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II Domenica di Quaresima. La Trasfigurazione

Tutti e tre i Sinottici narrano l’episodio della Trasfigurazione. Luca ha di particolare che lo racchiude nel clima della preghiera. Quante volte Gesù sarà salito sul monte per intrattenersi in intimo colloquio con il Padre! Durante la preghiera il suo volto diventa luminoso e la sua veste candida e sfolgorante. Ma possiamo anche chiederci: E’ il volto del Signore che diviene “altro” - come dice il termine greco - o sono gli occhi dei discepoli che purificati da tutto quello che è terreno vedono il volto di Cristo com’è nella sua realtà, “immagine del Dio invisibile”?

 

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La liturgia di questa domenica mette in rilievo due figure: Abramo, nella I lettura e Cristo trasfigurato nell’Evangelo.

Dopo aver contemplato domenica scorsa Gesù nel deserto tentato dal diavolo, oggi, per incoraggiare il nostro cammino verso la Pasqua ci è posto dinanzi Gesù in tutta la sua luce radiosa.

E’un anticipo della sua e nostra resurrezione, meta finale di ogni cristiano.

Per capire bene la I Lettura di oggi, dobbiamo prendere in considerazione i primi cinque versetti del capitolo 15 della Genesi che qui non vengono riportati. Alla chiamata di Dio Abramo aveva lasciato tutto ed era partito verso una terra straniera. Dio gli si presenta nuovamente in visione, lo incoraggia, gli dice: “Non temere, io sono il tuo scudo...”. Abramo si mostra preoccupato e potremmo dire anche avvilito di fronte a Dio perché non ha figli. Dopo un breve dialogo Dio lo invita a guardare il cielo stellato e gli annuncia una duplice promessa: una discendenza numerosa come le stelle del cielo e una terra. Ancora una volta vediamo la grandezza di Abramo nell’affidarsi ciecamente alla Parola di Dio: “Egli credette al Signore” dice il testo.

Il Signore si presenta ad Abramo come Colui che l’ha fatto uscire da Ur dei Caldei e gli ordina di compiere un rito di alleanza. Gli animali squartati tra i quali passa un fumo denso e una fiaccola ardente, stanno ad indicare che tale sarà la sorte di chi non è fedele al patto e il fumo e il fuoco sono segni che solitamente avvolgono le teofanie. In questo caso la promessa della terra “si accompagna ad un rito imprecatorio di giuramento da parte del Signore”, come dice Michel Lestienne, che consiglierebbe di tradurre il v. 18 così: “In quei giorni il Signore prestò giuramento ad Abramo in questi termini.....”. Il Dio fedele che guida la storia chiede una cosa sola: la fede. Abramo ripetutamente messo alla prova deve affrontare situazioni imprevedibili e umanamente impossibili da superare, ma sa in chi ha posto la sua fiducia. Non per nulla è chiamato “Padre della fede”. E’ l’uomo capace di donarsi a Dio senza compromessi, senza mezzi termini, senza riserve. Egli non esita a sacrificare quello che ha di più caro: il figlio unico, è preoccupato di fare unicamente quello che Dio vuole, sempre disponibile ad ogni sua richiesta. E’ figura del Figlio di Dio che è venuto sulla terra per compiere soltanto la volontà del Padre che l’ha mandato.

Ogni anno la seconda domenica di Quaresima ci presenta la Trasfigurazione del Signore. Nel contesto dell’Evangelo di Luca questa scena paradisiaca è preceduta dal primo annuncio della passione, dalle condizioni per seguire Gesù e dall’affermazione che: “vi sono alcuni dei presenti che non morranno prima di aver visto il Regno di Dio”.

Tutti e tre i Sinottici narrano l’episodio della Trasfigurazione. Luca ha di particolare che lo racchiude nel clima della preghiera. Quante volte Gesù sarà salito sul monte per intrattenersi in intimo colloquio con il Padre! Durante la preghiera il suo volto diventa luminoso e la sua veste candida e sfolgorante. Ma possiamo anche chiederci: E’ il volto del Signore che diviene “altro” - come dice il termine greco - o sono gli occhi dei discepoli che purificati da tutto quello che è terreno vedono il volto di Cristo com’è nella sua realtà, “immagine del Dio invisibile”? Inoltre, due uomini parlano con Lui del suo “esodo”, della sua dipartita, del suo passaggio da questo mondo al Padre.

