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Giovani, salvate l'amore dalla deriva tragica in cui è finito

Padre Raniero Cantalamessa invita i giovani a evitare che " l’amore che non sia più dono di sé, solo possesso - spesso violento e tirannico - dell’altro". Occorre donarsi sull'esempio dell'amore di Dio che è "un amore “erotico”, nel senso nobile di questo termine"

È padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia commentare il Vangelo della passione di Gesù. Alla presenza di papa Francesco, nella Basilica Vaticana, il religioso ricorda che è Giovanni, testimone oculare della morte di Gesù che ne dà testimonianza. E che ci fa capire il significato della croce.  «Perché, ci domandiamo, questa illimitata concentrazione di significato sulla croce di Cristo? Perché questa onnipresenza del Crocifisso nelle nostre chiese, sugli altari e in ogni luogo frequentato da cristiani?», dice il predicatore. Perché è sulla croce che Dio si rivela, «soltanto sulla croce diviene manifesto fin dove si spinge questa infinita capacità di auto-donazione di Dio. “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”; “Dio ha tanto amato il mondo da dare (alla morte!) il Figlio unigenito”; “Mi ha amato e ha consegnato (alla morte!) se stesso per me”».

Cantalamessa richiama il Sinodo sui giovani e il fatto che Giovanni sicuramente aveva aderito a Gesù da giovane. Era uno dei due discepoli di Giovanni Battista che seguirono Gesù quando «alla loro domanda: “Rabbì, dove abiti?”, Gesù rispose : “Venite e vedete”. “Andarono dunque e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio”». Giovanni ricorda l’ora precisa perché era quella che ha deciso della sua vita.

E nell’anno che la Chiesa dedica ai giovani è fondamentale scoprire con loro cosa Cristo si aspetta dalla loro vita, cosa possono dare alla Chiesa e alla società. «Giovanni lo scoprì stando con lui: “gioia piena” e “vita in abbondanza”». Una esperienza che anche i giovani devono fare, perché incontrare personalmente Cristo è possibile anche oggi perché egli è risorto; è una persona viva, non un personaggio. Tutto è possibile dopo questo incontro personale; nulla senza di cambierà veramente nella vita».

Padre Cantalamessa si rivolge direttamente ai giovani attraverso Giovanni e la sua prima Lettera: «Scrivo a voi, giovani, perché siete forti e la parola di Dio rimane in voi e avete vinto il Maligno. Non amate il mondo, né le cose del mondo!», dice l’evangelista. E il predicatore insiste: «Il mondo che non dobbiamo amare e al quale non dobbiamo conformarci non è, lo sappiamo, il mondo creato e amato da Dio, non sono gli uomini del mondo ai quali, anzi, dobbiamo andare sempre incontro, specialmente ai poveri, agli ultimi. Il “mescolarsi” con questo mondo della sofferenza e dell’emarginazione è, paradossalmente, il miglior modo di “separarsi” dal mondo, perché è andare là, da dove il mondo rifugge con tutte le sue forze. È separarsi dal principio stesso che regge il mondo, che è l'egoismo».

Il mondo da non amare è «il mondo come esso è diventato sotto il dominio di Satana e del peccato». Cantalamessa chiede di andare controcorrente, di non adattarsi allo spirito dei tempi, al conformismo. «Vi esorto», dice il religioso, «siate di quelli che prendono la direzione opposta! Abbiate il coraggio di andare contro corrente! La direzione opposta, per noi, non è un luogo, è una persona, è Gesù nostro amico e redentore. Un compito è in particolare affidato a voi: salvare l’amore umano dalla deriva tragica nella quale è finito: l’amore che non è più dono di sé, ma solo possesso - spesso violento e tirannico - dell’altro».

Dio, insiste padre Cantalamessa, «non ci fa solo la “carità” di amarci; ci desidera, in tutta la Bibbia si rivela come sposo innamorato e geloso. Anche il suo è un amore “erotico”, nel senso nobile di questo termine». Ai giovani non è chiesto di «rinunciare alle gioie dell’amore, all’attrazione e all’eros, ma di sapere unire all’eros l’agape, al desiderio dell’altro, la capacità di donarsi all’altro, ricordando quello che san Paolo riferisce come un detto di Gesù: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere” . È una capacità che non si inventa in un giorno. È necessario prepararsi a far dono totale di se stessi a un’altra creatura nel matrimonio, o a Dio nella vita consacrata, cominciando a far dono del proprio tempo, del proprio sorriso e della propria giovinezza in famiglia, nella parrocchia, nel volontariato. Ciò che tanti di voi silenziosamente fa».

Nella croce c’è non solo l’esempio da seguire, ma anche «la grazia di poterlo attuare, in piccola parte, nella nostra vita. L’acqua e il sangue sgorgati dal suo costato arrivano a noi oggi nei sacramenti della Chiesa, nella Parola, anche solo guardando con fede il Crocifisso. Un’ultima cosa Giovanni ha visto profeticamente sotto la croce: uomini e donne di ogni tempo e di ogni luogo che volgevano lo sguardo a “colui che è stato trafitto” e piangevano di pentimento e di consolazione».

Annachiara Valle

© www.famigliacristiana.it, venerdì 30 marzo 2018

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