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Il Papa: due Stati, non rimanga un sogno

Straordinario invito (subito accettato) di Francesco ai due presidenti per una preghiera per la pace "nella mia casa in Vaticano". La condanna di ogni antisemitismo all'arrivo a Tel Aviv. Nell''omelia della Messa a Betlemme forte appello alla difesa dei bambini maltrattati e sfruttati. La sosta al muro che divide palestinesi e israeliani

Anche se le lingue sono diverse, la parola è la stessa. Pace. Shalom. Papa Francesco la pronuncia anche sul versante israeliano della sua visita. Ripete con le medesime espressioni lo straordinario invito a un incontro di preghiera in Vaticano rivolto in mattinata ad Abu Mazen e a Shimon Peres. E vi aggiunge la reiterata condanna di ogni forma di antisemitismo, oltre alla “viva deplorazione” per l’attentato di Bruxelles, affidando le vittime alla misericordia di Dio e augurando ai feriti la pronta guarigione. Il tutto avviene all’aeroporto di Tel Aviv, dove il Pontefice atterra in elicottero proveniente da Betlemme. Bergoglio fa proprio l’appello che fu di Benedetto XVI nella precedente visita di un Papa in Terra Santa. “Sia universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. Sia ugualmente riconosciuto che il Popolo palestinese ha il diritto a una patria sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente. La soluzione di due Stati diventi realtà e non rimanga un sogno”.

Sono parole che si aggiungono a quelle pronunciate nella precedente tappa del viaggio nei Territori palestinesi e che danno all’”offensiva” di pace del Papa la sua completa fisionomia. Il riscontro positivo all’invito in Vaticano, del resto, prima ancora dell’arrivo di Francesco a Tel Aviv, non si è fatta attendere. “Accetto”, ha risposto Peres, tramite un suo portavoce. “Accettiamo”, ha detto anche la parte palestinese. E il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha annunciato che l’incontro potrebbe farsi in tempi brevi, dato che il mandato di Peres scade a luglio. Poco dopo, il capo dello Stato israeliano dà il benvenuto al Papa, insieme con il premier Benjamin Netayahu, ascoltando il suo rinnovato appello per la pace. “Noi tutti sappiamo quanto sia urgente”, dice Francesco. “Si moltiplichino perciò gli sforzi e le energie allo scopo di giungere a una composizione giusta e duratura dei conflitti che hanno causato tante sofferenze”. Non venga lasciato “nulla di intentato per la ricerca di soluzioni eque alle complesse difficoltà, così che israeliani e palestinesi possano vivere in pace”. Quindi l’appello affinché “non ci sia posto per l’antisemitismo, in qualsiasi forma si manifesti, e per ogni espressione di ostilità, discriminazione o intolleranza verso persone e popoli”. E infine il nuovo tragitto in elicottero fino a Gerusalemme.

In precedenza, prima lasciare Betlemme, Francesco aveva pranzato con alcune famiglie palestinesi, pregato nella grotta della Natività e soprattutto aveva incontrato i bambini di alcuni campi profughi. Anche a loro aveva lasciato un messaggio di pace, con l’invito a guardare avanti, più che al passato. In particolare a un ragazzo che salutandolo a nome di tutti gli aveva ricordato come da 66 anni i loro genitori fossero vittime dell’occupazione (concetto ribadito anche in alcuni cartelli esposti durante l’incontro), il Pontefice dopo averlo abbracciato aveva risposto: "Ho letto le parole che avete scritto, non lasciate che il passato determini il vostro futuro, guardate sempre avanti, lavorate e lottate per raggiungere le cose che desiderate. Io so una cosa: la violenza non si vince con la violenza, ma con la pace e la dignità per preparare una patria”.

