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Il Papa alla scuola della Morenita

Il Papa arrivato in Messico. Oggi pomeriggio la consacrazione del Giubileo alla Vergine di Guadalupe, la casa di Maria simolo di un popolo che chiede pace, giustizia e solidarietà

Dopo la storica giornata all'Avana, dove ieri ha incontrato il patriarca di Mosca Kirill, papa Francesco entra oggi nel vivo della sua visita in Messico, dove è arrivato ieri sera con una calorosissima accoglienza all'aeroporto della capitale. A Città del Messico oggi il Pontefice è atteso alle 9.30 locali (le 16.30 in Italia) dalla cerimonia di benvenuto al Palazzo Nazionale, con al visita di cortesia al presidente Enrique Pena Nieto. Alle 10.15 (le 17.15 italiane) Francesco incontrerà quindi le autorità, la società civile e il corpo diplomatico, cui rivolgerà il suo discorso. Alle 11.30 (le 18.30) incontrerà quindi i vescovi del Messico nella cattedrale. Nel pomeriggio, poi, uno dei momenti centrali di questa visita papale nel Paese centro-americano, la visita al santuario di Nostra Signore di Guadalupe, patrona delle Americhe veneratissima dai messicano, dove alle 17 (mezzanotte in Italia) il Pontefice celebrerà la messa. Il santuario di Guadalupe è tuttora quello col maggior numero di pellegrini al mondo. "La mia voglia più intima è fermarmi davanti alla Madonna, la Madonna di Guadalupe", ha detto papa Francesco ieri parlando con i giornalisti durante il volo verso Cuba e il Messico.

Le prime a scorgersi, dall’interminabile calzada (via) de Guadalupe, sono le cupole tondeggianti dell’antica Basilica. Un po’ sbilenche per l’incessante sprofondare delle fondamenta nella terra morbida sotto cui scorre il lago di Texcoco e sulla quale gli atzechi vollero edificare Telocitlán, l’attuale Città del Messico. Poi, un po’ più a sinistra, lo sguardo scopre la geometria circolare della nuova Basilica, inaugurata 40 anni fa. È 'una geografia narrativa' quella dellaVilla, la spianata ai piedi della collina di Tepeyac, dove frammenti architettonici e naturali si fondono per raccontare l’irruzione di Dio nel Continente americano attraverso la Vergine Maria. «La Morenita, come noi messicani chiamiamo Nostra Signora di Guadalupe, si manifesta all’indigeno Juan Diego come una giovane dai tratti nativi e incinta. Maria, dunque, entra nella cultura locale, la assume in tutta la sua complessità e profondità. Per condurla alla pienezza attraverso l’incontro con suo Figlio, che porta in grembo. In tal modo, lancia un messaggio al mondo intero», spiega ad Avvenire monsignor Eduardo Chávez, tra i più noti studiosi guadalupani e straordinaria guida nei meandri della Villa. Il sacerdote, che è stato postulatore nella causa di canonizzazione di San Juan Diego, prosegue: «E qual è il messaggio? Maria dice voglio una 'casetta sacra'. Una cappella, certo. La frase, però, indica molto di più. Gli indigeni, prima di costruire qualunque città, edificavano il tempio. La Vergine, utilizzando il concetto di 'casa', chiede una nuova città. Non materiale. Bensì una nuova civiltà dell’amore, della solidarietà, della giustizia». In una parola, il Regno, il cuore del Vangelo. I passi si affrettano. La 'casa', e l’intera area circostante, verrà presto chiusa per garantire la sicurezza di papa Francesco che ieri è atterrato in Messico e oggi si recherà a Guadalupe. E le centinaia di pellegrini, in marcia lungo la calzada imbandierata, vogliono stare un momento con la Morenita. Alcuni mostrano una gigantesca immagine della Vergine, altri caricano sulle spalle una riproduzione della Basilica, i giovani, tantissimi, spesso portano in braccio un anziano stremato dalla camminata: molti arrivano a piedi dalla città limitrofe.

Una processione interminabile e quotidiana: il complesso del Tepeyac è il tempio religioso più visitato al mondo, con 20 milioni di pellegrini l’anno. Il fiume umano devia verso l’entrata della nuova Basilica, dove è stata aperta la Porta della Misericordia. Sopra l’architrave, la scritta dorata: «Non sono qui io che sono tua Madre?», la frase che Maria disse a Juan Diego prima di imprimere la propria immagine sulla sua ' tiana', il mantello, come prova per il vescovo dell’apparizione, fra Juan de Zumarraga. Sul punto esatto dove la pronunciò, il 12 dicembre 1531, sorge il muro di pietra della prima cappella e una statua dellaVergine. «Juan Diego cercava di aggirare il rilievo per evitare Maria che aveva visto per la prima volta tre giorni prima: non poteva fermarsi, doveva cercare un medico per lo zio moribondo – prosegue monsignor Chávez –. L’anziano, nella cultura indigena, rappresenta la radice, la storia, l’autorità. Nel 1531, dieci anni dopo la Conquista del Messico, in uno dei momenti più drammatici della storia, gli indios vedevano traballare le proprie fondamenta. La Vergine rassicura Juan Diego: suo zio guarirà. Gli dà coraggio, forza, speranza. La Morenita non piange, non minaccia. Implora, con pieno rispetto della libertà umana, Juan Diego di essere il proprio messaggero. E quest’ultimo accetta». 'Non sono qui io che sono tua Madre?'. La frase di Maria brilla come un sole di speranza nel Messico attuale, devastato dalla violenza. «Nel corso dei secoli, la Morenita ha rappresentato un appello vibrante per la dignità degli indigeni e di tutti gli esclusi.

