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La Puglia, un «ponte» tra culture e popoli e porta dell’Europa

La Visita "Ad limina" dei vescovi pugliesi. Parla Mons. Francesco Cacucci, Presidente della Conferenza Episcopale Pugliese e Arcivescovo di Bari-Bitonto

Oggi la canonizzazione dei martiri di Otranto. Domani l’inizio della visita ad limina. Coincidenza più straordinaria non poteva esserci per i vescovi pugliesi che questa mattina concelebreranno la Messa solenne in cui papa Francesco proclamerà la santità delle 800 persone passate per le armi dai turchi nel 1480. E infatti monsignor Francesco Cacucci, che prima di diventare arcivescovo di Bari-Bitonto e presidente della Conferenza episcopale pugliese è stato anche arcivescovo di Otranto (oggi sulla cattedra idruntina siede monsignor Donato Negro), sottolinea: «In questo giorno di festa noi celebriamo la santità non solo di un gruppo di cristiani, ma di un popolo intero. E perciò questa testimonianza di santità non riguarda solo l’arcidiocesi di Otranto, ma la Puglia intera e costituisce un insegnamento per tutta la nostra Regione, tanto più opportuno perché giunge nell’anno della fede».

Si tratta, dunque, di un ottimo viatico per la visita ad limina. Ma come si presenta la Chiesa di Puglia a questo appuntamento?
Vivere questo momento, a 50 anni dal Concilio, significa fare un’esperienza di collegialità con il Santo Padre, per esprimere la comune sollecitudine delle Chiese di Puglia con il Papa. Come san Paolo che avvertì il bisogno di andare a Gerusalemme per consultare Pietro, anche noi incontriamo papa Francesco per esprimere una comunione pastorale ed essere da lui confermati, in continuità con i grandi insegnamenti ricevuti da Benedetto XVI. Voglio a tal proposito ricordare lo speciale legame che si è venuto ad istituire tra il Pontefice emerito e la Puglia, dato che egli compì il suo primo viaggio a Bari e ha stabilito la data per la canonizzazione dei martiri di Otranto il giorno stesso in cui ha annunciato la sua rinuncia.

Quale identikit della Chiesa pugliese offrirete al Papa?
Faremo riferimento alla Nota pastorale pubblicata dopo il terzo convegno ecclesiale regionale "I laici nella Chiesa e nella società pugliese, oggi". Invitando ad «amare la nostra terra», abbiamo ricordato che siamo «europei del Mediterraneo». La nostra regione è infatti impregnata di cultura greco-romana e giudaico-cristiana, con una radicata vocazione ecumenica. Il nostro contesto culturale, dunque, ci induce a operare perché la vita della Ue non avvenga soltanto lungo l’Asse est-ovest, ma anche lungo quello nord-sud.

E questo in che modo orienta le preoccupazioni pastorali delle diocesi?
In effetti, non si può prescindere da alcune caratteristiche. La Puglia è arcobaleno e ponte e la sua posizione centrale nel Mediterraneo ne ha fatto, in questi anni, la porta dei flussi migratori. Si presenta poi come tessuto economico promettente, ma talvolta anche come approdo di sacche di crimine organizzato. E soprattutto i giovani soffrono per la mancanza di prospettive di lavoro. Le Chiese di Puglia, quindi, ritengono che prioritario sia il compito educativo per un rinnovamento più vivo della fede e della vita sociale.

Lei accennava alle condizioni economiche di una regione che fino a poco tempo fa era considerata una sorta di isola felice, per la laboriosità e intraprendenza dei suoi abitanti. Com’è oggi la situazione anche alla luce della crisi?
È vero. La Puglia soffre meno i morsi della crisi, a motivo anche delle risorse che giungono dal turismo e dai prodotti della terra. Ma la situazione dell’Ilva di Taranto e di alcune industrie medio-grandi del comparto barese (Om e Bridgestone) non può non richiamare quel quadruplice volto dell’amore indicato dai vescovi: amore intelligente, solidale, operoso e riconoscente. Quindi è necessario comporre il rispetto dell’ambiente e della salute con il diritto al lavoro. Una contrapposizione artificiosa risulterebbe nefasta.

