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Ecumenismo: anche in Italia tutti i cristiani attorno a un tavolo

Una struttura permanente, frutto del confronto tra cattolici, protestanti e ortodossi, nasce il 5 dicembre 2017. Un passo importante. I commenti di vescovi, sacerdoti, pastori e archimandriti. Le sfide (comuni) della secolarizzazione; le risposte (sempre più condivise) di chi si professa seguace di Gesù Cristo

23755546_10214436960068978_369302916419765076_n_2290503.jpgNascerà a dicembre e sarà una prima nazionale. Tavolo, Consiglio, gruppo di lavoro: il nome non è stato ancora deciso ma le Chiese cristiane avranno finalmente una struttura stabile a livello nazionale in cui ritrovarsi, dialogare, progettare insieme. E conoscersi meglio. “Abbiamo lavorato a tappe e continuiamo ad andare in questa direzione” dice don Cristiano Bettega, il direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo religioso della Cei.

Il convegno che si è tenuto in questi giorni ad Assisi (20-22 novembre) intitolato “Nel nome di Colui che ci riconcilia tutti in un solo corpo” è stato infatti il quarto di una serie di appuntamenti che l’Ufficio ha organizzato in questi anni cercando sempre più la collaborazione delle altre comunità di fede: “In quattro anni siamo partiti dalla santa radice, l’ebraismo; poi abbiamo toccato i rapporti bilaterali dei cattolici con protestantesimo e ortodossia. Quest’anno c’è stato il passaggio a cattolici e molti altri”, dice don Cristiano. Da un anno a questa parte intorno al tavolo in circonvallazione Aurelia 50, a Roma, dove ha sede l’Ufficio, si sono seduti insieme avventisti, metodisti, ortodossi delle diverse Chiese, copti, luterani, anglicani….

“Sono onorato dal fatto di essere stato invitato a organizzare questa conferenza”, dice per esempio l’archimandrita Tovma Khachatryan, responsabile dei cinquemila armeni presenti in Italia. “Ritrovarsi insieme alle altre Chiese, e darsi una scadenza futura per capire come continuare questo impegno è già una prospettiva di cammino verso l’unità”.

Successivo passaggio, nei sogni di don Bettega, sarebbe aggiungere un altro tavolo con un posto in più, “per l’ebraismo italiano”. L’appuntamento più prossimo è comunque per il 5 dicembre, a Roma. Da Assisi, dai gruppi di lavoro e dalla relazioni, sono arrivati una serie di input che i coordinatori – don Bettega, il pastore Luca Negro, presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e p. Evangelos Yfantidis, della arcidiocesi ortodossa di Italia e Malta - hanno raccolto per poi elaborare un appello finale che verrà stilato, con calma, insieme al gruppo di studio che ha preparato il convegno. A dicembre, dunque, ci dovrebbe essere la messa a punto della fisionomia “ufficiale” della struttura che riunirà le Chiese cristiane di Italia.

“I tempi sono maturi per dare maggiore continuità al rapporto tra le Chiese a livello nazionale”, dice Luca Negro. “Siamo tra i fanalini di coda dell’Europa, uno dei pochi paesi in cui non esiste nessuna forma stabile di Consiglio, Consulta, gruppo di lavoro. Dovremo formalizzare una piattaforma più elastica possibile di coordinamento permanente. Anche per uscire da quello che chiamo ‘il ghetto della settimana di preghiera’”. Il convegno di Assisi, dice il pastore, “ha dato voce alla speranza dell’ecumenismo nel senso dell’evangelizzazione comune”. Alla sfida di un mondo secolarizzato, con una religiosità liquida “o rispondiamo insieme o ognuno finisce per cercare la propria sopravvivenza. La speranza dell’evangelo non può essere lasciata morire in un mondo che ne ha bisogno. E le Chiese divise, in un’Italia multireligiosa e in un mondo che è diventato villaggio globale, non rendono una testimonianza incisiva a questo annuncio”.