Lo straordinario invito a Peres e Abu Mazen
Il processo di pace tra Israele e Palestina potrebbe avere una tappa importante, grazie a un incontro di preghiera in Vaticano. E’ la proposta avanzata oggi da Papa Francesco al termine della Messa celebrata a Betlemme. Al momento del Regina Coeli (LEGGI IL TESTO), il Pontefice ha aggiunto al testo preparativo, poche ma estremamente significative frasi. “In questo Luogo, dove è nato il Principe della pace, desidero rivolgere un invito a Lei, Signor Presidente Mahmoud Abbas, e al Signor Presidente Shimon Peres, ad elevare insieme con me un’intensa preghiera invocando da Dio il dono della pace. Offro la mia casa in Vaticano per ospitare questo incontro di preghiera. Tutti desideriamo la pace; tante persone la costruiscono ogni giorno con piccoli gesti; molti soffrono e sopportano pazientemente la fatica di tanti tentativi per costruirla. E tutti –specialmente coloro che sono posti al servizio dei propri popoli – abbiamo il dovere di farci strumenti e costruttori di pace, prima di tutto nella preghiera. Costruire la pace è difficile, ma vivere senza pace è un tormento. Tutti gli uomini e le donne di questa Terra e del mondo intero ci chiedono di portare davanti a Dio la loro ardente aspirazione alla pace”.   Alla Messa hanno preso parte circa 10mila fedeli che hanno circondato con grande affetto il Papa. Presente anche Abu Mazen che è andato via poco prima che fosse distribuita la comunione e dopo essere salito sul presbiterio per abbracciare il Papa al momento dello scambio della pace. Il presidente non ha potuto ascoltare dunque fisicamente l’appello, ma è probabile che il Papa gliene abbia parlato durante il colloquio privato di stamattina. Ad ogni modo anche il segno di pace durante la Messa è una prima volta in assoluto, che testimonia il clima favorevole in cui si svolge la visita. Suggestivo il colpo d’occhio della piazza gremita di fedeli, che hanno partecipato alla liturgia pregando e cantando le musiche intonate dal coro della Parrocchia dell’Annunciazione diretto dal parroco, padre Ibrahim Shomali. Al termine della Messa la recita del Regina Coeli durante il quale Papa Francesco ha rivolto un pensiero a Nazareth, città non toccata dal suo itinerario, “dove spero di potermi recare – ha detto – se Dio vorrà, in altra occasione”. Il Pontefice ha incoraggiato la realizzazione del Centro Internazionale per la Famiglia e soprattutto ha affidato alla Madonna la Terra Santa e quanti vi abitano. “Alla Vergine Santa – ha aggiunto - affidiamo le sorti dell’umanità, perché si dischiudano nel mondo gli orizzonti e promettenti della fraternità, della solidarietà e della pace”. Il patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Fouad Twal, nel saluto finale ha detto: “Vediamo in Lei, Santo Padre, una unità totale con il messaggio di Betlemme: pace a tutti gli uomini”. Nel pomeriggio il Papa visita la grotta della Natività, saluta i bambini dei campi profughi di Dheisheh, Aida e Beit Jibrin e poi si sposta, via Tel Aviv, a Gerusalemme, dove incontra il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, in occasione del 50° anniversario del primo incontro tra Paolo VI e Atenagora.

La Messa a Betlemme: non ignoriamo le lacrime dei bambini
Il Papa in difesa dei bambini di tutto il mondo. Parte da Betlemme, città natale del Bambino più famoso della storia, un forte appello di Francesco a favore dell’infanzia (LEGGI IL TESTO). “I bambini di oggi – afferma nell’omelia della Messa celebrata sulla Piazza della Mangiatoia – hanno bisogno di essere accolti e difesi, fin da grembo materno”. Se questo avviene il mondo è più umano. E’ la seconda tappa odierna del viaggio del Pontefice in Terra Santa. E dopo le richieste di pace di ieri in Giordania e di qualche ora fa davanti al presidente palestinese, Abu Mazen, queste parole di Papa Bergoglio, che prendono spunto dal Vangelo proclamato durante la celebrazione che narra la nascita di Gesù, diventano un’applicazione concreta degli appelli alla riconciliazione. In pratica, ricorda al mondo il Pontefice, la pace si costruisce a partire dai bambini.

E invece, ricorda , “purtroppo, in questo nostro mondo che ha sviluppato le tecnologie più sofisticate, ci sono ancora tanti bambini in condizioni disumane, che vivono ai margini della società, nelle periferie delle grandi città o nelle zone rurali. Tanti bambini sono ancora oggi sfruttati, maltrattati, schiavizzati, oggetto di violenza e di traffici illeciti. Troppi bambini oggi sono profughi, rifugiati, a volte affondati nei mari, specialmente nelle acque del Mediterraneo. Di tutto questo noi ci vergogniamo oggi davanti a Dio, a Dio che si è fatto Bambino”.