I discepoli erano oppressi dal sonno, tuttavia... videro la sua gloria. Sono proprio coloro di cui otto giorni prima si diceva che alcuni dei presenti non sarebbero morti prima di aver visto il Regno di Dio. Il discorso era stato fatto a tutti i presenti. Sappiamo che tutti sono chiamati a vedere il Regno di Dio dopo la morte, ma tra i ‘presenti’ sono scelti solo tre: Pietro, Giovanni e Giacomo. Questi hanno il privilegio di vedere, prima della morte la gloria del Regno di Dio. Possono penetrare con Gesù nell’intima comunione del Padre. Sono i tre testimoni della resurrezione della figlia di Giairo, sono invitati a pregare con Gesù.

E’ la preghiera il luogo della Trasfigurazione. Se sono gravati dal sonno è pensabile che si tratti di una preghiera notturna. Molte volte infatti nei Vangeli troviamo che Gesù passò la notte a pregare.

La notte, avvolta nel silenzio, fasciata dal buio, è il momento ideale del colloquio col Padre. Il sonno e il buio possono essere vinti e illuminati dall’intimità della comunione con il Padre.

Quell’intimità diventa luce che fuga le tenebre e il Padre, come al battesimo nel Giordano rivela il Figlio. Il volto di Gesù diventa “altro”, cambia d’aspetto. In Lui il Padre mostra la sua gloria, che è irradiazione luminosa della presenza di Dio. Il volto! Vedere il volto di Dio penso che sia l’anelito profondo, forse inconscio ma reale, di ogni essere umano, creato a sua immagine, creato per Lui.

Già nell’Antico Testamento si ode questo grido: “Il tuo volto Signore io cerco...non nascondermi il tuo volto” (Salmo responsoriale, 26,8-9). E ancora, Dio rispose alla richiesta di Mosè: “Tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo” (Es. 33,20). Ma Dio si rivela, si mostra nel Figlio che è immagine del Padre.

Mosè ed Elia apparsi nella gloria rappresentano la Legge e i Profeti; parlano con Gesù, perché in Lui è il compimento della Legge e dei Profeti, compimento che avviene mediante la sua morte e resurrezione. Proprio di questo parlano: del suo “esodo”, del suo ritorno al Padre, potremo dire che parlano del compimento del mistero pasquale a Gerusalemme. Gerusalemme è la città santa, verso la quale Gesù è incamminato per realizzare in pienezza il disegno del Padre.

Gesù nel suo intimo colloquio con il Padre deve essersi immedesimato talmente alla volontà del Padre da penetrare nel suo splendore, così da poterlo irradiare da tutta la sua persona. Il suo “sì” è stato totale. Nulla avrebbe riservato per sé, ma avrebbe consegnato la sua vita per noi: di questo parlano con Lui Mosè ed Elia.

La visione è breve. Pietro non fa in tempo ad esprimere il suo desiderio, che i due si separano da Gesù. E’ bello rimanere nella gloria! E’ bello rimanere in quella che sarà l’ultima vera, definitiva dimora, rimanere nella gloria di Dio, dove “non vi sarà più la morte, né lutto, né lamento” (Ap 21, 4), ma questo non è possibile senza essere prima passati attraverso la croce. E’ bello piantare la tenda in vetta al monte, tanto più se quello è il monte di Dio! La tenda! E’ segno della presenza del Signore. Ci richiama la tenda del convegno dell’ “esodo” dove Mosè parlava “bocca a bocca “ con Dio. La vera tenda è il Signore Gesù. Egli ha posto la sua tenda in mezzo a noi. In Lui la presenza di Dio si è fatta visibile. Pietro non sapeva quello che diceva e i discepoli dalla luce passeranno rapidamente nell’ombra, perchè “una nube li avvolse”....ed “ebbero paura”. Anche la nube è simbolo della presenza del Dio. La nube guidava il popolo di Dio nel deserto. “Adombrare” è il verbo usato da Lc nell’Annunciazione; dalla nube uscì la voce del Padre come al battesimo di Gesù.

