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XXVII Domenica del tempo Ordinario anno A. Il dolore di Dio

Gesù ha scelto, nel suo ministero, un messianismo fatto di tenerezza e di toni pacati, rifiutando il miracolo e preferendo il dialogo all’atto di forza

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Nel deserto, prima e fondamentale pagina del vangelo, Gesù rifiuta la tentazione di un messianismo fatto di gesti eclatanti, di compromessi col potere (anche religioso), messianismo atteso dalla folla di ieri e di oggi, per imboccare la pericolosa strada della condivisione e della conversione, nel pieno, total, libero e liberante rispetto della scelta di ogni uomo.
Ora, a distanza di tre anni, Gesù sa di avere fallito la sua missione. Troppo ingenua la sua prospettiva, troppi ostacoli nel suo ministero. Forse (chissà) il tagliente buon senso del demonio, per una volta, avrebbe sortito maggiori effetti (Chi non si convertirebbe di fronte a un uomo che galleggia nell’aria?).

Fallimenti
La gente lo ha seguito, prima attratta dalla sua mitezza, poi dal suo innovativo modo di parlare di Dio; i miracoli, compiuti con parsimonia, senza mai violare la libertà di chi vi assiste, hanno accresciuto la sua fama. Solo la moltiplicazione dei pani e dei pesci arresta questa impressionante crescita di popolarità: Gesù rifiuta di farsi incoronare re, si accorge che la gente, ormai, lo cerca per la fame saziata, non per Dio. Chi di noi non voterebbe un governo che, anziché pretendere delle gabelle, regalasse a tutti lo stipendio?
Deluso e amareggiato, il Signore si ritira in una sfera più intima, ma anche dai suoi apostoli riceve una cocente delusione: non hanno capito il suo progetto, litigano (ettepareva) sul loro ruolo nel futuro governo di Israele.
La folla, dopo un primo momento di euforia, cambia idea sul Nazareno: il Regno di Dio non è arrivato, i romani sono ancora lì, con la loro arroganza; Gesù è solo un clamoroso bluff.
Totalmente Dio, totalmente di Dio, l’uomo Gesù di Nazareth che, come uomo, opera liberamente le sue scelte, si accorge di avere sopravvalutato gli uomini, cede alla sensazione (terribile), di avere completamente fallito il bersaglio.
Una sensazione tragica, che ho visto sul volto di molti fratelli adulti, di molte sorelle, al tramonto della loro vita, di molti preti. La sensazione di chi non può più tornare sui propri passi.
Cosa fare, ora?
Gesù parla, gli occhi bassi, seduto, quasi pensando tra sé e sé.
Racconta di una vigna, una bella vigna, data in gestione a dei vignaioli assassini.
È la tragica storia di Dio e dell’umanità, di una incomprensione che fatica a risolversi, di un dolore, il dolore di Dio, che spiazza e interroga.

Che fare?
Il dolore di Dio, palpabile in questa tragica parabola, mi zittisce.
Gesù parla (me lo vedo), la voce rotta dall'emozione: che fare? Che farò?
La storia dell'umanità è la storia di un amore in crisi, di un innamorato passionale, Dio, e di una sposa tiepida e opportunista: l'umanità.
Leggete quanta dignità c’è in questo padrone che prepara con cura e amore la vigna da dare in affitto, quanta idiota arroganza in questi affittavoli che pensano, uccidendo il figlio del padrone, di diventare eredi (ma che manuale di diritto hanno letto?).
Immagine dell'umanità che non riconosce il proprio Creatore, il proprio limite, questa tragica parabola è la sintesi della storia fra Dio e Israele, fra Dio e l'umanità. L’uomo non riconosce il suo Creatore, si sostituisce a lui: ecco il peccato di fondo, la tragica fragilità dell’uomo, credere di essere autosufficiente, senza dover rendere conto, misconoscere il proprio limite.
Ancora oggi accade così, in questi deliranti tempi in cui, invece di riconoscere la propria origine e la propria dignità, l’umanità pensa a come fregare il proprietario, nega l’evidenza della propria creaturalità, si perde nel delirio di onnipotenza di chi crede di manipolare l’origine della vita, il cosmo, la natura.
Che fare?
Gesù, ora, inciampa nelle sue parole, pensa alla predicazione, ai suoi gesti, alla tanta tenerezza, alla profonda e virile umanità mostrata negli anni dell’annuncio.
All’uomo un Dio così proprio non importa, non lo vuole: preferisce un Dio scostante e impettito, forse, onnipotente e freddo da placare o convincere. Da manipolare.
Che fare?

Commozione
Mi commuove questo Dio onnipotente fermato dal nostro rifiuto, come un amante scosso, un genitore ferito, un amico che si scopre improvvisamente tradito.
Che fare?
Questo Dio sconsiderato rischia la vita del figlio, pensando, così facendo, di suscitare rispetto nell’uomo, se non giustizia. E invece no, anche questo gesto è stravolto, incompreso.
Che fare? Gesù non sa più cosa dire, aspetta una risposta dagli affittavoli che, ingenuamente, nell’ottusità del loro cuore, non capiscono che proprio di loro si sta parlando.
E inveiscono: morte, punizione, vendetta, maniere forti, regole, o dentro o fuori!
Già, replica il Rabbì, già.
Così non sarà, così non avverrà.
Solo l’ultima parte del consiglio si avvererà: ad altri verrà data la vigna, a noi, ladri di salvezza.
Il rabbì, invece, non si vendicherà, ma si lascerà spazzare via piuttosto che usare violenza.

L’uomo che dimentica di essere vignaiolo, di guardare altrove, di vivere nella gratitudine del dono della vita, l’uomo che non cerca il proprio destino e la propria chiamata, viene accecato dalla propria violenza e dalla propria arroganza, semplicemente.
A noi, non più affittavoli ma coeredi, il compito di vivere nella gioia del coltivare la vigna di Dio, sopportando con pazienza evangelica la violenza nel nostro e nell’altrui cuore, opponendovi, come esorta san Paolo, "tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro e amabile"

Paolo Curtaz

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