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La cordata mariana notturna

Su un'iniziativa di un prete di Corato segnalata da alcuni quotidiani. Che in maniera singolare ci ricorda che anche i monaci si svegliano apposta di notte per pregare

santo_rosario_02.jpgSi è rapidamente spenta, sui giornali italiani, l'eco della beatificazione di Giovanni Paolo II (solo 7 titoli dedicati al nuovo beato, nell'ultima settimana), e le notizie religiose sono tornate alla normalità: per quantità (141 titoli dispersi su ben 47 temi) e per contenuti.

Più di tutto il resto ha catturato interesse (23 titoli) il grande tema delle turbolenze politiche in alcuni paesi a maggioranza musulmana (in primo piano Egitto e Pakistan) e delle conseguenze che ne vengono per le minoranze cristiane.

Molto interesse (14 titoli) anche per un tema tutto italiano: le commistioni, nei territori dominati dalla criminalità organizzata, tra questa e certe forme di religiosità popolare, e il conseguente atteggiamento della gerarchia. Al centro delle discussioni, il caso di Castellammare di Stabia. Più o meno altrettanto (13 titoli) lo spazio dedicato a un evento istituzionale: la visita di Benedetto XVI ad Aquileia e Venezia e l'incontro con il patriarca card. Scola e le Chiese del Triveneto.

Da segnalare infine, ancora una volta, la capacità dei libri di argomento religioso, non importa se molto o poco polarizzati rispetto al credere, di attrarre la singola attenzione di questo o quel quotidiano: in questa settimana i volumi di questo tipo di cui hanno parlato i giornali sono stati una dozzina. Una risposta nei fatti alla polemica (4 titoli) sorta intorno al Salone del libro di Torino a proposito della collocazione dei «libri della fede» entro la mostra sui 150 anni dell'Unità d'Italia, e che Avvenire stesso, con una nota di M. Cecchetti il 13, ha giustamente relativizzato.

In questo mare non troppo agitato mi ha colpito la notizia dell'iniziativa di un prete di Corato, provincia di Bari, segnalata il 9 maggio dal Giornale, ma che era già stata passata il 5 (ma non catturata dalla rassegna stampa della CEI) dalla Gazzetta del Mezzogiorno e dal Corriere del Mezzogiorno.

Si chiama «Cordata mariana notturna» e consiste nella convocazione virtuale, alle tre di notte, tramite lo squillo del telefonino, di un gruppo di fedeli per una breve preghiera a Maria, consistente nel Regina Coeli. I resoconti parlano di un centinaio di aderenti alla «catena» (tale perché ciascuno fa lo «squillo» a un altro); l'ideatore don Vito Marinelli (che non è parroco ma rettore di un santuario) l'ha immaginata a partire dalle tradizionali devozioni del mese di maggio, avendo verificato che esse oggi non sembrano più compatibili con i ritmi della vita quotidiana.

A me l'idea ha fatto simpatia. Mi è capitato in più occasioni, in passato, di suggerire ai neo-genitori (a me stesso e a mia moglie per primi), un po' provati dai risvegli notturni dei loro bimbi, di pensare che in fondo i monaci si svegliano apposta, nel cuore della notte, per pregare, e che la nostra laicissima sveglia dettata dal pianto (dalla pipì, dal mal di pancia e dalla fame) dei più piccoli si poteva ben santificare accostandola a quella orante dei nostri fratelli e sorelle vergini per il Regno. E so che anche a qualche monaco e monaca il suggerimento è risultato gradito.

Così non mi dispiace certo l'idea che un gruppo di cristiani, per un mese, decida di svegliarsi reciprocamente, di notte, e di dare corso a una sia pur breve preghiera: c'è il sostegno reciproco e quindi una certa corrente di comunità, pur rinunciando alla prossimità fisica; c'è la reinterpretazione di una tradizione antica e veneranda; c'è un sacrificio piccolo ma significativo di fronte al sentire comune che, accanto a «tutte» le altre funzioni fisiologiche, mitizza (per commercializzarlo) anche il sonno.

E c'è - per chiudere con un sorriso - l'utilizzo creativo delle nuove tecnologie: una «testimonianza digitale», per dirla con la CEI. Perché è vero, come precisa uno degli articoli, che lo «squillo» si può fare anche sul telefono fisso e non solo sul cellulare. Ma solo se vivete da soli e avete sul display dell'apparecchio il riconoscimento della chiamata. Perché - almeno i cinquantenni come me lo ricorderanno - c'era un tempo in cui il telefono era nero e severo, e non vi stava in tasca o sul comodino, ma rimaneva abbarbicato a un muro della casa, nel corridoio in modo che potesse essere udito da tutti quando squillava, e senza in alcun modo rivelarvi chi stava telefonando se non dopo aver risposto «Pronto, chi parla?». E chissà cosa avrebbe detto nostro padre se dall'altro capo, alle tre di notte, qualcuno gli avesse risposto: «Ave Maria».

Guido Mocellin

© www.vinonuovo.it, 15 maggio 2011