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Educare a una fede adulta

Relazione di Mons. Mariano Crociata, Segretario Generale della CEI per il Convegno nazionale dei Direttori degli Uffici di Pastorale Sociale. Bari, Hotel Parco dei Principi, 25 ottobre 2012

Crociata.jpgQuesto convegno è un grande contenitore, che tocca temi in sé cruciali e oggi profondamente sentiti come la famiglia, il lavoro, la festa, attorno ai quali si annodano gravi preoccupazioni e grandi speranze. Questo grande contenitore ha però un orizzonte, una cornice che fornisce una visione d’insieme, una possibile unitarietà, soprattutto un senso: l’educazione degli adulti alla fede o a una fede adulta.

C’è un contesto più ampio, una cornice al nostro convenire, che può essere indicata nell’indirizzo dato dai vescovi italiani al cammino pastorale delle Chiese in Italia.

Esso stesso rimanda però a un motivo più intrinseco, che si evidenzia nella scelta dei vescovi di adottare l’educazione come filo conduttore per il decennio incorso; una scelta  che risponde a un discernimento e a una logica di percorso della Chiesa in Italia a partire dal Concilio.

L’incrocio spontaneo di tale scelta, poi, con l’Anno appena inaugurato da Benedetto XVI fa risaltare come il contenuto, l’oggetto dell’impegno educativo della Chiesa in Italia sia proprio la fede; una fede che fa corpo con persona e con maturità umana.

Per questo sono contento di aprire questo convegno con una parola sull’educazione, e in particolare su quella degli adulti, e quindi sulla loro educazione alla fede.

 

L’idea di educazione di per sé rimanda alle nuove generazioni (bambini, ragazzi, giovani), quella di adulto invece all’educatore; per gli adulti si parla, al più, di formazione permanente, intesa come aggiornamento professionale, strumento per tenere all’altezza del progresso la competenza tecnica nel campo specifico di attività.

Tuttavia da qualche tempo si è fatta strada anche l’idea di una longlife education, di una educazione che dura tutta la vita. Certo si tratta di qualcosa di diverso dall’attività che si prende cura della crescita e della maturazione di bambini,  ragazzi e giovani, che conferisce il senso fondamentale, paradigmatico, dell’educazione.

Perché parlare di educazione degli adulti? Se guardiamo all’obiettivo o al risultato, l’educazione tende alla realizzazione della persona, in quanto abilitata a dare espressione a tutte le sue potenzialità e capacità; con altra parola, essa tende al raggiungimento della maturità. L’osservazione e l’esperienza ci hanno reso edotti del fatto che tale condizione di maturità non si può considerare uno status raggiunto una volta per tutte, ma un equilibrio dinamico.

Se il risultato dell’educazione è la persona nella raggiunta capacità di conduzione autonoma della propria vita, nell’esercizio responsabile della libertà e con il dispiegamento di una matura intelligenza e capacità di giudizio, in ordine alle scelte, alla condizione di vita e alle relazioni sociali, allora l’educazione ha una dimensione permanente che consiste proprio nell’esercizio attivo di quella raggiunta capacità.

Possiamo avvalerci al riguardo di alcune utili distinzioni, e precisamente  tra educazione formale, che si impartisce nelle istituzioni ad esso deputate, quella non formale, che viene invece svolta in differenti percorsi esterni a quelle istituzioni, e l’educazione informale, quella cioè che è frutto della valorizzazione di tutte le esperienze offerte dalle circostanze della vita in una prospettiva di progressiva presa di coscienza e di crescente maturazione della persona.

Più che mai nell’educazione di un adulto il soggetto del processo educativo è la stessa persona adulta. In un certo senso esso è un processo che non si distingue dal corso ordinario di vita, poiché a cambiare è il modo come viene vissuto e assunto dalla persona il corso della propria vita, il suo grado di consapevolezza e di coinvolgimento volontario.

Ragionevolmente è da ritenere che molto di questo processo attivo nell’età adulta dipende dalla qualità della educazione formale e non formale ricevuta e acquisita nel corso della fase evolutiva e della formazione della personalità. Per questo l’educazione dell’adulto assume in qualche misura anche un valore integrativo e correttivo dell’educazione che lo ha condotto all’età adulta.