Tuttora i movimenti sociali si riuniscono sotto la sua bandiera per chiedere pace, giustizia e solidarietà – dice padre Juan Carlos Casas García, docente della Pontificia Università del Messico e profondo conoscitore della storia guadalupana –. Oggi, in questo momento segnato dalla violenza, il narcotraffico, la corruzione, l’impunità, l’ingiustizia, Guadalupe ci interpella, come individui e istituzioni - Stato, Chiesa, cittadinanza - mostrandoci un’alternativa, fondata sul Vangelo. Ed esortandoci a crearla». Per questo, nel pianeta flagellato dalla 'terza guerra mondiale a pezzi', Francesco ha scelto di consacrare l’Anno della misericordia alla Morenita. Implorandola di «rendere i cristiani e ogni uomo costruttori di una terra dove - come ha detto lo stesso Pontefice, il 12 dicembre 2014, ricorda padre Casas García - convivano popoli differenti, regni la giustizia, si rispetti la dignità e la vita umana» e «il seme del Vangelo produca frutti buoni e abbondanti». A partire proprio dall’America, dove è tuttora in corso il più antico conflitto d’Occidente: quello colombiano. Un caso ricordato dal Papa sul volo per il Messico: Francesco ha promesso di recarsi nel Paese nel 2017 se si firmerà l’attesa pace.

Lucia Capuzzi

© Avvenire, 13 febbraio 2016

 

Il vescovo Lira: «Vitamina per l'intero Paese»

«Ci siamo. Ci siamo davvero». Incredulo e sorridente, monsignor Eugenio Lira, segretario della Conferenza episcopale messicana (Cem), nasconde l’emozione dietro il solito tono calmo e affabile. Non si ferma un minuto, eppure – dice – non sente la stanchezza. L’arrivo di papa Francesco è la «miglior vitamina», afferma il vescovo ausiliare di Puebla. «L’intero Messico aspettava questo giorno da mesi» e sin dalle prime indiscrezioni su un possibile viaggio «l’entusiasmo non ha fatto che crescere». La moltitudinaria accoglienza tributata a Francesco «el mexicano», come urlava la folla ieri, ne è la dimostrazione. Il Paese ferito e affamato di speranza attende dal Papa consolazione e coraggio per non cedere alla violenza dilagante. «E il Pontefice ha ben presente la situazione. Per questo, ha deciso di venire. Ce lo ha detto lui stesso: voglio andare in Messico».

Quando è accaduto?
Durante la visita ad limina dei vescovi messicani, nel maggio 2014. Nel corso della lunga riunione, papa Francesco ci ha espresso il suo desiderio di venire. Per consacrare l’Anno della misericordia alla Vergine di Guadalupe e implorare la Madre di asciugare le lacrime del Messico e dell’intera America. Il Pontefice ha scelto personalmente la geografia pastorale del viaggio. La Conferenza episcopale ha dato solo una funzione di supporto logistico.

Che messaggio porta Francesco al Messico?
Ci regala una parola forte di misericordia. La situazione è difficile. Il potere letale della criminalità organizzata ci inquieta come cristiani e come cittadini, anche se non tutto il Paese vive le medesime condizioni di violenza. Quest’ultima colpisce in particolare gli Stati di Guerrero, Michoacán, Oaxaca, Jalisco, Chihuahua, Jalisco, Nuevo León, Tamaulipas, Veracruz. La Chiesa è, inoltre, preoccupata per la forte disuguaglianza economica e gli abusi sui centroamericani che attraversano il Paese in viaggio verso gli Usa. La presenza del Papa ci offre l’opportunità di rincontrarci con Gesù. La fede non è un’idea astratta. Dall’unione con Dio deve scaturire nuovo slancio nell’impegno per la costruzione di un Messico più solidale e pacifico. La visita di Francesco, però, non è importante solo per i cattolici. I valori evangelici sono profondamente umani, quindi condivisibili con persone di altre fedi o non credenti.

Francesco, dunque, ha fatto breccia anche in questi ultimi, a dispetto di un certo laicismo messicano?
Ha suscitato sincero interesse in settori tradizionalmente distanti dalla Chiesa. Tanti atei o appartenenti ad altri credo hanno chiesto di poter partecipare agli eventi. Il viaggio di Francesco ci offre la straordinaria occasione di riflettere insieme come nazione, al di là delle legittime differenze, sul Messico che vogliamo e dobbiamo costruire.

Il programma è fitto. Il Papa, però, ci ha abituato alle sorprese. Ci saranno anche stavolta?
A Francesco piace sorprendere. Perché stavolta non dovrebbe farlo?

Lucia Capuzzi

© Avvenire, 13 febbraio 2016