Una delle caratteristiche regionali è la diffusione capillare della religiosità popolare. Può essere questo un contributo alla nuova evangelizzazione?
Prima della religiosità popolare, va notata la stagione felice per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Il Seminario regionale di Molfetta ospita oltre 200 seminaristi, oltre al "Propedeutico". È il frutto di una pastorale vocazionale accorta e generosa. Si aggiunga la Facoltà teologica Pugliese, con i tre Istituti: quello teologico di Molfetta, l’Istituto di teologia ecumenica e quello interreligioso pugliese di Santa Fara, a Bari. La religiosità popolare poi è stata in questi anni in buona parte intelligentemente purificata e sostenuta. Un documento dei vescovi pugliesi in proposito si è dimostrato prezioso. Lo scopo è quello di alimentare la fede, sostenere il cammino sacramentale, aprire gli spazi della carità.

In definitiva che cosa ci si può attendere dalla visita ad limina?
Questa occasione, ne sono certo, contribuirà a rinsaldare i nostri vincoli con il Successore di Pietro e con la Chiesa universale.

Mimmo Muolo

© Avvenire, 15 maggio 2013

 

Desiati: è una regione plurale

 

 

La Puglia. Anzi, le Puglie. Una volta il plurale si adoperava per correttezza storico-geografica, oggi andrebbe forse ripristinato per rendere giustizia della molteplicità di rappresentazione di cui la regione è stata oggetto negli ultimi anni. Lo suggerisce lo scrittore Mario Desiati, che questa pluralità ha testimoniato nei suoi libri, tra cui spicca Ternitti, finalista allo Strega un paio di anni fa. «Le immagini correnti sono almeno due – spiega –. Diverse, ma non necessariamente contrapposte».

Partiamo dalla prima?
È l’idea della Puglia come regione felice, terra di un equilibrio irripetibile fra bellezza naturale e patrimonio dell’arte. Un fenomeno non soltanto turistico, se si pensa all’insistenza sul tema che cinema e letteratura hanno mostrato nel decennio scorso. In un certo senso, è stata la scoperta di un provincia in cui l’Italia dà il meglio di sé.

Ma non c’è solo questo, mi sembra di capire.
Infatti. L’altro aspetto è legato al ruolo di locomotore economico che la Puglia stessa ha rivestito rispetto al resto del Mezzogiorno. In tempi di crisi gli investimenti nel settore dell’industria pesante si sono risolti in situazioni drammatiche e complesse. Le più note sono quella del Petrolchimico a Brindisi e dell’Ilva a Taranto. Quest’ultimo caso, in particolare, si è imposto con grande forza nel dibattito politico ed economico, fino ad assumere connotati quasi simbolici. La questione, però, è molto concreta. Basti pensare che a Taranto il 70% del Pil deriva proprio dall’Ilva. E che la fabbrica, per estensione, è addirittura più grande della città. Per non parlare del cielo.

In che senso?
Il cielo a Taranto è sempre coperto da una patina di ruggine. Il dilemma tra pane e veleno non si capisce fino in fondo se non ci si immedesima in questo contesto.

Ruggine e sole, insomma: le due Puglie sono ancora capaci di parlarsi?
Per fortuna sì, e lo fanno più spesso di quanto non si creda. Un’esperienza significativa è quella dell’attore Michele Riondino, molto popolare per l’interpretazione del giovane Montalbano televisivo. Figlio di operai dell’Ilva, ha deciso di rimanere a Taranto, dove anima un comitato che, tra l’altro, si contraddistingue per un atteggiamento particolarmente combattivo. Qui le due immagini della Puglia si incontrano, mia pare, e danno vita a qualcosa di completamente inatteso.

Quindi questa è ancora una regione laboratorio?
Lo è da sempre, per ragioni antropologiche e territoriali. Siamo la zona d’Italia più protesa a Oriente, la prima che ha avuto a che fare con gli sbarchi di extracomunitari. Siamo abituati ad affrontare il cambiamento, anche se un po’ a modo nostro. Già Giuseppe Di Vittorio sosteneva che in Puglia non esiste la classe operaia, ma quella dei “metalmezzadri”: gente che, finito il turno in fabbrica, torna a zappare nei campi...

E la Chiesa? Condivide questa pluralità?
Sì, in Puglia anche il cristianesimo ha tanti volti. C’è una forte tradizione mistica, che dalle civiltà rupestri arriva alla devozione per padre Pio, e c’è un’anima sociale, che negli anni Ottanta ha avuto in don Tonino Bello la sua figura più carismatica e rappresentativa. Gran parte di quella che è oggi la classe dirigente della regione si è formata in quel periodo, maturando la convinzione che bellezza e lavoro siano realtà complementari e non contrapposte. Che le Puglie, in definitiva, siano una Puglia sola.

Alessandro Zaccuri

© Avvenire, 15 maggio 2013

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