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Santa Famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria anno C

Raccontiamo ai nostri figli le storie delle nostre famiglie, diciamo loro ciò che è successo quando non c’erano ancora, aiutiamoli a leggere il legame tra ciò che sta succedendo oggi e le vicende di ieri.

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Tutto ciò che il Signore ci ha donato, va vissuto nella gratuità, a partire dalla nostra famiglia. È questo il messaggio contenuto nella preghiera di Anna al Signore, quando porta al tempio quel figlio ottenuto per grazia, nonostante la difficoltà a generare che l’aveva tanto fatta soffrire negli anni precedenti. Gli occhi di questa donna sanno stupirsi e rimanere grati nei confronti del dono della vita, e questo stupore diventa il terreno da cui fiorisce un rapporto più equilibrato, sereno, gratuito, sulle altre persone. Ecco una prima luce che oggi ci viene dalle Scritture sante e che può aiutarci a vivere la nostra vita famigliare.

Un secondo fascio di luce ci viene dal brano della lettera di Giovanni. Il rapporto tra Dio e noi viene descritto prendendo spunto dalla vita familiare. Guardando a questo rapporto dalla parte di noi uomini, Giovanni dice che noi siamo infatti i suoi figli, i figli di Dio. Ma poi ponendosi dalla parte di Dio, dice che questo rapporto è fatto di un dono che si compirà in una manifestazione: “quando si sarà manifestato, saremo simili a lui”. Dio è dunque come un padre che si manifesta ai suoi figli. Questa immagine dice molto delle dinamiche delle nostre famiglie. Generare un figlio, infatti, significa molto di più che dargli la vita fisica. Significa aiutarlo a trovare il proprio posto nel mondo, nella storia. Nel nostro linguaggio, del resto, riteniamo equivalente a “far nascere” l’espressione “mettere al mondo un figlio”. Sì, generare un figlio significa metterlo nel mondo, situarlo, accompagnarlo perché nella straordinaria varietà della storia umana egli possa trovare il suo posto. Ma questo avviene sempre a partire dal posto che nel mondo occupano i genitori, e del resto anche la scelta del nome, che cosa è se non aiutarlo ad iniziare la sua esistenza a partire da un punto, scelto da altri (per rispetto ai nonni, per il fascino di un personaggio letterario, per il proprio gusto estetico, e per mille altri motivi, ma che sono sempre dei genitori, mai del figlio che nasce)?
Che cosa permette che un inizio, scelto da altri, possa fiorire in un cammino di libertà e di autonomia? In questa opera delicata e rischiosa una madre e un padre hanno innanzitutto uno strumento prezioso: manifestare se stessi al figlio, facendo un’opera di memoria. Potrebbe sembrare il contrario, come se un nuovo essere umano, portatore di un dono originale e insostituibile di vita, debba cominciare tutto daccapo, prescindendo da ciò che lo ha preceduto, ma non è così, non può mai essere veramente così. Ogni bambina o bambino che nasce, avrà il compito di costruirsi in novità rispetto al passato, ma paradossalmente riuscirà a farlo solo se con quel passato entrerà in dialogo, se lo metterà di fronte a sé, lo guarderà in faccia, decidendo in libertà che cosa sviluppare di esso e che cosa abbandonare, che cosa amare e che cosa tradire. E questa è una operazione possibile solo a chi ha memoria del suo passato. A un genitore spetta dunque il compito di manifestarsi al figlio, proprio come Giovanni dice di Dio. Si tratta di raccontare molto, al figlio, del mondo da cui proviene, delle storie di vita di chi lo ha preceduto, del ceppo che sostiene il nuovo germoglio, delle radici da cui a questo arriva la vita e la possibilità del futuro. Raccontiamo ai nostri figli le storie delle nostre famiglie, diciamo loro ciò che è successo quando non c’erano ancora, aiutiamoli a leggere il legame tra ciò che sta succedendo oggi e le vicende di ieri. Capiranno molto di se stessi, sapranno cogliere la continuità che segna ogni essere umano e ogni legame comunitario, e nello stesso tempo impareranno, in questa consapevolezza più lucida di sé, che di quella eredità essi non sono schiavi, ma responsabili. Perché di ciò che appartiene al nostro passato noi non siamo responsabili, ma di ciò che ce ne facciamo oggi, sì. E ciò che ce ne facciamo oggi è opera di libertà.

Proprio la terza pagina scritturistica, quella evangelica, ci fa intravedere un Gesù ragazzo che inizia questo cammino di libertà. Tra lui e i suoi genitori si inserisce una piccola distanza, spazio di libertà e di autonomia, nel quale fiorirà l’irripetibilità del figlio, il suo appartenere solo a Dio, a se stesso, alla vita che in lui si esprime con assoluta originalità. Che paradosso, più un genitore si manifesta al figlio, si racconta, si consegna a lui attraverso il dono di sé, e più questo figlio parte per la sua strada. Gesù seduto in mezzo ai maestri, che li ascolta e li riempie di domande, curioso come ogni ragazzo, è il segno di ogni ragazza, di ogni ragazzo del mondo, di ogni figlio che arriva al mettersi di fronte alla propria famiglia e al proprio passato, li ascolta e li vuole conoscere, perché solo così potrà iniziare il suo camino personale, e avviarsi verso l’età adulta. A chi tra noi è genitore, arrivato a quel momento delicato, non resta che chiedere a Dio il dono di saper vivere la stessa gratuità di Anna, la donna capace di dire: Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore.

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