L'«uomo nuovo» nasce in seminario
Domanda, questa, che emerge tra le righe di ogni passaggio della riflessione del Pontefice, facendo proprio quel «vi esorto» paolino dal sapore paterno e materno nell’invitare a far luce nel personale vissuto.
«C’è un non conformismo del cristiano, che non si fa conformare», dice il Papa commentando il ben noto passaggio di san Paolo. E aggiunge: «Questo non vuol dire che noi vogliamo fuggire dal mondo, che a noi non interessa il mondo. Al contrario, vogliamo trasformare noi stessi e lasciarci trasformare, trasformando così il mondo».
Iniziare un cammino di trasformazione di sé può partire solo se accettiamo con coraggio di fare la verità su noi stessi, anche a costo di metterci in crisi: è davvero Gesù il centro dell’esistenza, mia e nostra di seminaristi e futuri sacerdoti? O la fede in Lui e la nostra vita continuano inesorabilmente a procedere su binari paralleli?
La sfida di formare l’uomo "nuovo" chiede a ciascuno una profonda verifica su quanto il "nuovo" – che è Gesù – entri a far parte della propria esistenza e su quanto permettiamo al "nuovo" di incidere nella nostra storia. La crisi, se arriva, può poi essere colta come una grande opportunità.
Certamente dare spazio al cambiamento può destabilizzare: la novità è spesso percepita come incerta, difficile, e iniziare una vita nuova talvolta può richiedere sacrificio, perdita della propria autosufficienza, o di alcuni vantaggi sicuri. Eppure il cammino verso un’autentica libertà e maturità chiede di saper attraversare con consapevolezza questo itinerario di "non conformismo" che «non è contro il mondo, ma è il vero amore del mondo».
Sì, il cristiano sa bene che il mondo non è un campo nemico, ma è quel terreno che va arato e coltivato con amore, cura e pazienza senza per questo accogliere – e farle diventare talvolta "abitudine" – quelle logiche del mondo che ci imprigionano in schemi non aderenti al Vangelo. È per questo che il Papa rilancia un’ulteriore richiamo: quello alla vigilanza. E fa alcuni esempi molto concreti, come la finanza, l’avere, l’apparire. Quando queste realtà iniziano a prendere troppo spazio nella nostra esistenza è il segno che il posto per il "nuovo" si è ridotto, o praticamente annullato. E che, ancora una volta, abbiamo reciso il legame tra la fede e la vita. Benedetto XVI lo ricorda a noi seminaristi – e non solo – facendo percepire nell’intensità del suo messaggio quanto una simile questione sia cruciale, decisiva.
Lasciarsi trasformare da Dio è, allora, aprirsi alla Grazia che rinnova: «Lasciamoci formare, plasmare, perché appaia realmente nell’uomo l’immagine di Dio». Tanto più il "nuovo" entra a far parte della nostra vita, tanto più saremo capaci di guardare e servire il mondo con lo stesso sguardo e stile di Dio. «Essere realmente penetrati dalla realtà di Dio così che tutta la nostra vita – e non solo alcuni pensieri – siano liturgia, siano adorazione»: fede e vita pienamente intrecciate permetteranno a ogni uomo di amare e camminare sulla terra con lo sguardo rivolto al cielo.
A ogni credente, e in particolar modo ai futuri sacerdoti, spetta il compito di "dare forma" al sogno di Dio. Offrendo con semplicità e affetto una testimonianza credibile che la novità del Vangelo può trasformare la nostra vita e il mondo nella misura in cui permettiamo al "nuovo" di entrare.