23844435_10214436958828947_512279582458829263_n_2290516.jpgIn pochi decenni il panorama delle fedi in Italia è cambiato radicalmente. E lo stesso cristianesimo ha assunto “mille volti diversi, basti pensare all’immigrazione che ha creato tante parrocchie ortodosse e pentecostali”, dice Riccardo Burigana, direttore del Centro studi per l’ecumenismo in Italia, che ha sede a Venezia presso l’istituto studi ecumenici. “Inoltre in questi anni soggetti presenti in Italia da decenni - pensiamo alla piccola Chiesa avventista del settimo giorno –  si sono pienamente inseriti nel dialogo ecumenico. Una pluralità di voci molti delle quali dialogano nella prospettiva di costruire qualcosa insieme”.

Cercare di capire quali sono i “numeri” della Chiese non è facile, anche se non mancano gli studi statistici: “Bisogna considerare due elementi”, dice Burigana. “Il primo è che la Chiesa ortodossa in Italia, in tutte le sue articolazione, dalla serba fino alla ortodossa romena, comprende quasi un milione e mezzo di persone, numero ragguardevole se pensiamo solo a qualche decennio fa”. In secondo luogo l’universo che si richiama alla Riforma, dai pentecostali al valdesi, “veleggia verso il milione con numeri molto diversi, anche da verificare, perché in tante realtà locali ci sono comunità pentecostali legati a un personaggio, a un’etnia, a un’area linguistica, che non si riesce a fotografare. Esiste comunque una Chiesa pentecostale, più o meno organizzata, che conta diverse centinaia di migliaia di membri attivi”.

Di questo movimento di Chiese in dialogo, che si è ritrovata ad Assisi, quali sono i punti di forza? “Il dialogo ecumenico radicato sul territorio, alimentato da tante esperienze. Il convegno si è aperto con un messaggio del Sae (Segretariato attività ecumeniche), nato negli anni ’60; in basilica, alla veglia, sono risuonati i canti di Taizé, e ci sono tanti luoghi nel nostro paese dove si prega secondo lo spirito ecumenico di Taizé: sono piccoli semi, dei fertilizzanti, dei luoghi del fare insieme” dice Burigana.

Nelle 226 diocesi italiane, per quanto riguarda la Chiesa cattolica, l’attenzione per l’ecumenismo è delle più varie: si parla di Ufficio, Commissione, direttore o singolo delegato, in alcune l’ufficio è diviso nell’attenzione all’ecumenismo e quella al dialogo interreligioso, in tante diocesi ci sono gruppi ecumenici che affiancano, come a “Napoli, dove c’è un gruppo storico che ha compiuto 50 anni, o a Trieste. E poi realtà  come Milano, dove per storia e numeri ci sono quattro uffici diocesani che si occupano di dialogo… questa pluralità di soggetti non ha prodotto forse moltissimi documenti e riflessioni teologiche, anche se ci sono, ma è sicuramente un punto di forza per questo soggetto che nasce il 5 dicembre”, dice Burigana. La difficoltà? “Mettere insieme questo coro fatto di elementi che hanno radicamento diverso nelle varie parti d’Italia. Non abbiamo un trio di camera, ma un’orchestra in cui ci sono tanti primi violini che bisognerà accordare, ma questa è una sfida che l’Italia può benissimo affrontare”.

Un impulso decisivo in questo cammino è arrivato sicuramente da papa Francesco, che ha posto l’ecumenismo sin dall’inizio come priorità: “Ha fatto gesti, firmato documenti, fatto incontri, tenendo insieme i due aspetti, teologia e pratica. Nell’incontro con la comunità anglicana di Roma disse con chiarezza: ‘Ognuno cammina con il suo carisma, non c’è contrapposizione’. E questo ha aiutato”.

