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L’evento di quella Croce segna il cuore di un’intera civiltà

Via Crucis. La via-Croce abbraccia in sé, in uno, memorie, tormenti, attese della vita storica nel suo "immanente trascendersi" così al Dio «nei cieli», come al Male, allo spirito della dissoluzione. La Croce manifesta l’insuperabilità di questi possibili – e chiama a decidersi, alla krisis. Segno di contraddizione, che esige, in uno, decisione. Segno perciò assolutamente dinamico, immaginabile soltanto nel suo perenne ri-volgersi.

viacrucis.jpgCrocifisso è chi è fisso al contraddirsi di queste vie – ma in quanto Logos, e cioè come quella vivente energia che le accoglie e raccoglie, che le «salva» in sé. Crocifisso è chi ne manifesta la concordia oppositorum – oltre ogni astratto dualismo, ogni intellettualistica gnosi. Crocifisso è il pellegrino, che questa Via delle vie percorre infaticabile – ma per super-vincere quelle che «aprono» alla morte, alla distruzione, e che tuttavia, lui sa bene, destinate nel tempo che resta, e cioè nella storia, a rimanere aperte. La sua decisione mostra la possibile salvezza. Se 1’assicurasse, la Croce diverrebbe un quieto fondamento, su cui super-stare, superstizioso idolo. O statica icona per fedi negligenti.

Non medita forse esattamente su questo anche la tradizionale Via Crucis? Si tratta di una meditazione sul simbolo di radicale kenosi e insuperabile ascesa, di mortale ferita e divinità del Logos, di umiliazione e gloria.

L’essere comune delle vie. La Croce lo indica all’incrocio dei suoi bracci, ma, ancor più, attraverso quel corpo che lo nasconde. Nel punto del loro corrispondersi le vie della Croce non fanno segno soltanto alla necessaria decisione tra l’innalzarsi doloroso del Calvario, lo sprofondarsi nel suo opposto, l’obbedienza al secolo, ma al silenzio dell’Uno, che accoglie in sé ogni determinazione. La figura del Crocifisso non è soltanto presenza reale che si innalza, che si eternizza, passato che si infutura e, insieme, grido dell’abbandono, che è memoria in sé dei tormenti e dei dubbi di una vita integralmente vissuta. È anche figura della tensione inesauribile, del trascendersi infinito dell’esserci all’Uno che ogni luce, ogni contraddizione, tutti i logoi debbono presupporre.

Se le vie che sono la Croce non «immaginano» tutto ciò, la grande Icona fallisce. Allora la Via della Croce non diviene che una narrazione intorno al sacrificio di un «buono», uno degli innumerevoli racconti intorno all’ingiustizia che produce e domina la storia. Ma con ciò non si potrebbe mai dar ragione al fatto che l’evento di quella Croce ha segnato il cuore di un’intera civiltà. Per spiegarselo occorrerà forse interrogare in questa direzione: il Calvario, la sua via non è l’itinerario diritto che va dalla miseria alla luce, ma la domanda tragica sulla loro unità, superiore ad ogni phantasia la Via sono le vie che si contraddicono tra vita e morte «irradiate» dall’Uno; il sacrificio non è quello di un maestro o di un «buono», ma del Logos che è Dio.

© Avvenire, 22 aprile 2011
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