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Il Papa agli anziani: «Dobbiamo essere coerenti per salvare la fede dei giovani»

Nessuna ipocrisia «per avere giorni tranquilli». Il Pontefice ricorda l'esempio di Eleazaro che non accetta il consiglio dei suoi amici di far finta di mangiare la carne sacrificata agli dei per salvarsi la vita. «Sarebbe stata una ipocrisia religiosa a danno delle nuove generazioni»

Saluta la piazza girando con la papamobile in mezzo ai fedeli. È seduto Francesco, dopo il piccolo intervento subito ieri al ginocchio. Ma non manca l’appuntamento con l’udienza generale ancora dedicata alla vecchiaia. Nella sua catechesi il Pontefice riflette sulla figura di Eleazaro e sulla «coerenza della fede, eredità dell’onore». Oltre cinquemila i pellegrini presenti che ascoltano le sue parole. Bergoglio ricorda l’episodio in cui questo anziano non accetta la proposta che gli fanno i suoi amici per salvarlo dal martirio. Richiesto di mangiare carne sacrificata agli idoli, come tutti gli ebrei, gli consigliano, per salvarsi, di far finta di mangiare la carne senza farlo realmente. «È una ipocrisia», spiega il Papa. « una ipocrisia religiosa. C’è tanta ipocrisia religiosa. Fai un po’ l’ipocrita, nessuno se ne accorgerà», gli dicono gli amici. «Così Eleazaro si sarebbe salvato, e – dicevano quelli – in nome dell’amicizia avrebbe accettato il loro gesto di compassione e di affetto. Dopo tutto – insistevano – si trattava di un gesto minimo, far finta di mangiare ma non mangiare, un gesto insignificante, poca cosa». Ma la risposta dell’anziano è da monito anche per noi. Eleazaro usa un argomento «che ci colpisce. Il punto centrale è questo: disonorare la fede nella vecchiaia, per guadagnare una manciata di giorni, non è paragonabile con l’eredità che essa deve lasciare ai giovani, per intere generazioni a venire. Ma bravo questo Eleazaro. Un vecchio che è vissuto nella coerenza della propria fede per un’intera vita, e ora si adatta a fingerne il ripudio, condanna la nuova generazione a pensare che l’intera fede sia stata una finzione, un rivestimento esteriore che può essere abbandonato, pensando di poterlo conservare nel proprio intimo». Se avesse ipocritamente fatto finto di mangiare la carne avrebbe banalizzato la fede e dato un messaggio «devastante per l’interiorità dei giovani». È decisivo «per noi vecchi», aggiunge il Papa, «questa testimonianza. Un anziano che, a motivo della sua vulnerabilità, accettasse di considerare irrilevante la pratica della fede, farebbe credere ai giovani che la fede non abbia alcun reale rapporto con la vita. Essa apparirebbe loro, fin dal suo inizio, come un insieme di comportamenti che, all’occorrenza, possono essere simulati o dissimulati, perché nessuno di essi è così importante per la vita». È quello che credono gli gnostici, «un’insidia molto potente e molto seducente per il cristianesimo dei primi secoli». Teorizzavano che «la fede è una spiritualità, non una pratica; una forza della mente, non una forma della vita. La fedeltà e l’onore della fede, secondo questa eresia, non hanno nulla a che fare con i comportamenti della vita, le istituzioni della comunità, i simboli del corpo. Nulla a che fare». Ma se è vero che la fede non può essere ridotta a un insieme di regole alimentari o sociali è anche vero che la radicalizzazione di questa idea «vanifica il realismo della fede cristiana, perché la fede cristiana è realistica. La fede cristiana non è solo dire il credo, ma fare il credo, operare con le mani». SI svuota la testimonianza «che mostra i segni concreti di Dio nella vita della comunità e resiste alle perversioni della mente attraverso i gesti del corpo». Questa eresia rimane attuale anche nel nostro tempo. Abbiamo la tendenza a dare della pratica della fede «una rappresentazione negativa, a volte sotto forma di ironia culturale, a volte con una occulta emarginazione. La pratica della fede è considerata come un’esteriorità inutile e anzi nociva, come un residuo antiquato, come una superstizione mascherata. Insomma, una cosa per vecchi». Questo incide negativamente sulle nuove generazioni «Certo», continua papa Francesco, «sappiamo che la pratica della fede può diventare un’esteriorità senz’anima. Questo è l’altro pericolo, il contrario. Ma in sé stessa non lo è affatto. Forse tocca proprio a noi vecchi, qui c’è qualcuno ancora, tocca a noi vecchi una missione importante: restituire alla fede il suo onore, la coerenza fino alla fine». Perché «la pratica della fede non è il simbolo della nostra debolezza, ma piuttosto il segno della sua forza. Non siamo più ragazzi. Non abbiamo scherzato quando ci siamo messi sulla strada del Signore! No, la fede merita rispetto e onore fino alla fine: ci ha cambiato la vita, ci ha purificato la mente, ci ha insegnato l’adorazione di Dio e l’amore del prossimo. È una benedizione per tutti! La fede tutta, non una parte». E dunque, insiste il Pontefice, «non baratteremo la fede per una manciata di giorni tranquilli. Eleazaro va al martirio così. Dimostreremo, in tutta umiltà e fermezza, proprio nella nostra vecchiaia, che credere non è una cosa “da vecchi”, no è cosa di vita. Credere allo Spirito Santo, che fa nuove tutte le cose e lui ci aiuterà». Infine ricorda il titolo di un film del dopoguerra, I bambini ci guardano, per dire che «anche i giovani ci guardano» e «la nostra coerenza li aiuterà».

Annachiara Valle

© www.famigliacristiana.it, mercoledì 4 maggio 2022

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