Arcivescovo

S.E. Giuseppe

Satriano

IN AGENDA

In un mondo di culle vuote l'Italia ha un futuro «arido»

Così aumenta lo «spread» tra famiglia ideale e reale. I rischi globali e locali delle tendenze demografiche

Qual è il numero ideale di figli? Dipende. Dipende dalle famiglie, dal contesto in cui si vive e da una combinazione di fattori culturali, sociali, economici. Se però si chiede alle persone quanti figli vedono nella propria famiglia ideale, c’è un dato che emerge nettamente: nei Paesi più 'ricchi' la cifra è sempre superiore alla realtà, in quelli più poveri è l’opposto. A portarlo alla luce è un sondaggio condotto in 19 Paesi dall’Economist ( Titolo: The empty crib, La culla vuota, tinyurl.com/hmojedu ). Le cifre si prestano a diverse considerazioni – specialmente nel momento in cui in Italia è scoppiata la polemica attorno alla campagna per il «Fertility day» promosso dal ministero per la Salute.

La crisi, innanzitutto, ha influito sulla crescita del divario tra famiglia ideale e reale, eppure è specialmente nelle economie avanzate che le coppie patiscono una compressione del desiderio di genitorialità, tanto che ci si potrebbe chiedere in che cosa consista veramente la maggiore 'ricchezza'. In Occidente si desiderano da più di 2 a 2,7 figli a coppia in media, ma ci si deve accontentare di molti meno, con Paesi come Germania, Grecia, Spagna o Russia dove la realtà spinge sotto il tasso naturale di sostituzione della popolazione. L’Italia non è citata, ma il Rapporto Giovani dell’istituto Toniolo ha già mostrato che il tasso di fertilità di 1,35 figli che caratterizza il nostro Paese è almeno la metà di quello che si desidera.

L' assottigliamento della dimensione della famiglia e il declino della popolazione, insomma, appartengono alla sfera della mediazione con la realtà. È un tema importante per le società che si interrogano sul legame tra ricchezza e felicità. Intervistando i cittadini americani sempre l’Economist ha scoperto che il 39% di chi ha avuto più figli di quelli che si aspettava ha visto aumentare la propria soddisfazione di vita mentre solo l’8% si è detto meno contento. Per contro, avere meno figli rispetto alle attese appaga solo il 15% degli intervistati. Una considerazione che verrebbe da fare riguarda il racconto della famiglia proposto nelle società occidentali: se una prole più numerosa del previsto rende più felici forse significa che la riduzione delle aspirazioni non è dovuta solo a questioni economiche, che pure incidono, ma anche a fattori come l’autostima, l’insicurezza, la solitudine, la paura di non farcela.

Mentre nei Paesi ricchi la famiglia è sempre più piccola dell’ideale, in quelli in via di sviluppo avviene il contrario. In Nigeria le coppie pensano che il meglio siano 5,4 figli, ma la realtà dice 7,7, in Pakistan 3 figli ideali contro 4 reali, in India 2 contro 3. Casi limite a parte, quello che emerge tra i Paesi il cui sviluppo si può dire in corso, in Africa come in Asia e Sudamerica, è però un altro aspetto: la contrazione sempre più decisa della dimensione dei nuovi nuclei familiari e l’aumento delle difficoltà riproduttive delle giovani coppie, a causa dell’urbanizzazione, delle carriere, dei costi più alti nella crescita dei bambini, del ritardo nel concepimento, di fattori come il fumo, l’alcol, l’obesità. I cinesi ritengono ideale una famiglia con due figli, ma il tasso di fertilità è sceso all’1,6%. Per questo si dovrebbe essere prudenti nel parlare di esplosione della popolazione sulla terra. Le previsioni dell’ultimo rapporto del Population Reference Bureau ( tinyurl.com/zlpttrm ) dicono che entro il 2053 nel mondo potrebbero esserci 10 miliardi di persone, ma chi grida all’allarme non considera che raggiunto quel picco il vero problema sarà rappresentato dall’età della popolazione e dal fatto che nasceranno sempre meno bambini.

Famiglie più piccole in un mondo che invecchia non sono una buona notizia. Il legame tra la struttura della popolazione e la crescita economica è questione nota. E la tendenza demografica negativa che riguarda l’Europa è oggetto di analisi preoccupate da parte di tutte le agenzie internazionali e dei maggiori centri studi. Il calo delle persone attive e l’aumento dell’età media frenano le prospettive di crescita, alimentano la deflazione e fanno salire i costi che gli Stati devono sostenere per pensioni e sanità, mettendo a dura prova i sistemi di welfare e generando tensioni politiche interne. Pur tenendo conto dell’immigrazione, oggi la demografia rappresenta un grande ostacolo alla crescita in Europa, e in particolare in Italia. Aumenti della produttività grazie all’innovazione tecnologica possono compensare in parte questo deficit.