Francesco sta toccando con mano tali realtà anche in questo viaggio. Ieri la visita a un gruppo di rifugiati dalla Siria, oggi, arrivando a Betlemme è passato vicino al muro costruito dagli israeliani, che divide anche molte famiglie. In un fuori programma, è sceso dall'auto e si è fermato in preghiera per qualche minuti davanti alla barriera di cemento. Nel pomeriggio incontrerà i bambini di un campo profughi. Lo sguardo del Papa però si estende a tutto il mondo. E invita a fare un esame di coscienza. “Ci domandiamo: chi siamo noi davanti a Gesù Bambino? Chi siamo noi davanti ai bambini di oggi? Siamo come Maria e Giuseppe, che accolgono Gesù e se ne prendono cura con amore materno e paterno? O siamo come Erode, che vuole eliminarlo? Siamo come i pastori, che vanno in fretta, si inginocchiano per adorarlo e offrono i loro umili doni? Oppure siamo indifferenti? Siamo forse retorici e pietisti, persone che sfruttano le immagini dei bambini poveri a scopo di lucro? Siamo capaci di stare accanto a loro, di ‘perdere tempo’ con loro? Sappiamo ascoltarli, custodirli, pregare per loro e con loro? O li trascuriamo, per occuparci dei nostri interessi?”.

Il Pontefice prende spunto dal pianto dei bambini. “Il loro pianto ci interpella. In un mondo che scarta ogni giorno tonnellate di cibo e di farmaci, ci sono bambini che piangono invano per la fame e per malattie facilmente curabili. In un tempo che proclama la tutela dei minori, si commerciano armi che finiscono tra le mani di bambini-soldato; si commerciano prodotti confezionati da piccoli lavoratori-schiavi. Il loro pianto è soffocato: devono combattere, devono lavorare, non possono piangere. Ma piangono per loro le madri, odierne Rachele: piangono i loro figli, e non vogliono essere consolate”.

Il messaggio del Papa però è soprattutto un invito alla speranza. “I bambini sono un segno – dice commentando la pagina evangelica – Un segno per capire lo stato di salute della nostra famiglia, della nostra comunità, della nostra nazione”. “Quando i bambini sono accolti, amati, custoditi, tutelati, la famiglia è sana, la società, il mondo è più umano”, conclude il Papa.

L'arrivo a Betlemme
Ancora un appello di pace. Un appello ad avere “il coraggio della pace”. La seconda giornata di Papa Francesco in Terra Santa si apre così come si era chiusa la prima. “E’ ora di porre fine a questa situazione che diventa sempre più inaccettabile”. E perciò serve “una pace stabile basata sulla giustizia”. Due Stati, chiede il Papa, con confini certi e garantiti. Cambia dunque lo scenario, ma non il tema della visita.

Il Pontefice ha lasciato nella prima mattinata la Giordania ed è giunto in elicottero direttamente a Betlemme (fatto senza precedenti nei viaggi dei Papi nella regione). E davanti al presidente dell’Autorità palestinese, Abu Mazen, definito “uomo di pace e artefice di pace”, (LEGGI IL TESTO) il Papa non si lascia sfuggire l’occasione per rilanciare il processo di pace – attualmente abbastanza stagnante – tra israeliani e palestinesi.

“Si raddoppino – ribadisce nel suo discorso – gli sforzi e le iniziative volte a creare le condizioni di una pace stabile basta sulla giustizia sul riconoscimento dei diritti di ognuno e sulla reciproca sicurezza. E’ giunto il momento per tutti di avere il coraggio della generosità e della creatività al servizio del bene, il coraggio della pace, che poggia sul riconoscimento da parte di tutti del diritto di due Stati ad esistere e a godere di pace e di sicurezza entro confini internazionalmente garantiti”. Affinché ciò si realizzi, prosegue il Pontefice, occorre evitare “da parte di tutti iniziative e atti che contraddicono alla dichiarata volontà di giungere a un vero accordo”. La pace, afferma Francesco, “porterà innumerevoli benefici per i popoli di questa regione e per il mondo intero”.

