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IV Domenica di Avvento anno C. Il grande mistero della Visitazione

Il racconto della Visitazione dà le vertigini: il Messia Gesù, non ancora nato ma presente nel grembo della madre Maria, incontra il precursore Giovanni, profeta presente egli pure nel grembo della madre Elisabetta e, riconosciuto, causa gioia ed esultanza. Avviene l’incontro con il Cristo da parte di tutta la profezia che lo ha preceduto, che discerne la venuta del Veniente tanto desiderato; e questo riconoscimento provoca la danza adorante e gioiosa per il compimento delle promesse di Dio. Tutto questo accade nell’incontro umanissimo tra due donne, che parlano l’una all’altra, si ascoltano e si rallegrano lodando Dio.

Il quarto vangelo confessa in modo dossologico, glorioso: “La Parola si è fatta carne e ha posto la sua tenda tra di noi” (Gv 1,14), e anche i vangeli sinottici ci testimoniano che la Parola di Dio si è umanizzata in mezzo a noi in Gesù di Nazaret, il figlio di Maria e di Giuseppe.

Luca, in particolare, è l’evangelista che vuole precisare quando e come questa Parola, ben prima di apparire pubblicamente, ha abitato in mezzo a noi, e con audacia ci racconta il momento stesso in cui, secondo le parole del messaggero di Dio, la potenza dello Spirito santo stende la sua ombra su Maria (cf. Lc 1,35), una ragazza vergine di Nazaret, e la rende madre di un figlio di Adamo che solo Dio ci poteva dare: suo Figlio! Così, nel nascondimento, nel silenzio avviene l’umanizzazione di Dio: da quel concepimento la Parola di Dio è in mezzo a noi e Maria, la madre di Gesù, è la tenda nella quale essa prende dimora. Secondo Luca questa Parola, questo lógos toû theoû, inizia un viaggio, vive tra gli umani (cf. Bar 3,38), da Nazaret a Gerusalemme e da Gerusalemme fino agli estremi confini del mondo, fino a Roma (cf. Lc 2,22.41; 9,51; 24,47; At 1,8; 28,30-31). Ecco “la corsa della Parola” (cf. 2Ts 3,1), l’evangelizzazione che inizia – lo si dimentica troppo spesso – con il cammino, il viaggio di una donna, di Maria, la madre del Figlio di Dio.

Sì, perché Maria appena ricevuto l’annuncio della sua gravidanza (cf. Lc 1,26-38), per un impulso interiore causato dalle parole dell’angelo, che rivelandole la sua maternità le ha anche rivelato la fecondità del grembo di Elisabetta, sua cugina, si mette in viaggio in fretta, la fretta escatologica, verso la montagna della Giudea. Dalla Galilea alla Giudea, da Nazaret alla periferia di Gerusalemme, un viaggio di più giorni. Da cosa è mossa Maria? Dalla carità verso l’anziana Elisabetta, che tutti dicono “la sterile” (cf. Lc 1,36), ma anche dall’ansia di comunicare la buona notizia, il vangelo ricevuto dall’angelo, nonché dal desiderio di ascoltare la cugina come donna nella quale Dio ha compiuto meraviglie. Maria appare subito come donna di carità, donna missionaria. Ed ecco l’incontro tra le due donne: Maria entra nella casa di Zaccaria, marito di Elisabetta, sacerdote che è afono, dunque non ha potuto dare la benedizione al popolo nel tempio, dopo l’annuncio dell’angelo circa la nascita di un figlio da sua moglie (cf. Lc 1,8-22).

Entrando in casa, Maria saluta Elisabetta: una donna gravida di fronte a un’altra donna gravida, entrambe in questa condizione in virtù della grazia e della potenza di Dio, che ha reso fecondo il loro grembo, uno vergine, l’altro sterile; entrambe portatrici di un figlio voluto da Dio, tende per due embrioni sui quali dimora una straordinaria e unica vocazione da parte di Dio. Il figlio di Maria si manifesterà come Messia, Figlio del Dio Altissimo, re sul trono di David (cf. Lc 1,32-33); il figlio di Elisabetta come colui che “camminerà davanti al Messia con lo spirito e la potenza di Elia” (cf. Lc 1,17), profeta ripieno di Spirito santo ancor prima di nascere. Ecco dunque donne e due promesse. E non appena il saluto di Maria raggiunge Elisabetta, comunicandole lo shalom, il bambino al sesto mese nel grembo di quest’ultima si mette a danzare, esulta, scalcia di gioia, come solo le madri sanno riconoscere… Nello stesso momento lo Spirito santo scende su Elisabetta per riempire lei e il bambino della sua presenza e della sua forza. Così, di fatto, Maria causa la prima pentecoste cristiana: lo Spirito sceso su di lei nell’ora dell’annunciazione ora, grazie alla sua presenza, percepita dal bambino Giovanni come quella della tenda, dell’arca del Signore (cf. Es 40,34-35; 2Sam 6,9.14), scende su Elisabetta e sullo stesso Giovanni.