“Questi è il Figlio mio, l’eletto. Ascoltatelo!” Mentre al battesimo il Padre si rivolgeva al Figlio, dicendo: “Tu sei mio Figlio...”, ora si rivolge ai discepoli con l’ordine di ascoltarlo. Qui culmina la scena paradisiaca con il verbo ascoltare che tantissime volte risuona nella Bibbia: Shemà Israel! Ascolta Israele! E’ la preghiera che il pio ebreo ancora oggi rivolge tre volte al giorno al Signore.

Ascoltare significa anche mettere in pratica, obbedire, fare la volontà del Padre come la compie il Figlio diletto fattosi servo (e qui ci sarebbe da approfondire anche queste due parole che tralasciamo per non allungare troppo). Appena la voce cessò, Gesù restò solo. In Lui la Legge e i Profeti hanno trovato il loro vertice. Quella voce, non solo si è fatta Parola vivente, ma si è incarnata proprio per compiere la volontà del Padre, per realizzare il suo disegno di amore sull’umanità, per salvarci e farci passare con Lui attraverso la passione, la croce e la morte per entrare definitivamente con la resurrezione nella gloria del Padre, in quella gloria che i tre discepoli privilegiati hanno potuto gustare anticipatamente nella Trasfigurazione. Questa è la meta, questa è la scelta: o lasciarsi trasfigurare dalla gloria di Cristo morto e risorto, o sprofondare nelle tenebre della perdizione.

La II Lettura è in sintonia con il Vangelo. Ci indica la stessa meta: “La nostra cittadinanza è nei cieli... Il nostro Salvatore Gesù trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso”.

E’ senza dubbio audace la frase di Paolo, che all’inizio di questo brano esorta i cristiani ad imitarlo.

Questa imitazione tuttavia non vuole essere fine a sé stessa, ma è come un’indicazione, una strada che conduce a Cristo al quale egli si sentiva talmente identificato, da poter dire in altro luogo: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” ( Gal 2, 20). E ancora: “Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (I Cor 11, 1).

Paolo mette i cristiani di fronte ad una scelta, come di fronte a un bivio il cui sbocco, porta in direzioni diametralmente opposte. Già Dio aveva detto al suo popolo nel Deuteronomio: “Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male... Scegli dunque...”(Dt 30, 15. 19). Paolo contrappone i nemici della croce di Cristo agli amici di quella croce. I primi sono coloro che rivolti unicamente alle cose della terra, hanno per loro dio il loro ventre e la loro fine sarà la perdizione.

Paolo non rimane inerte di fronte a questa constatazione, ma ne soffre fino alle lacrime, consapevole che Cristo è morto per tutti. Siamo tutti chiamati alla gloria nella Gerusalemme celeste verso la quale siamo incamminati. Per questo esorta i suoi fratelli a rimanere saldi nel Signore, fedeli a Lui e condotti dalla stessa fede di Abramo e dei suoi discendenti. “Se siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù “, dice ancora S. Paolo, “per apparire anche voi nella gloria” (Col 3, 1. 4).

Salmo Responsoriale 26 (27)

Il Salmo 26 è un Salmo di supplica, di richiesta al Signore di abitare nella sua casa, di ascoltare la preghiera, di aver pietà, di poter vedere il volto del Signore, di esser guidati sulla sua via, di non cadere in mano ai nemici. E’ anche un inno alla speranza. Esprime infatti, in seguito ad esperienze già fatte, la certezza della salvezza, la fede in Dio che non abbandona mai, ma che è luce che illumina il cammino e indica la via da seguire. “Il Signore è mia luce e mia salvezza....di chi avrò paura?....sono i miei nemici a inciampare e cadere”.

I versetti scelti sono una sintesi quasi perfetta delle Letture di oggi. Ci presentano il tema della luce, del volto del Signore, della speranza di contemplare la sua bontà e l’esortazione ad essere saldi nella speranza del Signore.

 

Fonte: www.omelie.org

 

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