Per realizzarla ognuno deve rinunciare a qualcosa. “Pace nella sicurezza e mutua fiducia”, augura dunque il Papa ai “popoli palestinese e israeliano” e alle rispettive autorità. E per i cristiani della regione il Pontefice chiede soprattutto libertà religiosa. “Il rispeto di questo fondamentale diritto umano – riafferma rivolgendosi ad Abu Mazen – è una delle condizioni irrinunciabili della pace, della fratellanza e dell’armonia”. “Le spade si trasformino in aratri” è il suo auspicio finale. In precedenza il Papa aveva incontrato il presidente palestinese in un colloquio privato di una decina di minuti.

Mimmo Muolo

© Avvenire, 25 maggio 2014

 

"Troppi bambini sfruttati e maltrattati"

L'omelia a Betlemme

Che grande grazia celebrare l’Eucaristia presso il luogo dove è nato Gesù! Ringrazio Dio e ringrazio voi che mi avete accolto in questo mio pellegrinaggio: il Presidente Mahmoud Abbas e le altre Autorità; il Patriarca Fouad Twal, gli altri Vescovi e gli Ordinari di Terra Santa, i sacerdoti, le persone consacrate e quanti si adoperano per tenere viva la fede, la speranza e la carità in questi territori; le rappresentanze di fedeli provenienti da Gaza, dalla Galilea, i migranti dall’Asia e dall’Africa. Grazie della vostra accoglienza!

Il Bambino Gesù, nato a Betlemme, è il segno dato da Dio a chi attendeva la salvezza, e rimane per sempre il segno della tenerezza di Dio e della sua presenza nel mondo. «Questo per voi il segno: troverete un bambino…».

Anche oggi i bambini sono un segno. Segno di speranza, segno di vita, ma anche segno “diagnostico” per capire lo stato di salute di una famiglia, di una società, del mondo intero. Quando i bambini sono accolti, amati, custoditi, tutelati, la famiglia è sana, la società migliora, il mondo è più umano. Pensiamo all’opera che svolge l’Istituto Effetà Paolo VI in favore dei bambini palestinesi sordo-muti: è un segno concreto della bontà di Dio. Dio ripete anche a noi, uomini e donne del XXI secolo: «Questo per voi il segno», cercate il bambino… Il Bambino di Betlemme è fragile, come tutti i neonati. Non sa parlare, eppure è la Parola che si è fatta carne, venuta a cambiare il cuore e la vita degli uomini. Quel Bambino, come ogni bambino, è debole e ha bisogno di essere aiutato e protetto.

Anche oggi i bambini hanno bisogno di essere accolti e difesi, fin dal grembo materno. Purtroppo, in questo nostro mondo che ha sviluppato le tecnologie più sofisticate, ci sono ancora tanti bambini in condizioni disumane, che vivono ai margini della società, nelle periferie delle grandi città o nelle zone rurali. Tanti bambini sono ancora oggi sfruttati, maltrattati, schiavizzati, oggetto di violenza e di traffici illeciti. Troppi bambini oggi sono profughi, rifugiati, a volte affondati nei mari, specialmente nelle acque del Mediterraneo.

Di tutto questo noi ci vergogniamo oggi davanti a Dio, a Dio che si è fatto Bambino. E ci domandiamo: chi siamo noi davanti a Gesù Bambino? Chi siamo noi davanti ai bambini di oggi? Siamo come Maria e Giuseppe, che accolgono Gesù e se ne prendono cura con amore materno e paterno? O siamo come Erode, che vuole eliminarlo? Siamo come i pastori, che vanno in fretta, si inginocchiano per adorarlo e offrono i loro umili doni? Oppure siamo indifferenti? Siamo forse retorici e pietisti, persone che sfruttano le immagini dei bambini poveri a scopo di lucro? Siamo capaci di stare accanto a loro, di “perdere tempo” con loro? Sappiamo ascoltarli, custodirli, pregare per loro e con loro? O li trascuriamo, per occuparci dei nostri interessi? «Questo per voi il segno: troverete un bambino…».

