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XXXII Domenica del tempo Ordinario anno C. Il Dio della vita

La vita che Dio ci prepara non è un semplice abbellimento o aggiustamento della vita che conosciamo. E neppure l'eliminazione delle storture più evidenti. Il nuovo supera la nostra immaginazione perché Dio ci stupisce continuamente con il suo amore. Quello che accade è esattamente il contrario di quello che si aspettavano i sadducei. Non è questa vita a fare da riferimento all'eternità, ma l'eternità a trasfigurare e a offrire una rotta diversa alla nostra esistenza.

Chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato

1. Siamo in novembre, il mese tradizionalmente dedicato alla memoria dei defunti e la Chiesa ci invita oggi a una riflessione sobria e severa sul mistero della morte, ma soprattutto della risurrezione dai morti. Una riflessione che non ama le tinte forti della curiosità, né le consolazioni zuccherose; rifiuta la disperazione ma non banalizza la morte, presentandocela come ingresso nel mistero di Dio. L'incontro con il Dio dei vivi, che la preghiera attesta nella nostra esperienza terrena, è la premessa per la speranza di un futuro con Dio. Nello spirito di questa convinzione invochiamo con la seconda colletta: "... davanti a te i morti vivono; fa' che la parola del tuo Figlio... germogli e fruttifichi in ogni opera buona, perché in vita e in morte siamo confermati nella speranza della gloria".

2. La riflessione prende avvio dalla storiella, ben congegnata, che i Sadducei - il partito aristocratico-conservatore, sostenuto soprattutto dall'alto clero giudaico - presentano oggi a Gesù. Una storia paradossale pensata apposta per ridicolizzare quelli che credevano alla risurrezione dei morti ed invischiare Gesù in una diatriba ideologica. Se una moglie ha avuto, uno dopo l'altro, sette mariti, di chi sarà la moglie nella nuova vita? Ma la storia ha un suo punto debole: ritiene che questa vita e quella dopo la morte siano la stessa cosa, funzionino allo stesso modo, secondo i medesimi parametri. Non un cambiamento, dunque, ma solamente il riproporsi della stessa vita dopo quel passaggio oscuro che è la morte.
Una storia che ha come sfondo la dottrina dell'Antico Testamento che ha pagine piuttosto esitanti sulla risurrezione, fatta eccezione per qualche intuizione sporadica (cfr. Is 26,19; Ez 37) e per i libri sacri scritti in greco. A queste esitazioni risponde il brano che funge oggi da 1ª lettura. Di fronte al torturatore, i sette fratelli Maccabei reagiscono professando la loro certezza nella vita oltre la morte. Più forte è la risposta di Gesù: una proclamazione di Dio come Signore della vita, radice di eternità per tutti coloro che sono stati in comunione e in alleanza con lui. È la certezza che farà brillare in modo supremo nella sua Pasqua, quando "la morte sarà ingoiata per la vittoria", come scriverà Paolo (1Cor 15,54).