Potremmo tentare di condensare le dimensioni costitutive della raggiunta maturità umana (da intendere, come sottolineato, in senso dinamico, come processo mai terminato anche se dotato di stabilità e equilibrio). Tali dimensioni sono riconducibili a tre: innanzitutto, la capacità di orientamento nel mondo della vita (che significa non dipendere più da altri, ma saper procedere con le proprie forze, secondo motivazioni e orientamenti acquisiti dalla persona); poi, la generatività (intesa come esigenza e capacità di far sorgere vita attorno a sé attraverso relazioni interpersonali sociali creative e la pratica della dedizione ad altri e del prendersi cura di loro nella famiglia, nel lavoro e in altre realtà sociali); infine, la coscienza e il senso dell’avere un contributo da portare alla vita della collettività (come espressione della responsabilità che sorge dal riconoscimento che il mondo va avanti grazie all’apporto di ciascuno e che, per andare avanti, tutti devono farsi carico di tutti).

Diventare adulti significa, dunque, fondamentalmente superare l’attenzione narcisistica e la concentrazione su di sé per imparare ad aprirsi al tutto.

Che cosa può “educare”, cioè accompagnare il processo di educazione dell’adulto, ovvero il rafforzamento della sua maturità umana?

L’educazione di un adulto è quasi esclusivamente legata alla capacità e alla effettività di una raggiunta elaborazione personale delle esperienze interiori ed esteriori. Ciò che può aiutare tale processo di assunzione del proprio vissuto è riconducibile alla condizione e alla possibilità di rielaborazione personale: a questo ambito può essere riferito quell’insieme di opportunità e di esperienze che consentono la riflessione o la vita interiore (senza necessariamente connotarla immediatamente in senso spirituale cristiano, ma anche senza ridurla a impersonale meccanismo psicologico), intesa nel senso di interazione tra esperienze e loro valutazione e discernimento. Le modalità possono essere le più varie; penso – giusto per citarne qualcuna – al dialogo e al confronto, alle forme di riflessione e di confronto delle esperienze in famiglia o in gruppo, ai gruppi di interesse, alle aggregazioni in cui si sviluppa la formazione delle idee, dei progetti, dei processi culturali e sociali, all’incontro con le varie espressioni artistiche. Queste e altre ancora sono forme e opportunità con cui portare avanti un processo di educazione permanente per gli adulti.

Per completare questo genere di considerazioni, mi pare importante aggiungere che ci sono tre livelli modali che devono essere tenuti presenti: le pratiche e le esperienze, le teorie, le narrazioni. Solo un intreccio tra vissuto, riflessione teorica e coinvolgimento o elaborazione emozionale e affettiva riesce a dar luogo a un processo educativo adulto, inteso come crescita nell’area della coscienza di sé, che è progressiva presa di possesso di sé e del proprio unitario e coerente orientamento di vita.

 

Quest’ordine di considerazioni non è estraneo né tantomeno giustapposto a quello della fede e della educazione ad essa. L’educazione alla fede non è infatti alternativa né aggiuntiva rispetto a quella che abbiamo fin qui esposto. C’è un aspetto che mette in mostra la continuità strutturale dell’una e dell’altra.

Mi riferisco al fatto che il battesimo dei bambini non è il fatto cristiano originario quanto all’ingresso nella fede e nella Chiesa. In origine e di per sé, l’annuncio cristiano è rivolto ad adulti invitati a convertirsi. E del resto solo se ci sono adulti convertiti, credenti, ha senso battezzare i bambini. Il modello della iniziazione cristiana è, fin dall’antichità cristiana, ma anche per definizione, quella degli adulti, perché gli adulti presentano le caratteristiche formalmente idonee a una compiuta scelta cristiana in coscienza e libertà. Non a caso la ripresa post-conciliare del Rito della iniziazione cristiana degli adulti riflette una tale coscienza storica, oltre che venire incontro a una situazione sociale che vede crescere il numero di adulti che chiedono il battesimo. Non a caso, parimenti, il RICA è diventato anche il punto di riferimento nel completamento della iniziazione cristiana dei ragazzi che son stati battezzati da bambini e della iniziazione cristiana di giovani e adulti che hanno abbandonato o vogliono riscoprire e riprendere la pratica della vita cristiana. 

