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Festival a Verona. Dottrina sociale, per cambiare l'Italia dal basso lavorando insieme

A Verona la nona edizione. I messaggi di papa Francesco: «Il mondo cambia non se qualcuno fa i miracoli, ma se tutti ogni giorno fanno quello che devono fare», e del presidente Mattarella

Il Festival della Dottrina sociale nel segno della presenza

(di Francesco Dal Mas) «Il mondo cambia non se qualcuno fa i miracoli, ma se tutti ogni giorno fanno quello che devono fare». E questo perché, secondo papa Francesco, «il cambiamento duraturo passa sempre dal basso, non è mai solo un’operazione di vertice». C’è, pertanto, bisogno di tutti per ricostruire il tessuto sociale e percepire la forza di essere popolo. «In quest’ottica, sono tutti importanti – dice il Papa –: l’ammalato, il povero, il bambino, il vecchio, l’operaio, la professionista, l’imprenditore, il dotto, l’ignorante».

Con il videomessaggio di papa Francesco si è aperto, ieri sera a Verona, il Festival della Dottrina sociale, nona edizione, sul tema Essere presenti-Polifonia sociale. Si protrarrà fino a domenica, mettendo a confronto uomini di Chiesa, politici, imprenditori, associazioni del terzo settore, delle famiglie, professionisti, sindacalisti, docenti universitari. La presenza, ha detto il Papa, non è una teoria, ha una fisicità, è concreta, si esprime in vicinanza, condivisione, accompagnamento, un semplice stare accanto a qualcuno. Ha un’efficacia decisiva perché essere presenti significa togliere dall’isolamento e far giungere quel calore umano che ravviva l’esistenza di chi incontriamo.

«Essere presenti significa – per Francesco – tenere gli occhi aperti per evitare che qualcuno rimanga escluso dal nostro sguardo. Chi non è visto da nessuno entra a far parte della schiera degli invisibili, formata da emarginati, poveri, scartati, sfruttati. Non vederli è il modo più sbrigativo per non farci problemi, eppure loro ci sono e anche se facciamo finta di non vederli, esistono».

Essere presenti significa in particolare prendere l’iniziativa, fare il primo passo, andare incontro – ha esemplificato Francesco – arrivare all’incrocio delle strade dove si trovano i tanti esclusi. «È bello pensare ad una presenza diffusa, che abita tutti i luoghi, porta tenerezza ed opera con lievito, immersi nella pasta dell’umanità, pronti a prendersi cura dei fratelli».

Francesco ha poi articolato il significato della presenza con tre verbi: vedere, fermarsi, toccare. «Quello che vediamo ci può anche spaventare, indurci a spettare, e negare ciò che abbiamo visto». Vedere l’altro chiede di fermarsi: «la presenza non è una corsa. Stare con l’altro, correre non ci fa accorgere di tanti volti e tanti sguardi». Infine il toccare, nel togliere la distanza con l’altro, nel trasmettere calore, nel farsi carico, nel prendersi cura. «Per risolvere il problema non c’è bisogno di grandi manager o di uomini forti, ma – ha proseguito Francesco – è necessario essere uniti nell’impegno di non cedere all’indifferenza». Il nostro Paese va avanti perché – ha concluso il Papa – tante persone, nel silenzio, vivono onestamente, lavorano, sono solidali, si prendono cura di chi è nel bisogno.

Il Festival si è aperto con i contributi, fra gli altri, del vescovo Giuseppe Zenti, del sindaco Federico Sboarina, di Antoine Audo, vescovo di Aleppo in Siria e del cardinale congolese Laurent Monsengwo Pasinya. Un Festival che si è attribuito il ruolo di "costituente sociale", al fine di arrivare a scrivere una "Carta dell’impegno pubblico dei cristiani".

«In un tempo di cambiamenti profondi, è necessario l’impegno per guidarli nella fedeltà ai valori della nostra Carta Costituzionale – sollecita il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un messaggio –. Un impegno, singolo e di gruppo, che deve saper puntare alla condivisione, nell’aspirazione verso una società inclusiva, equa, tesa al raggiungimento del bene comune e dell’affermazione del principio della dignità di ogni persona. Il tema dell’edizione di quest’anno - ’la presenza’ - sottolinea come ogni singola voce possa farsi rete per sollecitare il sorgere di comunità solidali».

La carta del dovere pubblico dei cristiani e la Dottrina sociale

(di Adriano Vincenzi) C'è bisogno oggi della Dottrina Sociale, della sua attualizzazione, della sua declinazione, perché non possiamo più governare uno sviluppo economico senza etica. Fino a ora abbiamo fatto tante cose per poi dire che abbiamo sbagliato. Abbiamo affermato la cultura dello scarto, non abbiamo rispettato l’ambiente, abbiamo invaso di plastica il pianeta. Non erano soluzioni, erano danni per la collettività. La presenza è il filo conduttore della nona edizione del Festival. Si parla tanto di presenza dei cristiani oggi, ma poi nei fatti non si è presenti da nessuna parte.

Se vogliamo affrontare temi importanti come la difesa dell’ambiente, il futuro dell’Ilva, l’immigrazione ecc. dobbiamo innanzitutto capire chi è che sta dentro a tutte queste cose. Per essere presenti e avere una polifonia sociale vuol dire che dobbiamo recuperare soprattutto il rapporto con i nostri territori e con le persone che ricoprono responsabilità. Domenica mattina da Verona avanzeremo una proposta per tutte le città.

L’abbiamo chiamata la "Carta del dovere pubblico dei cristiani". Chiederemo di riunire i vari presidenti delle realtà economiche e culturali per vedere se insieme hanno gli strumenti per mettere in campo una progettualità operativa. Non sistemi teorici, ma l’individuazione di priorità, delle quali chi ricopre delle specifiche responsabilità dovrà farsi carico.Una proposta che viene da lontano e coinvolge direttamente i credenti e non solo.

La Dottrina Sociale, infatti, è una mediazione culturale fra il Vangelo e la storia. Ci sono due aspetti da coniugare: il primo riguarda la fonte dei principi etici, il secondo l’interpretazione concreta degli stessi. Venendo ai nostri giorni, una cosa è la questione operaia, un’altra la globalizzazione, altra ancora la problematica ambientale. Il vantaggio della Dottrina Sociale sta nel godere di una grande flessibilità e nel saper coniugare l’aspetto teorico con la pratica. Ci deve essere sempre un’idea a monte di economia, ambiente e lavoro, ma poi la prima cosa da fare è individuare chi è che può concretizzare tutto.

Da questo punto di vista sarebbe davvero molto interessante andare a vedere quante persone oggi in Italia stanno davvero lavorando, impegnandosi a fondo e faticando ogni giorno. Sono proprio queste a tenere in piedi la nostra economia. Persone che non si perdono in facili discorsi ma credono davvero in ciò che fanno, avendo alla base una progettualità concreta di sviluppo economico. Per questa nona edizione del Festival abbiamo così pensato a un approccio fattivo che servirà da interlocuzione privilegiata nei confronti della politica e uno strumento, un segno di avvicinamento, di feconda sintonia tra la società e le istituzioni.

Francesco Dal Mas e Adriano Vincenzi

© Avvenire, venerdì 22 novembre 2019

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