
L'azzardo in Italia è un affare per le mafie: ecco i numeri
In Italia si scommettono ogni anno oltre 157 miliardi di euro. Una cifra che supera il bilancio di molti ministeri, e che racconta la febbre dell’azzardo di 18 milioni di italiani. Per alcuni è solo una schedina o un “Gratta e Vinci”. Per quasi tre milioni di persone, però, il gioco è diventato una malattia. I ludopatici sono 1 milione e 500 mila (3% della popolazione maggiorenne), ma ci sono anche 1 milione e 400 mila persone a rischio moderato. E dove la fragilità diventa profitto, le mafie fiutano l’affare e si mettono in gioco.
È la fotografia scattata da “Azzardomafie”, il dossier di Libera curato da Toni Mira, Maria Josè Fava, Gianpiero Cioffredi e Peppe Ruggiero, che ricostruisce la mappa del legame sempre più stretto tra il gioco legale e gli affari criminali. Secondo le relazioni della Direzione Nazionale Antimafia e della Dia, tra il 2010 e il 2024 sono 147 i clan censiti che hanno investito o operato nel settore, in 16 regioni e sotto la lente di 25 Procure antimafia. Un sistema tentacolare che unisce il Sud al Nord, dalla Campania (40 clan) alla Calabria (39), dalla Sicilia (38) al Lazio (24), fino a Liguria e Piemonte, con 9 clan ciascuno.
Dove scorrono soldi e fiches, scorrono anche i capitali illeciti: riciclaggio, usura, estorsioni e manomissione degli apparecchi. L’azzardo è il nuovo eldorado criminale, con un rendimento che supera persino il narcotraffico. Come ha spiegato il generale Nicola Altiero, vicedirettore operativo della Dia, «un euro investito dalle mafie nel gioco d’azzardo ne frutta 8 o 9, con molti meno rischi».
Dietro il business, c’è una rete fitta di società di gestione e concessionari: 300 i soggetti autorizzati dallo Stato, 3.200 le imprese territoriali che ne curano la distribuzione. Un vero “risiko” di scatole societarie, fondi d’investimento e sedi nei paradisi fiscali. Un sistema opaco che, secondo Libera, rappresenta un rischio strutturale oltre che etico, dove la linea tra legale e illegale è ormai sottile.
Ma il cuore del dossier è la denuncia sociale. «Dietro ogni slot, dietro ogni casella argentata del gratta e vinci ci sono esseri umani in difficoltà», avverte don Luigi Ciotti. «Adolescenti che scommettono di nascosto, anziani che si giocano la pensione, famiglie che si sfaldano nel silenzio. Il gioco d’azzardo, legale o illegale che sia, è un inganno ai danni dei cittadini».
I numeri confermano la deriva: nel 2024, il comparto online ha superato per la prima volta quello fisico — 92 miliardi di euro giocati in rete contro 65 miliardi in sale e agenzie. E cresce anche il numero dei conti di gioco: quasi 16 milioni, cinque milioni in più rispetto al 2020.
La Lombardia è la regione che spende di più (quasi 25 miliardi), ma se si rapportano i dati alla popolazione, è la Campania a guidare la classifica con 3.692 euro all’anno per abitante. A seguire Abruzzo e Molise. Numeri che raccontano una febbre che non conosce crisi.
Dove circola tanto denaro, arrivano inevitabilmente clan e violenza. Tra il 2023 e il 2025 si sono contati 21 attentati e incendi contro sale gioco e scommesse, spesso riconducibili a guerre per il controllo del territorio. La Guardia di Finanza e l’Agenzia dei Beni Confiscati segnalano che più della metà delle 125 aziende sottratte alle mafie nel settore dell’intrattenimento riguarda proprio sale e punti scommesse: 70 in tutto, concentrate in Campania, Lazio e Sicilia.
E le segnalazioni di operazioni finanziarie sospette legate al comparto sono cresciute del 37% solo nel primo semestre del 2025. Il dossier evidenzia anche la “dipendenza silenziosa” che accompagna l’azzardo: 1,5 milioni di giocatori patologici e 1,4 milioni a rischio, con effetti a catena su oltre 20 milioni di familiari. È l’“azzardo passivo”, una piaga che intacca salute mentale, relazioni e qualità della vita.
Tra le vittime ci sono sempre più minorenni, che aggirano facilmente i divieti per accedere a piattaforme online o sale fisiche. Eppure lo Stato continua a fare cassa: le entrate fiscali dall’azzardo valgono miliardi, ma solo una minima parte viene reinvestita in prevenzione e cura. «C’è una grave contraddizione etica», denuncia ancora don Ciotti. «Occorre mettere al centro la salute della gente, non il guadagno delle aziende o dell’erario».
Le proposte di Libera sono chiare: stop alla pubblicità del gioco, più poteri ai Comuni per limitarne la diffusione, no alla compartecipazione del gettito fiscale agli enti locali, ricostituzione dell’Osservatorio nazionale sulle dipendenze da gioco e controlli più severi su concessionari e gestori. Perché, avverte il dossier, ogni euro incassato dallo Stato o dai privati attraverso l’azzardo ha un costo sociale altissimo, pagato da chi alla fne perde tutto, compreso se stesso.
Marco Birolini
