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«Maria e Giuseppe come i migranti di oggi, trasformiamo la paura in carità»

Francesco celebra a San Pietro la Messa solenne della Notte di Natale e traccia un parallelismo tra la condizione della Santa Famiglia e quella di chi oggi fugge dalla propria terra: «Serve una nuova immaginazione sociale per accogliere i migranti»

rtx3ya62_2314909.jpgMaria e Giuseppe come i migranti di oggi in fuga dalla guerra, dalla miseria, da dittatori che li vogliono uccidere come il re Erode nella Palestina di duemila anni fa. Serve una nuova «immaginazione sociale» per trasformare la paura verso gli altri in carità.

È l’antico inno liturgico della Kalenda ad annunciare nel cuore della notte la nascita di Gesù Cristo: irrompe la luce nella Basilica di San Pietro, le campane suonano a festa e papa Francesco bacia e incensa Gesù Bambino posto ai piedi dell’altare del Bernini prima di presiedere la Messa solenne della Notte di Natale. Il Pontefice, nell’omelia, commenta il Vangelo di Luca che racconta la nascita di Cristo, e rilegge la vicenda di Maria e Giuseppe alla luce di quella, travagliata, dei migranti di oggi: «Per decreto dell’imperatore, Maria e Giuseppe si videro obbligati a partire», nota il Papa. «Dovettero lasciare la loro gente, la loro casa, la loro terra e mettersi in cammino per essere censiti. Un tragitto per niente comodo né facile per una giovane coppia che stava per avere un bambino: si trovavano costretti a lasciare la loro terra. Nel cuore erano pieni di speranza e di futuro a causa del bambino che stava per venire; i loro passi invece erano carichi delle incertezze e dei pericoli propri di chi deve lasciare la sua casa. E poi si trovarono ad affrontare la cosa forse più difficile: arrivare a Betlemme e sperimentare che era una terra che non li aspettava, una terra dove per loro non c’era posto».

Il Papa accosta il dramma dei migranti di Betlemme a quelli di tanti migranti di oggi: «Nei passi di Giuseppe e Maria si nascondono tanti passi», dice il Papa, «Vediamo le orme di intere famiglie che oggi si vedono obbligate a partire. Vediamo le orme di milioni di persone che non scelgono di andarsene ma che sono obbligate a separarsi dai loro cari, sono espulsi dalla loro terra. In molti casi questa partenza è carica di speranza, carica di futuro; in molti altri, questa partenza ha un nome solo: sopravvivenza. Sopravvivere agli Erode di turno che per imporre il loro potere e accrescere le loro ricchezze non hanno alcun problema a versare sangue innocente».

I “profughi” Maria e Giuseppe, per i quali non c’era posto, spiega il Papa, «sono i primi ad abbracciare Colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza. Colui che nella sua povertà e piccolezza denuncia e manifesta che il vero potere e l’autentica libertà sono quelli che onorano e soccorrono la fragilità del più debole».

rtx3yab8_2314922.jpg«Condividere la gioia del Natale con i pagani, i peccatori, gli stranieri»

La nascita di Gesù sovverte ogni logica, rovescia i rapporti di forza, sconvolge ogni rete di potere: «In quella notte», spiega il Papa, «Colui che non aveva un posto per nascere viene annunciato a quelli che non avevano posto alle tavole e nelle vie della città. I pastori sono i primi destinatari di questa Buona Notizia. Per il loro lavoro, erano uomini e donne che dovevano vivere ai margini della società. Le loro condizioni di vita, i luoghi in cui erano obbligati a stare, impedivano loro di osservare tutte le prescrizioni rituali di purificazione religiosa e, perciò, erano considerati impuri. La loro pelle, i loro vestiti, l’odore, il modo di parlare, l’origine li tradiva. Tutto in loro generava diffidenza. Uomini e donne da cui bisognava stare lontani, avere timore; li si considerava pagani tra i credenti, peccatori tra i giusti, stranieri tra i cittadini. A loro – pagani, peccatori e stranieri – l’angelo dice: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”».

La gioia del Natale, sottolinea il Papa, va condivisa, celebrata e annunciata con i «pagani, i peccatori e gli stranieri» che Dio ha abbracciato con la nascita di Gesù e la fede della notte di Natale, aggiunge Francesco, cambia la prospettiva della nostra vita perché «ci spinge a dare spazio a una nuova immaginazione sociale, a non avere paura di sperimentare nuove forme di relazione in cui nessuno debba sentire che in questa terra non ha un posto. Natale», spiega Francesco, «è tempo per trasformare la forza della paura in forza della carità̀, in forza per una nuova immaginazione della carità̀. La carità che non si abitua all’ingiustizia come fosse naturale, ma ha il coraggio, in mezzo a tensioni e conflitti, di farsi “casa del pane”, terra di ospitalità. Ce lo ricordava San Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo”».

Il Natale di Gesù non è, ricorda il Papa, solo un evento da celebrare e ricordare ma è una spinta per abbracciare con la carità ogni persona che ci è accanto: «Nel Bambino di Betlemme», afferma, «Dio ci viene incontro per renderci protagonisti della vita che ci circonda. Si offre perché lo prendiamo tra le braccia, perché lo solleviamo e lo abbracciamo. Perché in Lui non abbiamo paura di prendere tra le braccia, sollevare e abbracciare l’assetato, il forestiero, l’ignudo, il malato, il carcerato. Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo».

Francesco conclude con un auspicio che si fa preghiera: «Commossi dalla gioia del dono, piccolo Bambino di Betlemme, ti chiediamo che il tuo pianto ci svegli dalla nostra indifferenza, apra i nostri occhi davanti a chi soffre. La tua tenerezza risvegli la nostra sensibilità e ci faccia sentire invitati a riconoscerti in tutti coloro che arrivano nelle nostre città, nelle nostre storie, nelle nostre vite. La tua tenerezza rivoluzionaria ci persuada a sentirci invitati a farci carico della speranza e della tenerezza della nostra gente».

Al termine della celebrazione, il coro della Cappella Sistina intona l’Adeste fideles, il Papa prende tra le braccia la statua di Gesù Bambino e insieme ai bambini provenienti da vari Paesi del mondo si avvia verso il Presepe dove depone il Bambinello nella grotta.

Antonio Sanfrancesco

© www.famigliacristiana.it, domenica 24 dicembre 2017

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