Dossier. Lavoro, mai più di domenica
1. «Adesso basta», si muovono i commercianti
 A muoversi sono innanzitutto i commercianti. Stanchi  di tenere le saracinesche aperte per pochi spiccioli a danno delle loro  stesse famiglie. Ma non solo: commesse, lavoratori precari dei grandi  centri commerciali, piccoli negozianti costretti all’apertura dalla  concorrenza improba con le grandi catene hanno cominciato a passarsi  parola con un unico obiettivo: «liberare la domenica dal lavoro». Per tornare così a dedicarsi ai propri affetti, ai propri hobby, al proprio riposo.
A muoversi sono innanzitutto i commercianti. Stanchi  di tenere le saracinesche aperte per pochi spiccioli a danno delle loro  stesse famiglie. Ma non solo: commesse, lavoratori precari dei grandi  centri commerciali, piccoli negozianti costretti all’apertura dalla  concorrenza improba con le grandi catene hanno cominciato a passarsi  parola con un unico obiettivo: «liberare la domenica dal lavoro». Per tornare così a dedicarsi ai propri affetti, ai propri hobby, al proprio riposo.  
 
 È partita così, quasi in sordina per diventare poi sempre più  strutturata, la raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare  che regolamenti le aperture domenicali e festive dei negozi  nei centri  storici delle città e le chiusure, domenicali e festive, dei centri  commerciali.  Confesercenti con Federstrade stanno promuovendo  e  facendo da cassa di risonanza di una protesta che sta attraversando  l’Italia. È di qualche domenica fa l’iniziativa, partita da Treviso,  delle commesse che hanno invaso piazze e città per reclamare il proprio  diritto al riposo festivo. 
 
 A far da supporto all’iniziativa la Chiesa italiana, che già con il  Congresso eucaristico di Bari del 2005 e poi con il Convegno ecclesiale  di Verona del 2006 ha posto grande attenzione al momento della festa  domenicale come giorno non solo per “santificare la festa”, come  recita il terzo comandamento, ma per stare insieme in famiglia, per  riappropriarsi del proprio tempo e delle relazioni trascurate durante la  settimana. Anche nell’Incontro mondiale delle famiglie  svoltosi a Milano dal 30 maggio al 3 giugno il tema del riposo  domenicale è stato tra gli argomenti invocati a sostegno di un tempo più  a misura di famiglia.
 
  Non è un caso che il nostro giornale sia più volte tornato sull’argomento, recentemente anche con il commento di monsignor  GianCarlo Bregantini, presidente della Commissione episcopale per i  problemi sociali e il lavoro, pubblicato sul numero 43 di Famiglia Cristiana.
2. «Difendiamo le imprese e la qualità del vivere»
«Certo che difendiamo le nostre imprese, ma questa non è  un’iniziativa solo corporativa. Abbiamo l’esigenza di difendere i nostri  territori e la qualità del vivere». Marco Venturi, presidente  di Confesercenti parte da qui per spiegare il perché della campagna,  promossa insieme con Federstrade e con il sostegno della Cei, per la  chiusura domenicale dei negozi.  «Da quando il decreto  Salva-Italia ha liberalizzato gli orari dei negozi», spiega  Confesercenti, «non c’è stato alcun incentivo al consumo, anzi. Le  piccole e medie imprese stanno soffrendo ancora di più e molte hanno  chiuso o rischiano la chiusura». 
 
