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XIV Domenica del Tempo Ordinario anno A. Preferisco i piccoli!

La povertà, la piccolezza interiore, che ha il nome dell'umiltà e della mitezza, sono le condizioni necessarie e ideali per saper riconoscere il Signore come via, verità e vita e mettersi alla sua sequela.

Io sono mite e umile di cuore

Può capitare alle volte che stando insieme a un bambino di fronte a certe situazioni o fatti che gli si presentano davanti, questi abbia la capacità di fare dei ragionamenti o di prorompere con delle intuizioni che per la loro profondità e chiarezza lasciano gli adulti sbalorditi, a bocca aperta. C'è infatti nei bambini questa capacità di capire l'essenzialità delle cose, ancora prima dei ragionamenti degli adulti che molto spesso, pur con tutta la loro maturità e conoscenza, non riescono ad ottenere.

1. Mi piace pensare che anche Gesù, nei suoi innumerevoli viaggi, abbia incontrato sulla sua strada alcuni bambini di questo tipo, capaci di ascoltare le sue parole meglio di un adulto, capaci, con la loro semplicità, di penetrare il mistero del regno dei cieli, di capire chi Egli veramente fosse e di fidarsi di Lui senza esitazioni. Ma Gesù in questi bambini riconosce anche tutti coloro che sono piccoli non tanto per ragioni anagrafiche, quanto per la loro condizione di vita o perché vivono una particolare situazione interiore. Gesù identifica nei piccoli gli ultimi, i poveri, coloro che vivono una situazione di sofferenza fisica e spirituale. Coloro che non si sentono degli arrivati, ma che sentono sempre il bisogno di capire, di mettersi ancora in cammino per cercare la verità. Gesù vede i piccoli anche in coloro che vengono sfruttati e sottomessi dai potenti e dai farisei che, sfruttandone l'ignoranza, impongono loro quel legalismo che aumenta enormemente le applicazioni pratiche della legge mosaica, quasi che da esse e non da Dio dipenda la salvezza.

Gesù è venuto invece a portare, allora come anche ai nostri giorni, una libertà profonda e interiore, da ogni legalismo e dalla soggezione timorosa e supina a leggi fatte solo da uomini. Egli individua nei piccoli coloro che, pur non avendo grandi doti di intelligenza e non possedendo tutta l'erudizione della dottrina che avevano i farisei, gli scribi e i dottori della legge, riescono più di questi a cogliere la verità, a riconoscere in Lui il Figlio di Dio, il Messia da tutti atteso, colui che è venuto a liberare gli oppressi, a dare la libertà agli schiavi, a restituire la vista ai ciechi, a guarire i contriti di cuore, ad annunciare un regno di pace e di giustizia. I piccoli, amati e preferiti da Gesù, più di tutti gli altri, appartengono alla logica di Dio in cui per capire e accogliere il suo regno, non bisogna possedere un sapere scientifico, cioè la capacità di accostare delle verità, vederne la non contraddizione interna e accettarne l'evidenza, ma si deve avere la "scienza" che è dono dello Spirito: di capire interiormente la verità col desiderio di metterla in pratica.

2. La povertà, quindi, la piccolezza interiore, che ha il nome dell'umiltà e della mitezza, sono le condizioni necessarie e ideali per saper riconoscere il Signore come via, verità e vita e mettersi alla sua sequela. Ma essere piccoli e miti di fronte agli uomini procura stanchezza e sofferenza. Ecco perché Gesù si preoccupa di coloro che sono stanchi e oppressi; ha a cuore la loro serenità e li chiama a sé, offrendo ristoro e un giogo dolce e leggero non perché sia meno esigente, quasi che la sua fosse una morale della permissività e della licenza, ma perché è Lui a rendere leggero il peso con la sua solidarietà e concreta partecipazione. Lui è il primo dei poveri, dei semplici, dei piccoli, dei miti; si carica per primo la croce sulle spalle ed è questa sua vicinanza che rende sopportabile e leggera la croce di chi lo segue. La legge del Regno di Dio è da sempre la legge del più piccolo, del più povero. Dio sceglie sempre gli ultimi, coloro che sono emarginati da chi gode maggior prestigio nella società per il loro conto in banca, per la loro intelligenza, per la loro autorità; egli sceglie chi è messo da parte, chi non conta per niente. È questa la legge dei suoi inizi umili e poveri, del granello di senapa, del suo entrare a Gerusalemme non sopra un focoso cavallo da guerra, ma sopra un mite asinello, è infine la logica della sua morte in croce: scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani. "Dio ha scelto - dirà s. Paolo alla chiesa di Corinto - ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio" (1Cor 1,26-29).

È questa una logica che dovremmo sempre di più perseguire anche dentro le nostre comunità che ancora troppo spesso risentono, nella loro organizzazione umana, della pesantezza della carne di cui s. Paolo nella 2ª lettura di oggi ci parla, e del peccato e delle sue schiavitù. Ci sono ancora tra i credenti molti schiavi del "giogo farisaico", per il quale invece di essere legati a Dio, sono legati a strumenti che risentono del fascino pagano dell'apparire e del trionfo o ad altre persone, per mezzo di regole o di modalità puramente umane. È questa una delle schiavitù più profonde e alienanti che toglie la libertà non solo esteriore ma anche interiore, che è il dono più prezioso offerto dal Padre ai suoi figli. Una logica che impedisce alle persone di diventare adulte, mature e responsabili nel quotidiano, di essere laici che godano di piena dignità nella Chiesa e sappiano testimoniare nel mondo con libertà e coraggio la propria fede.

Commento di don Guido Benzi

 

tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi"
Ave, Roma 2007

 

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