Il dato fondamentale, l’evento sorgivo dell’esperienza cristiana è l’incontro con Cristo. La storia cristiana ci mostra che tale incontro può avvenire a tutte le età. Ma è anche vero che ordinariamente tale incontro produce tutti i suoi effetti nella condizione della maturità umana, o meglio nel processo che rende possibile e sviluppa tale maturità umana.

Inoltre è da considerare che, soprattutto per i piccoli, i ragazzi e i giovani che completano la loro iniziazione cristiana, sono proprio gli adulti a svolgere il ruolo di guide, accompagnatori, modelli testimoni, insomma educatori. Partire dagli adulti e dalla necessità della loro educazione cristiana è allora anche la prima condizione per il rilancio del compito educativo.

A ciò bisogna aggiungere un ordine di considerazioni che abbiamo intenzionalmente omesso, e cioè la situazione socio-culturale che caratterizza la nostra attuale condizione, soprattutto in Occidente. Molti studi e rilevazioni concordano nel constatare la ridotta capacità di maturità di tanti adulti di oggi. Ci sono in tal senso segnali estrinseci di non poco rilievo: basti osservare il fenomeno dell’andamento demografico, pari ormai allo zero se non inferiore nella nostra Italia, e l’inaridimento della passione e della dedizione educativa che questa stagione storica conosce. L’uomo di oggi appare ripiegato su se stesso, incapace di aprirsi e di dedicarsi agli altri, di darsi a un compito, a una missione. Sembra condannarsi all’autoreferenzialità e all’incapacità di farsi carico della vita, degli altri e perfino di se stesso. La qualità che è stata sempre riconosciuta come tipica della maturità umana sembra ormai completamente dimenticata, come se essere adulti non fosse più una possibilità, qualcosa di buono e di desiderabile, qualcosa che rende la persona umana veramente se stessa. La ricerca dell’autorealizzazione e dell’appagamento fine a se stesso è diventata la cifra della condanna a un infantilismo e a una eterna adolescenza come condizione psicologica, spirituale, culturale insuperabile. E qui si coglie – a proposito di famiglia, lavoro e festa – come il ripiegamento egoistico e solipsistico su di sé renda ciechi ad una evidenza madornale, perché la chiusura alla vita e il disprezzo per essa sono l’altra faccia della incapacità a dare soluzione ai drammatici problemi sociali, anzi denunciano le cause e l’origine ultima delle scelte e degli atteggiamenti che hanno generato la crisi anche economica in atto.

Si comprende, così, la ragione e insieme il valore della scelta compiuta dai vescovi italiani negli orientamenti pastorali del decennio di mettere al primo posto gli adulti come destinatari primi di una proposta educativa, prima di guardare a loro come educatori e prima di portare l’attenzione su ragazzi e giovani in quanto destinatari propri della dedizione educativa degli adulti anche in prospettiva cristiana.

 

Ma quale forma deve prendere la proposta cristiana rivolta ad adulti e l’accompagnamento che deve seguire?

Per prima cosa bisogna constatare che l’istanza antropologica della maturità  non può che incrociarsi e trovare adempimento nell’orizzonte cristiano. E il luogo di tale adempimento è la Chiesa. Ci è chiesto che la Chiesa si mostri, innanzitutto ai nostri stessi occhi, come il luogo in cui quegli aspetti e quelle dimensioni fondamentali sopra richiamate (la visione intellettuale, l’esperienza vissuta e il coinvolgimento affettivo) trovino proprio in essa lo spazio adeguato. E ciò che noi possiamo constatare in una successione che può apparire giustapposta, in realtà è destinato a rivelare l’ordine vero delle cose, e cioè il riconoscimento che in Cristo l’umanità adempiuta che noi cerchiamo e  a cui siamo destinati ha trovato la suprema esemplare realizzazione, così che possiamo semplicemente riconoscerla, cioè credere.