Questo racconto dà le vertigini: il Messia Gesù, non ancora nato ma presente nel grembo della madre Maria, incontra il precursore, profeta presente egli pure nel grembo della madre Elisabetta e, riconosciuto, causa la gioia, l’esultanza, la danza, come quella di David davanti all’arca della presenza del Signore (cf. 2Sam 6,12-15). Avviene l’incontro con il Cristo da parte di tutta la profezia che lo ha preceduto, profezia di Israele ma anche delle genti, che discerne la venuta del Veniente tanto desiderato e profetizzato; e questo riconoscimento provoca la danza adorante e gioiosa per il compimento delle promesse di Dio. Tutto questo accade grazie a due donne che si incontrano. Elisabetta allora, riempita di Spirito santo profetico, è resa capace di interpretare la danza del suo bambino nel grembo e così esclama, con un’acclamazione liturgica (verbo anaphonéo: cf. 1Cr 15,28; 16,4.5.42; 2Cr 5,13 LXX): “Tu, Maria, sei benedetta tra tutte le donne, sei beata perché hai creduto alla parola del Signore, sei la madre del mio Signore (Kýrios!)”. Non riconosce in quella gravidanza solo la fecondazione divina (“Benedetto sarà il frutto del tuo grembo [, o Israele]”: Dt 28,4), ma confessa che quell’embrione è il Signore concepito da Maria per la potenza dello Spirito di Dio. Sì, il figlio di Maria è il Cristo Signore annunciato dal salmo 110 (v. 1), dunque Maria è l’Israele benedetto, la terra benedetta perché contenente la benedizione piena e definiva di Dio per tutta l’umanità.

Sono tante le donne benedette nella storia della salvezza, anche se lo dimentichiamo troppo facilmente: da Sara a Elisabetta, infatti, la loro presenza nelle Scritture è continua. Ma Maria, proprio in quanto madre del Signore, è la benedetta tra tutte, è colei che tutte le generazioni acclameranno “beata”! Elisabetta, pur consapevole di ciò che Dio ha operato nel suo grembo sterile, sa comprendere questa differenza: Maria è l’arca dell’alleanza, il luogo della presenza di Dio nel mondo, il sito in cui è localizzabile, individuabile il Dio fatto carne.

Qui il mistero è grande: mistero del Dio nascosto, nascosto in un bambino ancora anonimo, cioè ancora senza l’imposizione umana del nome, ma con un nome gradito a Dio: Gesù, “il Signore salva”.

Nello stesso tempo, mistero della profezia, in Giovanni ancora afona, ma che in lui sa già indicare il Veniente, il Signore, perché egli sa subito vivere la vocazione di precursore.

Tutto questo nell’utero di due donne che parlano l’una all’altra, si ascoltano e si rallegrano lodando Dio. Il suono della voce di Maria raggiunge Elisabetta, che “canta” a lei e per lei; la confessione della fede di Elisabetta raggiunge Maria, che canta il Magnificat (cf. Lc 1,46-55).

Queste non sono preistorie del Messia, ma è la storia del Messia, del Figlio di Dio fattosi umano tra di noi: di questo sono eloquenti due donne, Elisabetta e Maria, donne capaci di fede nella parola del Signore. E come non dire qualcosa dei due uomini implicati in questa storia? Zaccaria è muto, afono per la sua poca fede; Giuseppe pensa di ripudiare Maria in segreto (cf. Mt 1,19). Certamente non erano capaci di fede come le loro spose, ma non erano neppure capaci di relazione, di cura dell’altro e di carità, come invece sono queste due donne.

Enzo Bianchi

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