3. Non tutti i giorni e non tutti i momenti, ovviamente, ci poniamo la domanda: "Che cosa è la vita?", "che senso ha l'esistenza umana?", "quale è il nostro futuro dopo la morte?". Viene tuttavia per ogni persona il momento in cui l'interrogativo si pone, e non per velleità filosofiche, ma perché l'esistenza stessa con i suoi drammi, ci costringe a riflettere e a prendere posizione. La questione può essere posta nei termini nobili di ricerca della verità, o nei termini banali e ironici utilizzati dai Sadducei, i quali non cercano di scoprire, ma di ridicolizzare una verità che hanno ideologicamente escluso dal loro bagaglio esistenziale. Se da un lato avvertiamo prepotentemente il desiderio di vivere per sempre e in pienezza nell'unione con coloro che amiamo e con tutto quanto costituisce la nostra realtà di esseri viventi, dall'altro avvertiamo, di fronte alla morte, la nostra radicale contraddizione. L'uomo di buon senso, infatti, avverte che le sue sole forze e possibilità non sono in grado di conquistare quella vita senza fine, quell'eternità che desidera con tutto il suo essere. Solo l'abbandono in un Altro, in Dio, offre contenuto alla nostra speranza e al nostro desiderio di essere compiutamente per sempre.
Il dono dell'eternità come pienezza di vita ci giunge da Dio per l'offerta del suo Figlio Gesù, colui che ha vinto la morte e che, per il suo Spirito, dona la vita nuova ed eterna, la vita risorta, a tutti coloro che attendono l'adempimento della propria speranza. E la vita che Dio ci prepara non è un semplice abbellimento o aggiustamento della vita che conosciamo. E neppure l'eliminazione delle storture più evidenti. Il nuovo supera la nostra immaginazione perché Dio ci stupisce continuamente con il suo amore.
Quello che accade è esattamente il contrario di quello che si aspettavano i sadducei. Non è questa vita a fare da riferimento all'eternità, ma l'eternità a trasfigurare e a offrire una rotta diversa alla nostra esistenza. L'evidenza della storia, la nostra esperienza, sembra dire: il cammino dell'uomo va dalla vita verso la morte. Gesù capovolge la prospettiva: dalla morte alla vita va il pellegrinaggio dell'uomo. La morte sta dietro, alle spalle, non in faccia. In faccia a me sta il Dio dei viventi. L'evidenza della morte è un'illusione: "Dio, per te non esiste la morte, / noi non andiamo a morte per sempre, / il tuo mistero trapassa la terra, / non lascia il vento dormire la polvere" (D.M. Turoldo).
Nella prospettiva di Gesù la nostra storia, povera storia di uomini e donne segnati dalla fragilità, diventa la storia di Dio, perché la vita eterna non è una realtà situata unicamente alla fine della storia, così come banalmente si pensa. Essa è, invece, quanto già oggi - anche in forma provvisoria e solamente anticipatrice - i credenti vivono per Cristo e nello Spirito, per mezzo dell'ascolto della Parola e nell'incontro sacramentale. La nostra vita di credenti testimonia, così, la definitiva sconfitta del peccato e della morte e l'inizio di un nuovo tempo in cui è possibile vivere la libertà da ogni forma di paura, dalla morte e dalla legge; un nuovo tempo in cui si rende comprensibile il valore di quanto è umano e dell'intera storia personale e collettiva. La vita risorta dell'esistenza cristiana nel presente, la partecipazione alla vita eterna, si traduce in esperienza di pace e di gioia nello Spirito e il senso di ciò riesce comprensibile soprattutto quando i credenti lottano contro le ingiustizie, quando vengono a trovarsi di fronte alle minacce e alle ostilità e le affrontano con fiducia e speranza, anche se ciò dovesse comportare il martirio. Non a caso, l'esperienza del martirio è sempre stata riconosciuta (cfr. la 1ª lettura) come segno di una reale partecipazione alla risurrezione e alla vita eterna. Partecipazione che, in particolar modo, si rende evidente nell'oggi, in relazione alla carità. La carità, infatti, ha sempre la meglio su tutte le espressioni vitali di separazione, di odio, di disgregazione delle fondamentali relazioni umane, di alienazione della dignità dell'uomo e di distruzione del mondo; essa testimonia la forza unificante della risurrezione e il possesso della vita di Dio nel presente della storia e, per questo, rende credibile il vangelo della vita. In questa linea la stessa fraternità ecclesiale, animata dal dono della carità, è segno di una esistenza qualitativamente nuova (escatologica) anticipata, vissuta, celebrata, testimoniata.
Allora il Dio in cui noi crediamo è un Dio che non vuol essere considerato come il Dio dei morti, un Dio che ricaviamo dai documenti del passato, venerande testimonianze di ciò che è ormai sepolto dal tempo. No, Dio è "il Dio dei viventi", perché la sua Parola, la sua presenza, il rapporto di alleanza che egli instaura con noi, ci strappa alla morte e ci lancia in un'avventura che va verso l'eternità.

Commento di don Antonio Mastantuono
tratto da "Il pane della Domenica". Meditazione sui vangeli festivi Anno C
Ave, Roma 2009

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