Forse quel bambino piange. Piange perché ha fame, perché ha freddo, perché vuole stare in braccio… Anche oggi piangono i bambini, piangono molto, e il loro pianto ci interpella. In un mondo che scarta ogni giorno tonnellate di cibo e di farmaci, ci sono bambini che piangono invano per la fame e per malattie facilmente curabili. In un tempo che proclama la tutela dei minori, si commerciano armi che finiscono tra le mani di bambini-soldato; si commerciano prodotti confezionati da piccoli lavoratori-schiavi. Il loro pianto è soffocato: devono combattere, devono lavorare, non possono piangere! Ma piangono per loro le madri, odierne Rachele: piangono i loro figli, e non vogliono essere consolate (cfr Mt 2,18).

«Questo per voi il segno». Il Bambino Gesù nato a Betlemme, ogni bambino che nasce e cresce in ogni parte del mondo, è segno diagnostico, che ci permette di verificare lo stato di salute della nostra famiglia, della nostra comunità, della nostra nazione. Da questa diagnosi schietta e onesta, può scaturire uno stile nuovo di vita, dove i rapporti non siano più di conflitto, di sopraffazione, di consumismo, ma siano rapporti di fraternità, di perdono e riconciliazione, di condivisione e di amore.

O Maria, Madre di Gesù, tu che hai accolto, insegnaci ad accogliere; tu che hai adorato, insegnaci ad adorare; tu che hai seguito, insegnaci a seguire. Amen.

Papa Francesco

© Avvenire, 25 maggio 2014

 

"Affidiamo alla Vergine le sorti dell'umanità"

La preghiera del "Regina Coeli"

Cari fratelli e sorelle,
mentre ci avviamo a concludere questa celebrazione, rivolgiamo il nostro pensiero a Maria Santissima, che proprio qui a Betlemme ha dato alla luce il suo figlio Gesù. La Vergine è colei che più di ogni altro ha contemplato Dio nel volto umano di Gesù. Aiutata da san Giuseppe, lo ha avvolto in fasce e lo ha adagiato nella mangiatoia.

A Lei affidiamo questo territorio e tutti coloro che vi abitano, perché possano vivere nella giustizia, nella pace e nella fraternità. Affidiamo anche i pellegrini che qui giungono per attingere alle sorgenti della fede cristiana – ce ne sono presenti anche a questa Santa Messa. Veglia, o Maria, sulle famiglie, sui giovani, sugli anziani. Veglia su quanti hanno smarrito la fede e la speranza; conforta i malati, i carcerati e tutti i sofferenti; sostieni i Pastori e l’intera Comunità dei credenti, perché siano “sale e luce” in questa terra benedetta; sostieni le opere educative, in particolare la Bethlehem University.

Contemplando la Santa Famiglia qui, a Betlemme, il mio pensiero va spontaneamente a Nazareth, dove spero di potermi recare, se Dio vorrà, in un’altra occasione. Abbraccio da qui i fedeli cristiani che vivono in Galilea e incoraggio la realizzazione a Nazareth del Centro Internazionale per la Famiglia. Alla Vergine Santa affidiamo le sorti dell’umanità, perché si dischiudano nel mondo gli orizzonti nuovi e promettenti della fraternità, della solidarietà e della pace.

In questo Luogo, dove è nato il Principe della pace, desidero rivolgere un invito a Lei, Signor Presidente Mahmoud Abbas, e al Signor Presidente Shimon Peres, ad elevare insieme con me un’intensa preghiera invocando da Dio il dono della pace. Offro la mia casa in Vaticano per ospitare questo incontro di preghiera. Tutti desideriamo la pace; tante persone la costruiscono ogni giorno con piccoli gesti; molti soffrono e sopportano pazientemente la fatica di tanti tentativi per costruirla. E tutti –specialmente coloro che sono posti al servizio dei propri popoli – abbiamo il dovere di farci strumenti e costruttori di pace, prima di tutto nella preghiera. Costruire la pace è difficile, ma vivere senza pace è un tormento. Tutti gli uomini e le donne di questa Terra e del mondo intero ci chiedono di portare davanti a Dio la loro ardente aspirazione alla pace.

Papa Francesco

© Avvenire, 25 maggio 2014

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