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Incontro Bartolomeo e Kirill. Mons. Coda: “La via per abbattere i muri è il dialogo tra i fratelli nella fede”

La Chiesa cattolica segue con interesse l’incontro tra i Patriarchi di Mosca e Costantinopoli che si terrà al Fanar domani (31 agosto). Mons. Piero Coda, della Commissione mista internazionale per il dialogo, chiarisce: “L’obiettivo che guida la ‘politica’ ecumenica della Chiesa cattolica è l’opposto di quel ‘divide et impera’ che potrebbe puntare a trarre vantaggio dalle difficoltà e divisioni tra i propri interlocutori. È, piuttosto, la logica dell’attesa, della pazienza, del sostegno gratuito e indiscriminato, della speranza che nasce dalla fede in Gesù, il principe della pace”

Un comunicato di poche righe a firma del Patriarcato ecumenico per annunciare che domani, venerdì 31 agosto, “su suo espresso desiderio”, il Patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia si recherà con una delegazione nel quartier generale del Patriarcato ecumenico e incontrerà il Patriarca Bartolomeo per parlare di “questioni di interesse bilaterale”. L’incontro è stato confermato oggi al Sir dal Patriarcato ecumenico. Ma cosa ha spinto il Patriarca Kirill a chiedere oggi un altro incontro al Patriarca Bartolomeo e quali sono le questioni che da sempre mettono in difficoltà le relazioni tra le due Chiese? Come e con quali “aspettative” la Chiesa cattolica sta seguendo questa complessa evoluzione nei rapporti intra-ortodossi? Il Sir ha rivolto tutte queste domande a mons. Piero Coda, preside dell’Istituto universitario “Sophia”, membro della Commissione teologica internazionale e, dal 2005, della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse nel loro insieme.

2304180-017-755x491.jpgPerché è importante che i Patriarchi Bartolomeo e Kirill, il Fanar e il Patriarcato Ecumenico da una parte, Mosca e la Russia dall’altro, s’incontrino e colloquino su temi di comune interesse?
L’incontro attesta la volontà di comunione tra il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, cui è riconosciuta per tradizione un’autorità non solo morale tra tutte le Chiese ortodosse, e il Patriarcato di Mosca, che gode di un notevole peso nel mondo ortodosso a motivo della consistenza della Chiesa di cui è a capo e del ruolo geo-politico che la Russia di fatto gioca sulla scacchiera internazionale. E ciò nonostante le diversità nelle prese di posizione dei due Patriarcati, che si è manifestata in modo palese nel giugno del 2016, quando il Patriarcato di Mosca ha deciso di non partecipare al Sinodo panortodosso di Creta, il primo della storia, presieduto dal Patriarca Ecumenico Bartolomeo.

Chi sono Bartolomeo e Kirill? Questo incontro che cosa rivela della loro leadership e che messaggio inviano alle loro Chiese di riferimento?

I Patriarchi Bartolomeo e Kirill, oltre al fatto che sono a capo delle due Chiese leader nel mondo ortodosso, sono due personalità di spicco e di consumata esperienza ecclesiale.

Bartolomeo, sulla base della profetica testimonianza del suo venerato predecessore, il Patriarca Athenagoras, non solo, facendo fronte a notevoli difficoltà, ha riattivato con sapienza e determinazione il significato strategico del Patriarcato di Costantinopoli a livello ecclesiale per il ruolo che riveste nel concerto delle Chiese ortodosse, ma lo ha fatto con sincero spirito ecumenico nei rapporti con la Chiesa di Roma, guadagnando oltre il resto un posto di rilievo, sullo scenario internazionale, alla Chiesa ortodossa sul fronte dell’impegno per il dialogo, la pace, la salvaguardia e promozione dell’ambiente.

È nota e palpabile la sua sintonia con Papa Francesco, come testimoniato in molte occasioni;

basti ricordare la preghiera per la pace in Vaticano coi leader d’Israele, Shimon Peres, e dello Stato Palestinese, Abu Mazen, nel 2014; la visita ai profughi sull’isola di Lesbo nel 2016; l’incontro ecumenico di Bari dei Patriarchi delle Chiese del Medio Oriente, nel luglio scorso. Senza dire dell’indubbia capacità “politica” da lui mostrata nel gestire la situazione della sua Chiesa nel contesto di una società e di uno Stato come quelli attuali in Turchia, nonché nel tenere insieme il variegato mondo delle Chiese ortodosse autocefale.

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E il Patriarca Kirill?
Kirill, dal canto suo, ha senz’altro alle spalle una ricca esperienza d’impegno nelle relazioni ecumeniche quando viene eletto Patriarca di Mosca e di tutte le Russie nel 2009. Si trova a gestire la situazione di una Chiesa che viene gratificata dalle autorità politiche della Repubblica russa postcomunista di un ruolo di primo piano nella promozione dell’identità russa e del suo rilievo sullo scacchiere mondiale, a cominciare dall’Est dell’Europa e dal Medio Oriente, con tutto ciò che questo può comportare in positivo ma anche in negativo.

