E don Milani disse: «L’acqua è di tutti»
 «La  benemerita 991 la quale ci offre addirittura o di regalo il 75 per  cento della spesa oppure, se preferiamo, in mutuo l’intera somma. Mutuo  da pagarsi in 30 anni al 4 per cento comprensivo di ammortamento e  interessi. Nel caso specifico, l’acquedotto costerà circa 2 milioni. Se  vogliamo sborsarli noi, il governo fra due anni ci rende un milione e  mezzo.
«La  benemerita 991 la quale ci offre addirittura o di regalo il 75 per  cento della spesa oppure, se preferiamo, in mutuo l’intera somma. Mutuo  da pagarsi in 30 anni al 4 per cento comprensivo di ammortamento e  interessi. Nel caso specifico, l’acquedotto costerà circa 2 milioni. Se  vogliamo sborsarli noi, il governo fra due anni ci rende un milione e  mezzo. 
L’altro mezzo milione ce lo divideremo per 9 che siamo e  così l’acqua ci sarà costata 55.000 lire per casa. Oppure anche nulla;  basta prendere pala e piccone e scavarci da noi il fossetto per la  conduttura e ecco risparmiate anche le 55.000 lire. Se invece non  avessimo modo di anticipare il capitale allora si può preferire il  mutuo. Il 4 per cento di due milioni è 80.000 lire all’anno. Divise per  nove dà 8.800 lire per uno. Se pensi che 8.000 lire per l’acqua forse le  spendi anche te in città e se pensi che a te l’acqua non rende, mentre a  un contadino e in montagna vuol dire raddoppiare la rendita e dimezzare  la fatica, capirai che anche questo secondo sistema è  straordinariamente vantaggioso. Insomma bisogna concludere che la 991 è  una legge sociale e meravigliosa. 
Mi piacerebbe darti un’idea  chiara di quel che significa l’acqua quassù, ma per oggi mi contenterò  di dirti solo questo: s’è fatto il conto che per ogni famiglia del  popolo il rifornimento d’acqua richieda in media 4 ore di lavoro di un  uomo valido ogni giorno. Se i contadini avessero quella parità di  diritti con gli operai che non hanno, cioè per esempio quella di  lavorare solo 8 ore al giorno, si potrebbe dunque dire che qui l’uomo  lavora mezza giornata solo per procurarsi l’acqua. Dico acqua, non vino!  Tu invece per l’acqua lavori dai tre ai quattro minuti al giorno. 
A  rileggere l’articolo 3 della Costituzione: «Tutti i cittadini hanno  pari dignità sociale» mi vengono i bordoni. Ma oggi non volevo parlarti  dei paria d’Italia, ma d’un’altra cosa. Dicevamo dunque che c’è questa  991 che pare adempia la promessa del 2° paragrafo dell’art. 3 della  Costituzione: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di  ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e  l’uguaglianza dei cittadini». A te, cittadino di città, la Repubblica  non regala un milione e mezzo, né ti presta i soldi al 4 per cento  compreso l’ammortamento. 
A noi sì. Basta far domanda e aver  qualche conoscenza. Infatti eravamo già a buon punto perché un  proprietario mi aveva promesso di concederci una sua sorgente  assolutamente inutilizzata e inutilizzabile per lui, la quale è ricca  anche in settembre e sgorga e si perde in un prato poco sopra alla prima  casa che vorremmo servire. Due settimane dopo, un piccolo incidente.  Quel proprietario ha un carattere volubile. Una mattina s’è svegliato  d’umore diverso e m’ha detto che la sorgente non la concede più. Ho  insistito. S’è piccato. Ora non lo scoscendi più neanche colle mine. Ma  il guaio è che quando ho chiesto a un legale se c’è verso d’ottenere  l’esproprio di quella sorgente, ma risposto di no. Sicché la bizzettina  di quell’omino, fatto insignificante in sé, ha l’atomico potere di  buttare all’aria le nostre speranza d’acqua, il nostro consorzio, la  famosa 991, il famoso articolo 3, le fatiche dei 556 costituenti, la  sovranità dei loro 28 milioni di elettori, tanti morti della Resistenza  (siamo sul monte Giovi! Ho nel popolo le famiglie di 14 fucilati per  rappresaglia). 