 Secondo i dati diffusi nel corso della conferenza stampa che ha  lanciato la campagna Libera la domenica, negli ultimi anni hanno chiuso  100mila imprese e altre 81 mila potrebbero aggiungersi nei prossimi  cinque anni. «Con la scomparsa dei piccoli negozi è aumentata  l’insicurezza delle città e si sta sgretolando il tessuto sociale”, ha  aggiunto il vicedirettore di Confesercenti Mauro Bussoni. Non è dunque  solo una questione economica, ma «antropologica», ha spiegato monsignor GianCarlo Bregantini, presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e del lavoro.  «Quando Benedetto XVI, al convegno di Verona del 2005 ha ricordato la  risposta che Emerito dette al Proconsole romano che gli chiedeva perché  avessero trasgredito l’ordine dell’imperatore di non celebrare la  domenica “sine dominico non possumus”, sembrava che nessuno prendesse  sul serio questo tema. Ci sembrava di fare una battaglia clericale. Oggi  è chiaro che non è una battaglia interna alla Chiesa, alla quale  teniamo solo noi, ma è una battaglia che si fa per l’uomo».
 
 Citando ancora Benedetto XVI monsignor Bregantini insiste sul fatto che  «come ha detto il Papa senza la domenica ci mancherebbero le forze per  affrontare le difficoltà quotidiane e non soccombere». Il riposo «e non  quello in un giorno qualunque, ma quello della domenica, può rilanciare  il cuore, rilanciare la speranza, ri-costruire i propri legami  familiari. Non possiamo fare solo affermazioni teoriche e dire che la  famiglia è bella se poi è spaccata la domenica e nei giorni di festa». 
 
 Per questo è convinto il sostegno della Cei che il 25 novembre  invita le diocesi e le parrocchie a mettere a disposizione i sagrati per  la raccolta delle firme. «Vogliamo regolamentare, non chiudere»,  insiste monsignor Bregantini. «E il sagrato è il luogo giusto  dove raccogliere le firme perché è tradizionalmente il posto dove si  incontrano Chiesa e mondo». Inoltre la scelta della domenica nella quale  si celebra Cristo Re è voluta per ricordare che «Cristo è pienezza, è  la sintesi tra la dignità umana e quella divina».  «Se devo dirlo con  uno slogan, conclude il vescovo alzando un cartoncino scritto a  pennarello, «potrei dire che "Domenica, forse, aperto", cioè non  vogliamo che l’apertura sia obbligatoria, ma si apre quando è  necessario. Ricordandoci anche che Paesi come la Svizzera o la  Germania non aprono di domenica. Cerchiamo di inseguire la Merkel anche  sulle cose positive e non solo per lo spread».
3. Rivogliamo la famiglia
«Dobbiamo riconquistare la famiglia. Lo dico da imprenditrice, da  moglie, da madre». Mina Giannandrea, a nome di Federstrade, parla  sfogliando le pagine del libro bianco. Anzi i due volumi che raccolgono,  scritte  a mano con tanto di timbro degli esercenti, centinaia di  storie e testimonianze di  commercianti della capitale. Roma è tra le  prime città che si sono mosse in difesa della domenica e il cardinale Agostino Vallini ha subito supportato l’iniziativa. «Devo  un grazie a lui, a monsignor Bregantini e, in particolare, a monsignor  Mariano Crociata che si sono resi parte attivita nell’iniziativa  intrapresa e non ci hanno fatto sentire soli», dice la Giannandrea. 
 
 Il libro bianco, che verrà pubblicato nelle prossime settimane, è una  raccolta di storie e di speranze. Ma anche di denunce e di richieste. «Anche  noi abbiamo il diritto di crescere e di goderci i nostri figli»,  scrivono i proprietari del negozio Pinky, mentre Arnaldo aggiunge: «I  nostri figli hanno 10 e 11 anni, non sanno cosa vuol dire passare una  domenica con tutta la famiglia». Lui e sua moglie fanno a turno  per non lasciarli soli o chiedono aiuto ai nonni, ma quando saranno  grandi «sarà ancora peggio perché allora staranno soli». Qualche pagina  più in là Stefano scrive: «Che il lavoro nobiliti l’uomo è verissimo, ma  lavorare tutte le feste e non chiudere più neanche la domenica  servirebbe solo a dividere la famiglia».  
 