 Accanto all’ esperienza di condivisione ora è necessario che la conoscenza dell’altro si radichi sempre di più. “Conoscere l’altro, ascoltarlo e capire che non è semplicemente un protestante, un ortodosso, ma appartiene a una tradizione che ha dei doni da condividere, questa è una pedagogia che serve alle Chiese per sviluppare una teologia al suo interno e vivere ecumenicamente la fede. E questo” aggiunge Burigana, “in un paese come l’Italia, ma anche in Europa è un messaggio forte: non si chiedono i documenti, ma si ascolta la storia dell’altro”.

 “Abbiamo bisogno di riscoprire la reciprocità nel dono, nel senso di un impegno nel mutuo arricchimento e nella condivisione delle nostre tradizioni, teologie, prassi di vita”, ha dichiarato in apertura del convegno monsignor Ambrogio Spreafico, presidente della commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo religioso della Cei. “Nel nostro convenire, si manifesta proprio l’intento di proiettarci in una riflessione futura che porti a condividere sempre più la nostra preghiera e le nostre reciproche tradizioni e teologie. Il dono rende liberi, non permette di chiedere all’altro di essere come se stessi, perenne tentazione di ognuno, ma nello stesso tempo mette in ciascuno una tensione nella ricerca della verità che non lascia mai uguali a se stessi. Il dono è gratuità, merce rara in un mondo d’individualismi e di paure, che fanno innalzare muri che impediscono l’incontro e il dialogo. Mi chiedo: in un’Europa ancora in parte innervata in una cultura cristiana, che cosa significa essere testimoni di gratuità, di mutua accoglienza e di reciprocità nel dono?”.

Sicuramente il Giubileo della Riforma protestante è stato una grande spinta a far passare il discorso della riscoperta dell’altro anche a livello di base. “Ci sono stati centinaia e centinaia di incontri, c’è stata una evangelizzazione ecumenica molto forte”, dice don Bettega. “Anche appuntamenti di non grandissima risonanza, molto semplici ma appassionati: sono è un bel segnale di una mentalità ecumenica che piano piano sta passando”.

A livello personale, per il direttore dell’Ufficio ecumenismo della Chiesa italiana l’incontro con Lutero, in questo Giubileo, “è stato un gran pugno nello stomaco, in senso positivo”. Don Cristiano si rifà a quello che aveva detto papa Benedetto a Erfurt: “Il fatto che Lutero continui a chiedersi come possa avere io un Dio misericordioso mi tocca nel cuore. Lutero continua a provocarmi sulla necessità costante, faticosa, sofferta di quella passione per il Cristo che chiede di prendere continuamente in mano la verità del vangelo. Consapevole che la verità è Gesù Cristo: non sono io, non è la mia Chiesa”. Inoltre, aggiunge”, “resta il pugno anche perché su questa cosa che oggi riconosciamo come fondamentale per tutti, 500 anni fa si è spaccata la Chiesa. E questo non può non essere una ferita aperta per tutti”.

Interessante, a questo proposito, che ad Assisi le singole Chiese abbiano parlato anche “di riforma con la r minuscola, cercando di capire qual è oggi la conversione che ogni Chiesa è chiamata a fare”. Un suggerimento arriva dalla conclusione della meditazione offerta dalla comunità dei fratelli di Bose sul commento di Lutero al Salmo 118: “E’ questo il tempo in cui ci viene chiesto di non apprezzare oltre misura le nostre costruzioni fino a scartare ciò che certo scompagina, ma riordina poi secondo il progetto e lo sguardo di Dio. Ci viene chiesto di riconoscere la possibilità di una vita credente in situazioni diverse; la santità come realtà che accomuna e unifica ciò che sembra separato per sempre. Ci viene chiesto, in sintesi, di porre la Parola unificante al di sopra delle parole delle nostre dispersioni”.

Vittoria Prisciandaro

© www.famigliacristiana.it, venerdì 24 novembre 2017

Tutte le fotografie di questo servizio (scattate al convegno di Assisi) sono di fra' Umberto Panipucci. Per gentile concessione.
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