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XXIII Domenica del tempo Ordinario anno B. Gesù continua a toccarci fisicamente per guarirci spiritualmente

Il brano evangelico ci riferisce una bella guarigione operata da Gesù: "E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: Effatà, cioè: Apriti! E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente".

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Gesù non operava miracoli come chi aziona una bacchetta magica o fa schioccare le dita. Quel "sospiro" che si lascia sfuggire al momento di toccare gli orecchi del sordo, ci dice che si immedesimava con le sofferenze della gente, partecipava intensamente alla loro disgrazia, se ne faceva carico. In un'occasione, dopo che Gesù aveva guarito molti malati, l'evangelista commenta: "Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie" (Matteo 8, 17).

I miracoli di Cristo non sono mai fine a se stessi; sono "segni". Quello che Gesù operò un giorno per una persona sul piano fisico indica quello che egli vuole operare ogni giorno per ogni persona sul piano spirituale. L'uomo guarito da Cristo era sordo-muto; non poteva comunicare con gli altri, ascoltare la loro voce ed esprimere i propri sentimenti e bisogni. Se la sordità e la mutezza consistono nella incapacità di comunicare correttamente con il prossimo, di avere relazioni buone e belle, allora dobbiamo riconoscere subito che siamo tutti, chi più chi meno, dei sordo-muti ed è perciò a tutti che Gesù rivolge quel suo grido: Effatà, apriti! La differenza è che la sordità fisica non dipende dal soggetto ed è del tutto incolpevole, mentre quella morale lo è. Oggi si evita il termine "sordo" e si preferisce il termine "non udente" proprio per distinguere il semplice fatto di non sentire dalla sordità morale.

Siamo sordi, per fare qualche esempio, quando non sentiamo il grido di aiuto che si leva verso di noi e preferiamo mettere tra noi e il prossimo il "doppio vetro" dell'indifferenza. Dei genitori sono sordi quando non capiscono che certe atteggiamenti strani o scomposti dei figli nascondono una richiesta di attenzione e di amore. Un marito è sordo quando non sa vedere nel nervosismo della moglie il segno di una stanchezza o il bisogno di una chiarificazione. E viceversa per la moglie.

Siamo muti quando ci chiudiamo per orgoglio in un silenzio sdegnoso e risentito, mentre forse con una sola parola di scusa e di perdono potremmo riportare la pace e la serenità in casa. Noi religiosi, frati e suore, abbiamo nella giornata dei tempi di silenzio e a volte in confessione ci accusiamo dicendo: "Ho rotto il silenzio". Penso che a volte dovremmo accusarci del contrario e dire: "Non ho rotto il silenzio".

Quello tuttavia che decide della qualità di una comunicazione non è il semplice parlare o non parlare, ma il parlare o non parlare per amore. Sant'Agostino diceva alla gente in un discorso: È impossibile sapere in ogni circostanza qual è la cosa giusta da fare: se parlare o tacere, se correggere o lasciar correre. Ecco allora che ti viene data una breve regola che vale per tutti i casi: "Ama e fa' ciò che vuoi". Preoccupati che nel tuo cuore ci sia amore, poi se parli sarà per amore, se taci sarà per amore e tutto sarà bene perché dall'amore non viene che il bene.

La Bibbia fa capire da dove inizia la rottura della comunicazione, da dove viene la nostra difficoltà di rapportarci in modo sano e bello gli uni con gli altri. Finché Adamo ed Eva erano in buoni rapporti con Dio, anche il loro rapporto reciproco era bello ed estasiante: "Questa è carne della mia carne...". Appena si interrompe, per la disobbedienza, il loro rapporto con Dio, cominciano le accuse reciproche: "È stato lui, è stata lei..."

È da qui che bisogna ogni volta ripartire. Gesù è venuto per "riconciliarci con Dio" e così riconciliarci gli uni con gli altri. Lo fa soprattutto attraverso i sacramenti. La Chiesa ha sempre visto nei gesti apparentemente strani che Gesù compie sul sordo-muto (gli pone le dita negli orecchi e gli tocca la lingua) un simbolo dei sacramenti grazie ai quali egli continua a "toccarci" fisicamente per guarirci spiritualmente. Per questo nel battesimo il ministro compie sul battezzando i gesti che Gesù fece sul sordo-muto: gli mette il dito negli orecchi e gli tocca la punta della lingua, ripetendo la parola di Gesù: Effatà, apriti!

In particolare il sacramento dell'Eucaristia ci aiuta a vincere la incomunicabilità con il prossimo, facendoci sperimentare la più meravigliosa comunione con Dio.

Raniero Cantalamessa

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