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V Domenica di Quaresima. Si mise a scrivere col dito per terra.

Essere perdonati prima di ogni altra cosa è percepire ‘quello' sguardo e presagire che la vita, anche la più disgraziata, offre sempre una nuova possibilità, riserva ancora un guizzo inedito, nasconde una chanche impensata. È il perdono infatti e non la perfezione il destino di ciascuno di noi: non si nasce perfetti, si diventa migliori.

 

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Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei


L'assenza di questo brano nei manoscritti più antichi e la convinzione che non si tratti di un testo originariamente giovanneo, ma più probabilmente lucano, non toglie nulla alla suggestione di una autentica perla evangelica, anche se verosimilmente aggiunta in seguito. Peraltro il racconto dell'adultera appare perfettamente inserito in un contesto dove Gesù marca la differenza della sua missione, precisando non senza una vena polemica: "Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno" (Gv 8,15).


1. Il primo momento atterra l'animo perché fa emergere un intreccio inestricabile e angosciante di solitudini.

Sola è anzitutto la donna, senza un nome che non sia il suo peccato. È lì mezza nuda, gettata per terra, dopo essere stata letteralmente trascinata a forza tra grida e violenze disumane. Non parla, forse non è neanche pentita, di sicuro però è in preda all'angoscia paventando il peggio.

Solo è poi Gesù, chiamato in causa per essere incastrato proprio nel Tempio: comunque avesse risposto, avrebbe avuto di che ricredersi. Se avesse assecondato l'ansia di pulizia, avrebbe contraddetto la speranza di chi vedeva in lui finalmente un profeta diverso. Se avesse rifiutato la lapidazione, sarebbe stato accusato di tradimento della Legge che era esplicita al riguardo (Lv 20,10; Dt 22,22).

Soli sono infine gli stessi accusatori che alla parola del Maestro si ritireranno ciascuno in ordine sparso e soprattutto in silenzio, presi da un'improvvisa consapevolezza delle proprie responsabilità.

Tutta questa folla di solitudini sembra improvvisamente diradarsi, di fronte al gesto insolito di Gesù che, seduto per terra, comincia a tracciare strani segni per terra, inizialmente senza proferire parola.

2. Che cosa avrà mai scritto Gesù nell'atmosfera carica che lo circondava? I segni restano indecifrabili. Certamente è una pausa che sorprende ed inquieta. Non è però un gesto di puro disinteresse talmente lontana da lui è l'idea della lapidazione. Né tanto meno si tratta di semplice imperturbabilità tale è la forza della reazione che di lì a poco prenderà corpo. Forse potrebbe richiamare quanto Geremia lascia intendere: "Sulla terra verrà scritto chi ti abbandona perché ha abbandonato il Signore, sorgente d'acqua viva" (17,13). In tal caso Gesù scriverebbe per dire con sommessa provocazione che chiedere la lapidazione in nome di Dio è averlo già abbandonato, perché egli è "sorgente d'acqua viva". È vita Dio, è futuro, è novità (cfr. 1ª lettura). Tutto il contrario di quei "vecchi" accusatori, che rivangano il passato e rimestano nel torbido per autoaffermarsi.

Sta di fatto che ad un certo punto Gesù sbotta e a chi lo incalza replica: "Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei" (v. 7). Qui sembra quasi che il problema non sia più di salvare la donna dai suoi accusatori, ma piuttosto i suoi accusatori dalla donna.

Sicuramente i farisei all'inizio avranno reagito in cuor loro, ma poi avranno sentito che quella colpa che volevano esemplarmente punire era in realtà nient'altro che la loro cattiva coscienza. Avranno i più devoti ricordato a se stessi quel passo della Scrittura che ammonisce con realismo: "Non c'è sulla terra un uomo così giusto che faccia solo il bene e non pecchi" (Qo 7,20). Di qui l'unica via di uscita: il silenzio con cui escono di scena, consapevoli che condannare lei avrebbe significato in primo luogo condannare se stessi.

3. "Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo" (v. 9b). Finalmente il Maestro può esprimere alla ‘sciagurata' ciò che più gli sta a cuore senza pericolo di essere frainteso. "Donna, dove sono?", le dice e basta questa constatazione per far scattare uno sguardo che ha la potenza di trasformare la malcapitata. Essere perdonati prima di ogni altra cosa è percepire ‘quello' sguardo e presagire che la vita, anche la più disgraziata, offre sempre una nuova possibilità, riserva ancora un guizzo inedito, nasconde una chanche impensata. È il perdono infatti e non la perfezione il destino di ciascuno di noi: non si nasce perfetti, si diventa migliori. E soprattutto il passato può essere cancellato se si incrocia quello sguardo. Lo stesso da cui è stato sopraffatto un altro ex zelante, Paolo di Tarso (cfr. 2ª lettura) che, a distanza di anni non esita ad affermare: "Tutto io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura" (Fil 3,8).

"Va' e d'ora in poi non peccare più" (v. 11). Gesù non indulge al male né tantomeno flirta con l'ambiguità, con cui talvolta ai nostri giorni si scherza sull'adulterio. Ma - quel che più conta - sa leggere nel male il desiderio di bene e coglie nella donna la sua sete insoddisfatta di pienezza che è stata sinora contraddetta. Perché lo sanno tutti: dà più forza sentirsi riconosciuti nelle nostre aspirazioni di bene piuttosto che vedersi accusati nelle nostre manifestazioni di male. "La miseria umana e la misericordia divina" sono - nell'insuperabile interpretazione di Agostino - le protagoniste incontrastate di questo brano. La storia si ripete fino a noi, ogni giorno.

 

Mons. Domenico Pompili

[Guarda anche il Video-Commento al Vangelo]

 

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