un’autentica realtà ecclesiale”.

Il riconoscimento giuridico secondo il Diritto canonico
Inoltre, la IE indica altri due criteri fondamentali da considerare per il riconoscimento giuridico delle nuove realtà ecclesiali, secondo le forme stabilite dal Codice di Diritto canonico: il primo è “il rispetto della peculiarità carismatica delle singole aggregazioni ecclesiali”, così da evitare “forzature giuridiche” che ne “mortifichino la novità”. Il secondo criterio concerne “il rispetto del regimen ecclesiale fondamentale”, favorendo “l’inserimento fattivo dei doni carismatici nella vita della Chiesa”, ma evitando che essi si concepiscano come una realtà parallela, senza un riferimento ordinato ai doni gerarchici.

Relazione tra Chiesa universale e Chiese particolari è imprescindibile
Il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede evidenzia poi come il rapporto tra doni gerarchici e carismatici debba tener conto della “imprescindibile e costitutiva relazione tra Chiesa universale e Chiese particolari”. Ciò significa che i carismi sono dati, sì, a tutta la Chiesa, ma che la loro dinamica “non può che realizzarsi nel servizio ad una concreta diocesi”. Non solo: essi rappresentano anche “un’autentica possibilità” per vivere e sviluppare la vocazione cristiana di ciascuno, sia essa il matrimonio, il celibato sacerdotale, o il ministero ordinato. Anche la vita consacrata, inoltre, “si colloca nella dimensione carismatica della Chiesa”, perché la sua spiritualità può diventare “una significativa risorsa” sia per il fedele laico che per il presbiterio, aiutando entrambi a vivere una specifica vocazione.

Guardare al modello di Maria
Infine, la IE invita a guardare a Maria, “Madre della Chiesa”, modello di “piena docilità all’azione dello Spirito Santo” e di “limpida umiltà”: con la sua intercessione, si auspica che “i carismi abbondantemente distribuiti dallo Spirito Santo tra i fedeli siano da questi docilmente accolti e messi a frutto per la vita e la missione della Chiesa e per il bene del mondo”. La pubblicazione della Lettera - datata 15 maggio 2016, Solennità di Pentecoste - è stata ordinata da Papa Francesco il 14 marzo scorso, nell’udienza concessa al cardinale Müller.

© Avvenire, 14 giugno 2016