Buone le relazioni diplomatiche intrattenute e promosse sotto la sua guida, in questi anni, con la Chiesa cattolica:

basti pensare allo storico evento dell’incontro con Papa Francesco presso l’aeroporto internazionale de L’Avana, nel febbraio del 2016. Anche se – dal punto di vista ecclesiologico – le divergenze tra Roma e Mosca restano rilevanti, come registrato nel dialogo teologico su primato e sinodalità tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa.

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Quali prospettive si possono intravedere per il futuro? Meglio ancora: le questioni che mettono in difficoltà le relazioni tra le due Chiese sono muri alti. Come abbatterli?
Le difficoltà nei rapporti tra i due Patriarcati sono di due ordini. Da un lato, c’è la storia che ha portato alla costituzione della Chiesa ortodossa russa, figlia certo di Costantinopoli, ma che progressivamente ha conosciuto un suo sviluppo proprio e – come già accennato – una grande crescita ed estensione, mentre – per le vicende storiche che hanno segnato la fine dell’Impero bizantino e la nascita dell’Impero ottomano – il Patriarcato di Costantinopoli ha visto per secoli compresso il suo ruolo. D’altro lato, ci sono i contenziosi odierni, derivanti in gran parte dalle difficoltà comparse nel mondo ortodosso in quei Paesi che hanno acquistato l’indipendenza a seguito della disgregazione dello Stato sovietico. Il passaggio è delicato e tutt’altro che facile, ma può mostrarsi come un’occasione propizia nella crescita dell’autocoscienza ecclesiale.

La via per abbattere i muri e superare gli ostacoli è senz’altro quella di puntare sul primato del Vangelo e del dialogo tra i fratelli nella fede,

valorizzando certo le peculiarità etniche, politiche, culturali ma senza lasciarsi catturare dalla logica mondana dell’affermazione di potere nelle rispettive sfere d’influenza. Anche in questo caso, come Papa Francesco non si stanca di ripetere a proposito della riforma nella Chiesa cattolica, l’essenziale è il ritorno sempre nuovo al Vangelo di Gesù come cruciale bussola di discernimento.

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Il Papa ha detto chiaramente che da parte della Chiesa cattolica non c’è e non ci dovrà mai essere alcun tipo di interferenza negli affari interni alle altre Chiese. Con quale sguardo la Chiesa cattolica guarda a questo processo? Quali ricadute si possono sperare per il dialogo con le Chiese ortodosse?
L’atteggiamento di Papa Francesco e della Chiesa cattolica in generale è quello, da un lato, di pieno rispetto della vita interna delle Chiese ortodosse anche nell’impegno a crescere nelle loro relazioni reciproche e, dall’altro, di sincero approfondimento del dialogo e della comunione con ciascuna di queste Chiese, come si evince – nel nostro caso – dai rapporti sempre più intensi e cordiali sia con la Chiesa di Costantinopoli sia con la Chiesa di Mosca. L’obiettivo, dunque, che guida la “politica” ecumenica della Chiesa cattolica è l’opposto di quel “divide et impera” che potrebbe puntare a trarre vantaggio dalle difficoltà e divisioni tra i propri interlocutori. È, piuttosto, la logica dell’attesa, della pazienza, del sostegno gratuito e indiscriminato, della speranza che nasce dalla fede in Gesù, il principe della pace. La ricaduta fondamentale che si può auspicare è quella che tutti ci s’impegni con crescente consapevolezza, efficacia e perseveranza nella costruzione della comunione, a tutti i livelli, in modo che le divergenze siano affrontate con l’occhio della fede e dell’amore, a servizio dell’unica missione.

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Il mondo è diviso. Siamo veramente di fronte a scenari da terza guerra mondiale. E gli effetti delle guerre con le migrazioni si fanno sentire anche in Europa, in particolare in Italia. Il mondo ecumenico avverte questa urgenza di unità che le Chiese sono chiamate a dare oggi e non domani?
Il recente incontro di Bari è stato un segno molto positivo, direi persino profetico, in questa prospettiva. Le Chiese sono chiamate, in una situazione per tanti versi tragica come quella presente, a camminare con rinnovata lena e convinzione sulla via dell’unità. La divisione, l’incomprensione, la persistenza dei conflitti, il ritardo nella riconciliazione costituiscono uno scandalo sconcertante. La credibilità del Vangelo predicato dalle Chiese è minata da tutto questo. Non si può più aspettare. Come non mai, oggi, tocchiamo con mano la verità e il monito contenuti nella preghiera di Gesù al Padre: “Che siano uno perché il mondo creda che tu mi hai mandato”.

Maria Chiara Biagioni

© www.agensir.it, giovedì 30 agosto 2018