 «Siamo partiti da queste esperienze, dal bisogno sempre più sentito di  ritrovarci con i nostri cari nel giorno di festa», spiega la  Giannandrea. «Anche perché, aggiunge Venturi, «non solo è un sacrificio,  ma è un sacrificio inutile perché i consumi non aumentano, semmai si  spalmano su tutta la settimana, ma con vantaggio solo della grande  distribuzione». 
 
 Senza peraltro che questo crei nuovi posti di lavoro. Anzi i  dati di Confesercenti dicono che per ogni posto di lavoro (di solito  precario) creato nei centri commerciali, di fatto scompaiono 10 posti  nei piccoli negozi dei centri storici.
4. Le Regioni all'attacco
A sostegno dell’iniziativa sono arrivate anche le lettere dei  presidenti di Piemonte, Veneto, Toscana ed Emilia Romagna, le Regioni  che per prime si sono mosse contro l’articolo 31 del decreto Salva  Italia, quello appunto che liberalizza le aperture domenicali. Le  Regioni, i cui ricorsi sono all’esame della Corte costituzionale  proprio in questi giorni, lamentano che la nuova normativa ha creato  innumerevoli problemi sia ai commercianti che alle stesse Regioni  sottraendo loro la possibilità di decidere quando derogare alla  chiusura. 
 
 Finora infatti erano le Regioni e i Comuni che, tenendo conto delle  esigenze del territorio, dei flussi turistici, di particolari eventi,  stabilivano quando poter tenere aperti i negozi nei giorni festivi.  Tutt’ora  Bolzano, forte del suo Statuto speciale, prevede la chiusura per 35  domeniche l’anno.  In Europa l’apertura domenicale è un’eccezione: la  Germani e la Francia prevedono 10 domeniche l’anno, Olanda e Spagna un  massimo di 12, zero la Svizzera. Qualora i ricorsi delle  Regioni venissero accolti Confesercenti continuerà comunque la raccolta  di firme per portare all’attenzione sia dell’attuale Governo che del  prossimo una legge di iniziativa popolare che possa regolamentare tutto  il settore.
5. Bregantini: «L'apertura domenicale dev'essere l'eccezione»
Tre sono le ragioni che hanno spinto i commercianti contro  la liberalizzazione estrema della domenica. Infatti, è dalla base che è  partita l’indignazione contro una libertà sfrenata. I valori in gioco  sono, innanzitutto, quello antropologico: senza il riposo domenicale ogni uomo si fa vuoto, privo di luce, non gusta più le belle cose che fa. Il riposo è cioè antropologicamente necessario. In  secondo luogo, c’è la ragione familiare perché le famiglie, specie le  mamme costrette a lavorare di domenica, non hanno più la possibilità  reale di seguire i loro figli, soprattutto gli adolescenti. La casa si spegne del calore familiare per un ipotetico vantaggio economicistico.Terzo:  le motivazioni economiche. Si constata, infatti, che la legge sulle  liberalizzazioni ha di fatto abbassato i ricavi del commercio di ben il 2  per cento. 
 
 I supermercati aperti perdono anche in termini finanziari. Non è vero  che è un rimedio per rilanciare l’economia, anzi la peggiora. A  dimostrazione che non basta la libertà, da sola, per dare slancio  all’economia, ma occorre investire soprattutto in etica. Non si tratta,  dunque, di una battaglia “clericale” né di difesa della Messa festiva,  anzi anche le comunità ebraiche si sono alleate fortemente in questa  campagna. È perciò una battaglia umana, sociale ed economica intelligente.  L’obiettivo è creare un’imponente raccolta di firme per il cambio della  legge sulle liberalizzazioni perché la regolamentazione del commercio  domenicale passi alle Regioni, che potranno saggiamente distribuire tale  opportunità a seconda della conformazione geografica e turistica delle  varie località. L’apertura domenicale dei negozi diventa, così,  un’eccezione, non una regola. Questo è il nocciolo etico e politico  della proposta.
 
 
 
            