Nella realtà, e purtroppo per noi, come mostra una recente ricerca condotta da tre economisti del Fondo monetario internazionale (Shekhar Aiyar, Christian Ebeke e Xiaobo Shao, The Euro area workforce is aging, costing growth, tinyurl.com/hwj59oy ) l’aumento dell’età della manodopera rappresenta un grosso freno al miglioramento della produttività, fino a un quarto del suo potenziale. L’allarme del Fmi riguarda tutta l’Europa, perché ha una dinamica migratoria meno efficace di quella degli Stati Uniti, ma in particolare i Paesi più fragili dell’area euro: Grecia, Spagna, Portogallo e Italia. Per far fronte a questo problema il Fmi consiglia investimenti in formazione professionale e cure sanitarie per sostenere una classe di lavoratori che sarà sempre più anziana. Ma con quali risorse? I l tema dello spread tra famiglia ideale e famiglia reale, insomma, è una questione molto seria. Un problema comune.

Ci sono aspetti legati al soddisfacimento dei desideri più autentici e profondi delle persone e questioni che attengono alla dimensione economica e allo sviluppo. La sfida, cioè, riguarda tanto il Prodotto interno Lordo quanto indicatori che valutano il benessere equo e sostenibile di un Paese. Per fare un passo avanti l’Italia avrebbe bisogno di disincrostare il dibattito sulla famiglia e sui figli, trovando il linguaggio più adatto a un confronto sereno. Ma anche seppellendo quel fastidioso vizio di riesumare ogni volta la campagna fascista che spingeva a fare figli per la patria; evitando confusioni col piano ben diverso della lotta alla povertà; e poi superando la visione che considera la famiglia con prole questione esclusivamente cattolica, mentre in realtà riguarda tutti.

Non è più il tempo di un Paese in cui a confrontarsi sono un’area politica che, almeno a parole, si presenta schierata per 'la' famiglia e una che all’opposto parteggia per 'le' (altre) famiglie. O persone che considerano i figli un patrimonio che non necessita di sostegni economici, e altre che tifano per la dissoluzione dei legami incentivando stili di vita individualistici. C’è un valore razionale nel rendere prioritario il tema dei figli. Il mondo, come hanno dimostrato la storia e le innovazioni che l’uomo ha saputo introdurre, può ben sopportare una popolazione di 10 miliardi di persone. Il problema si porrà se quei 10 miliardi saranno tutti anziani e soli.

Massimo Calvi

© Avvenire, 2 settembre 2016

 

Fertility Day: antiche polemiche, emergenti tabù

Quei manifesti e la questione elusa

 

Un’opinione pubblica aperta, cui si ripete a ogni buona occasione che non devono più esistere pregiudizi e fobie dovrebbe trovare quantomeno singolare che d’improvviso gli stessi cantori della libertà e dei diritti si scandalizzino se qualcuno parla di fertilità. I tabù esistono, eccome. Lo dimostra la polemica furibonda scatenata da intellettuali e politici dei più diversi schieramenti attorno alla campagna del Ministero della Salute in vista dell’annunciatissimo (e ora da troppi rinnegatissimo) «Fertility Day» del prossimo 22 settembre, che adesso pare una fissazione del ministro Beatrice Lorenzin e che invece era nato come un’iniziativa del governo per far nascere – se non qualche figlio in più – almeno una prima consapevolezza che un Paese nel quale la fecondità è scesa a 1,35 figli per donna ha il destino segnato. Non solo non è garantito da molto tempo il ricambio tra generazioni – la soglia di 2,1 pare fantascienza – ma lo stesso flusso migratorio non è più sufficiente a evitare che le nascite scendano al di sotto dei decessi, com’è accaduto nel 2015.


L’involuzione demografica alimenta inevitabilmente se stessa, la popolazione invecchia, la società deve occuparsi dei suoi anziani assai più che del proprio futuro, pensioni e sanità diventano un corpo insostenibile per gambe fragili, il dinamismo e la creatività si inceppano... L’elenco delle distorsioni patologiche può allungarsi all’infinito. Tutti problemi noti, che generano fenomeni sui quali classe politica e opinionisti sono unanimi nel sospirare pensosi. Poi però se qualcuno si azzarda a indicare il cuore del problema, apriti cielo: attentato alla libertà di scelta, colpevolizzazione della donna, intrusione dello Stato in faccende privatissime, fondamentalismo religioso, retorica da Ventennio, in un ventaglio di toni che va dallo sfottò pecoreccio all’insulto, passando per l’immancabile intimazione al ministro Lorenzin di dimettersi. È così che un Paese maturo e plurale affronta la questione decisiva sulle sue sorti?