Come la Chiesa può e deve rispondere non solo a questa istanza di fondo dell’azione pastorale oggi ma, soprattutto, all’appello che sale dal cuore dell’uomo proprio in questo tempo così paradossale e perfino contraddittorio?

La Chiesa deve essere compresa essa stessa quale luogo per eccellenza in cui si incontra Cristo come persona che è verità, vita e via. In essa la logica dell’esistenza umana e la logica cristiana si corrispondono e coincidono, perché si mostra che la realizzazione in Cristo è inscritta nella struttura stessa dell’essere umano e Cristo non si aggiunge come una perfezione supererogatoria e comunque alla fine facoltativa e quindi non necessaria e irrilevante alla ricerca dell’uomo, ma come ciò in cui l’uomo trova spontaneamente la verità di se stesso (certo non come mera espansione di un umano autosufficiente ma solo attraverso il passaggio pasquale).

L’educazione alla fede ha senso solo come atto ecclesiale, o se vogliamo come atto personale in quanto inseparabilmente ecclesiale.

L’unità dei due aspetti, personale ed ecclesiale, dell’educazione alla fede dipende del resto dalla natura stessa della fede come dono e chiamata dall’alto.

È importante non perdere di vista che la fede può essere soggetta a educazione solo in quanto accompagnamento e sostegno nella crescita di qualcosa che non è l’atto educativo a produrre o sviluppare. D’altra parte la fede non potrebbe consolidarsi e crescere senza un accompagnamento proprio sul piano del dono di grazia in cui consiste, perché essa possa essere accolta, nutrita e coltivata. Ora la Chiesa è il luogo sacramentale in cui la fede ricevuta in dono riceve il sostegno di quella stessa grazia nella quale è stata generata. Questo del resto corrisponde alla natura della fede fin dal suo sorgere, poiché essa è sorgivamente e strutturalmente ecclesiale. Essa in nessun momento può essere ricondotta a un rapporto personale con Dio privo di riferimento alla Chiesa, poiché solo con il dono del battesimo essa può considerarsi pienamente conferita. Ma il battesimo non è altro che l’atto con il quale il credente diventa tale entrando a far parte della comunità ecclesiale che visibilizza l’accoglienza nella comunione delle persone divine. Cominciare a credere ed entrare a far parte della comunità ecclesiale coincidono, nel senso che strutturalmente dove c’è l’uno deve esserci necessariamente anche l’altra.

Su questo sfondo e con questa comprensione può prendere adeguata forma il processo di educazione alla fede.

A questo punto, più che diffondermi su modalità e tecniche pedagogiche o cose simili, penso sia più utile attestarmi su un presupposto di principio che costituisce il contenuto e il metodo dell’opera educativa nella sua forma più adeguata, tanto più là dove essa si riferisce agli adulti. Tale principio può essere enunciato nei termini dettati dalla Dei Verbum al n. 8, là dove si dice che «così la Chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede». Sussiste una circolarità costitutiva ed essenziale tra identità, attività di trasmissione e contenuto di fede della Chiesa. La Chiesa è trasmissione della fede attraverso la trasmissione di se stessa, e la trasmissione di se stessa consiste nel condensato indisgiungibile di dottrina, vita e culto, e cioè di dimensione veritativa, etico-esistenziale e cultuale. In questo punto incrociamo la vera natura dell’azione educatrice della Chiesa alla fede. Essa non è una attività distinta, o peggio separata, da tutto ciò che la Chiesa già fa, ma il frutto, l’esito, la dimensione educativa del suo essere e del suo agire in ordine alla vita delle persone. Ciò che la Chiesa fa ha un effetto educativo. La Chiesa è per sua natura educante: questa è la sua missione, far crescere figli di Dio, attraverso il sostegno materno offerto con la parola, i sacramenti, la guida verso coloro che sono stati resi suoi membri per la chiamata alla fede e il dono del battesimo.

Come si esprime questa attenzione specifica, questa dimensione costitutivamente educativa dell’agire ordinario della Chiesa?

Io direi a diversi livelli.