Ma qui la sproporzione tra causa ed effetto è  troppa! Un grande edificio che crolla perché un ragazzo gli ha tirato  coll’archetto! C’è un baco interiore dunque che svuota la grandiosità  dell’edificio di ogni intrinseco significato. Il nome di quel baco tu lo  conosci. Si chiama: idolatria del diritto di proprietà. A 1955 anni  dalla Buona Novella, a 64 anni dalla Rerum Novarum, dopo tanto  sangue sparso, dopo 10 anni di maggioranza dei cattolici e tanto parlare  e tanto chiasso, aleggia ancora vigile onnipresente dominatore su tutto  il nostro edificio giuridico. Tabù. Son 10 anni che i cattolici hanno  in pugno i due poteri: legislativo e esecutivo. Per l’uso di quale dei  due pensi che saranno più severamente giudicati dalla storia e forse  anche da Dio? Che la storia condannerà la nostra società è profezia  facile a farsi. 
Basterebbe il solo fatto della disoccupazione  oppure il solo fatto degli alloggi. Ma una storia serena non potrà non  valutare forse qualche scusante, certo qualche attenuante: l’ostacolo  della burocrazia insabbiatrice, quello dell’Italia sconvolta dalla  guerra, quello degli impegni internazionali... Insomma, tra attenuanti e  aggravanti, chi studierà l’opera dei cattolici in Italia forse non  riuscirà a dimostrare che la loro incapacità sia un’incapacità  costituzionale. Saremo perdonati dunque anche se in questa preziosa  decennale occasione di potere non avremo saputo mostrare al mondo cosa  sappiamo fare. Ma guai se non avremo almeno mostrato cosa vorremmo fare.  Perché il non saper fare nulla di buono è retaggio di ogni creatura.  Sia essa credente o atea, sia in alto o basso loco costituita. Ma il non  sapere cosa si vuole, questo è retaggio solo di quelle creature che non  hanno avuto Rivelazione da Dio. A noi Dio ha parlato. Possediamo la sua  legge scritta per steso in 73 libri e in più possediamo da 20 secoli  anche un Interprete vivente e autorizzato di quei libri. 
Quell’Interprete  ha già parlato più volte, ma se non bastasse si può rivolgersi in ogni  momento a lui e sottoporgli nuovi dubbi e nuove idee. A noi cattolici  non può dunque far difetto al luce. Peccatori come gli altri, passi. Ma  ciechi come gli altri no. Noi i veggenti o nulla. Se no val meglio  l’umile e disperato brancolare dei laici. Che i legislatori cattolici  prendano dunque in mano la Rerum Novarum e la Costituzione e  stilino una 991 molto più semplice in cui sia detto che l’acqua è di  tutti. Quando avranno fatto questo, poco male se poi non si riuscirà a  mandare due carabinieri a piantar la bandiera della Repubblica su quella  sorgente. Manderanno qualche accidente al governo e ai preti che lo  difendono. Poco male. 
Partiranno per il piano ad allungarvi le  file dei disoccupati e dei senza tetto. Non sarà ancora il maggior male.  Purché sia salva almeno la nostra specifica vocazione di illuminati e  di illuminatori. Per adempire quella basta il solo enunciare leggi  giuste, indipendente dal razzolar poi bene o male. Chi non crede dirà  allora di noi che pretendiamo di saper troppo, avrà orrore dei nostri  dogmi e delle nostre certezze, negherà che Dio ci abbia parlato o che il  papa ci possa precisare la Parola di Dio. Dicendo così avrà detto solo  che siamo un po’ troppo cattolici. Per noi è un onore. Ma sommo disonore  è invece se potranno dire di noi che, con tutte le pretese di  rivelazione che abbiamo, non sappiamo poi neanche di dove veniamo o dove  andiamo, e qual è la gerarchia dei valori, e qual è il bene e quale il  male, e a chi appartengono le polle d’acqua che sgorgano nel prato di un  ricco, in un paesino di poveri».
 
            