L’argomento più serio di chi critica la campagna ministeriale (sulla qualità comunicativa della quale si può ovviamente discutere) fa perno su questioni come l’incertezza dei contratti di lavoro per i giovani o l’insufficiente dotazione di nidi. Tutto vero, ma che non basti neppure il welfare più solido a incoraggiare la natalità lo dimostra la Germania, evolutissima quanto a tutele eppure allineata all’Italia sulla temperatura gelida delle culle. Contrastare la primissima iniziativa di massa che ha il coraggio di affrontare la rimozione culturale della fertilità e della natalità come valore centrale, pubblico e condiviso del Paese svela l’intento di eludere la questione decisiva: non si fanno figli perché le motivazioni per affrontare ogni difficoltà oggettiva non sono più sufficienti, si è persa la certezza che la procreazione sia un tesoro da proteggere e coltivare, si è fatto credere che basti bussare alla tecnica che però non può indurre ad aprirsi alla vita chi non coglie più questo come un bene in sé. Si tratta di educare, allora, ma in nome di quale valore minimo comune se il solo apparire di qualche manifesto suscita tanta paura?

Francesco Ognibene

© Avvenire, 1 settembre 2016

 

La campagna

Fertility day, Renzi: misure strutturali

 

"Non conosco nessuno dei miei amici che fa un figlio perchè vede un cartellone pubblicitario". Così Matteo Renzi commenta, dai microfoni di Rtl la campagna per la lotta all'infertilità voluta dal ministro Lorenzin e finita subito al centro di violente polemiche. Una scelta personale fa capire il premier, da qui la presa di distanza. "Non sapevo niente di questa campagna - dice Renzi commentando l'iniziativa del ministro Lorenzin -, non l'ho neanche vista. Se vuoi creare una società che scommetta sul futuro e torni a fare figli devi intervenire sulle cose strutturali. La questione demografica esiste, ma la vera questione è un ragionamento complessivo", spiega il presidente del Consiglio.

"Le persone fanno figli se possono finalmente avere un lavoro a tempo indeterminato, investire su un mutuo, avere l'asilo nido sotto casa. Questa è la vera campagna. Abbiamo fatto anche interventi fiscali, ma servono le condizioni strutturali. Litigare su una campagna di comunicazione, non credo sia un tema", sottolinea il premier riferendosi all'iniziativa legata al Fertility Day del prossimo 22 settembre.

E se ministero e ministro ribadiscono che non è stata colta la natura dello spot, che voleva essere informativa sui rischi legati a ritardare la maternità, le polemiche politiche e sui social non accennano a placarsi. Lo slogan del Fertility Day è "conoscere per essere libere di scegliere", non è nostra intenzione fare una campagna per la natalità, ma fare prevenzione perché l’infertilità è una questione di salute pubblica" ha spiegato Lorenzin.

Scatenate le opposizioni che arrivano a chiedere, per voce della Lega con Roberto Calderoli, le dimissioni del ministro. Mentre il M5s annuncia un'informativa per chiedere i costi dell'iniziativa. "Vorremmo sapere se da parte del ministro ci sia stato un evidente errore oppure se la sua idea era quella di realizzare una campagna di parte per far contento qualcuno" dice la capogruppo grillina Laura Castelli. A difendere la campagna invece molti deputati di area centrista che giudicano esagaerate le polemiche e chiedono di parlare di contenuti e non di ideologie. "Un merito va riconosciuto a questa campagna: quello di aver acceso i riflettori su un tema come quello della fertilità rompendo un tabù e sull'importanza della salute delle donne e delle coppie" dice Paola Binetti, deputata di Area popolare.

"Del tutto inutili le polemiche sulle modalità comunicative del Fertility Day previsto per il prossimo 22 settembre". Questo il commento di Emanuela Lulli, ginecologa e consigliere nazionale dell'Associazione Scienza & Vita. "Certamente ogni modalità comunicativa può essere migliorata, ma nel caso di questo evento l'attenzione va posta prevalentemente sui contenuti e sullo spirito che lo anima. In tal senso – continua la Lulli - va riconosciuto al Ministro della Salute coraggio e senso di responsabilità nello scegliere, su un tema così sensibile e complesso (e in quanto tale anche mediaticamente 'scomodo'), di non rinunciare a rilanciarlo all'attenzione comune tramite questa iniziativa. Non si può certo negare né tacere l'esistenza del problema ingravescente della denatalità in Italia; così come emerge il bisogno di mettere in atto iniziative per informare ed educare, in modo scientificamente corretto, le giovani generazioni sul tema della fertilità, nei suoi vari aspetti". "E' altrettanto ovvio – prosegue il consigliere di Scienza & Vita - che questi contributi, da soli, non sono in grado di risolvere il problema delle scelte procreative degli italiani e della denatalità conseguente. Siamo infatti tutti ben consapevoli della concomitante necessità di incrementare le politiche a favore della famiglia e della scelta di mettere al mondo un figlio. Ma la necessità di promuovere anche questi aspetti non trasforma certo il Fertility Day in un evento di per sé negativo".

© Avvenire, 1 settembre 2016

Prossimi eventi