Il livello più fondamentale è anche quello più dato per scontato, considerato ovvio. In realtà a plasmare la fede dei credenti è l’ascolto della Parola e la celebrazione dei sacramenti, in un clima e in uno stile di preghiera personale e comunitario che confessa con i gesti, prima che con le parole, il primato assoluto di Dio nella vita dei credenti e della Chiesa tutta.

Su questa base si innesta quell’azione pastorale chiamata a dare efficacia e concretezza personale e comunitaria all’opera istituzionale e costitutiva della Chiesa. Essa interessa innanzitutto la cura e le forme pratiche dell’ascolto e della celebrazione. Su questo punto si colloca il tratto specifico e primordiale dell’azione educativa della Chiesa, perché innanzitutto in esso opera con la massima efficacia il principale e vero educatore del suo popolo, che è Dio stesso per il suo Cristo nello Spirito. La fede in tale primato e la cura per la sua massima evidenza nella coscienza e per la forma e la qualità dell’ascoltare e del celebrare costituiscono il primo atto educativo di una comunità cristiana e la sua più grande responsabilità.

Intimamente connesso con tale impegno è ciò che costituisce l’effetto che ne risulta. Esso non è un risultato automatico ma un frutto personale, cioè conseguito per la grazia comunicata dalla risposta personale e comunitaria dei fedeli. Una comunità che ascolta e celebra in uno spirito di fervorosa preghiera vede crescere nel proprio seno relazioni nuove. La fede di adulti che si lasciano educare dal Signore nella Chiesa si mostra in un modo nuovo di stare insieme e di condividere l’esperienza della vita, come effetto di risposta personale e comune elaborata in una vita ordinata sotto la guida dei propri pastori.

In questo modo fiorisce spontaneamente l’elaborazione di una attenzione specifica all’educazione degli adulti nella comunità ecclesiale. Essa fondamentalmente ha un obiettivo: rendere il singolo adulto, inserito nella rete di rapporti della comunità, capace di diventare sempre più soggetto responsabile del proprio cammino di credente, all’interno della stessa comunità e in qualsiasi ambiente egli si venga a trovare. L’unico modo di educare un adulto (ma fatte le  debite differenze questo vale per tutti i destinatari dell’opera educativa) è quello di renderlo protagonista del proprio cammino di vita, soggetto della propria formazione, responsabile della propria storia e riconciliato con il proprio passato, per riconoscere e accettare il proprio presente e procedere con impegno generoso verso il futuro. Senza questa capacità di coinvolgimento personale sarà difficile vedere risultati di percorsi educativi di sorta.

In maniera sintetica e conclusiva, allora, si potrebbe raccogliere il senso dell’impegno educativo degli adulti alla fede attorno a tre prospettive operative:

innanzitutto, coltivare la dimensione contemplativa come formazione di una capacità di giudizio, frutto di ascolto e di riflessione; 

poi, condividere l’esperienza della vita nella luce della fede secondo le attività di comunità e il dialogo a vari livelli (di amicizia, di accompagnamento spirituale, di cammino di gruppo) al fine di riappropriarsi narrativamente (nello stile evangelico fatto di insegnamento, ma anche di parabole e di racconto) del senso del proprio percorso di vita, con una attenzione specifica agli ambiti antropologicamente qualificati;

infine, esercitare il discernimento della storia e dei suoi segni nelle varie situazioni della vita del mondo di oggi, avvalendosi della dottrina sociale della Chiesa, per imparare la forza illuminante della fede nella comprensione della realtà e nelle decisioni da assumere, per sperimentare e mostrare che dalla fede viene un inizio di trasformazione dell’uomo e della società intera, e così capire e far capire che la fede non è estranea alla vita reale e ai suoi problemi, ma vi porta dentro in maniera originale per incidere sempre più profondamente, cioè alleandosi con il mistero pasquale che in esso è già intimamente operante.

In questo modo si potrà fare l’esperienza di scoprire ogni giorno che la fede è un dono che ti precede e ti accompagna sempre, al sorgere del giorno come al cadere della notte e nello scorrere delle ore; ma è anche e sempre, proprio per questo, l’oggetto mai posseduto definitivamente di una quotidiana libera e vigile riconquista.

 

+  Mariano Crociata

Segretario Generale della CEI