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Migranti, Chiesa e certa «politica»: senza legge(re), senza capire

Monsignor Galantino ha ricordato all'Italia e all'Europa leggi e valori-guida. Ma certi media e certi politici non vogliono capire. Senza vergogna

Foto Lapresse

Ma qual è la scelta giusta nei confronti di coloro che chiedono aiuto e si presentano alle porte della Casa Europa? Qual è la risposta sensata davanti a questi uomini e donne d’Africa e d’Asia che per cercare asilo e futuro lontano da guerra e ingiustizia, in fuga da sete e fame, mettono a rischio la loro stessa vita e quella dei bambini che portano con sé o mandano soli per il mondo? Guardarli e riconoscerne il vero bisogno o sbattere loro le porte in faccia? Il bivio sembra secco. Sembra, ma così non è. E però è necessario partire da qui.

Prima risposta. «Accogliere tutti», come titolava "la Repubblica" di ieri con sintesi efficace ma eccessiva e perciò deformante, attribuendo al vescovo Nunzio Galantino una frase mai detta nel suo pur fervido rifiuto dell’ideologia dell’«hotspot» (cioè del lager in mare aperto per profughi gestito dall’Italia per conto di un’Europa che se ne lava le mani) e facendo scendere in guerra «la Cei contro il Viminale». Colle dove abita il ministro dell’Interno Angelino Alfano. Che, senza pensarci due volte, e informandosi solo con quelle due righe di titolo, ha replicato quasi per riflesso condizionato con una irriflessiva cannonata: «Lui è vescovo, io ministro: non possiamo accogliere tutti».

Sembra l’eco di un certo: «Ho giurato sulla Costituzione, non sul Vangelo». Ci deve proprio essere un virus che circola nei Palazzi della capitale... Un ministro che contrappone spericolatamente carità cristiana e regole civili può farlo solo se parla senza legge(re). Ovvero senza rendersi conto che la via indicata dal Vangelo incrocia quella laicamente tracciata dalla Costituzione all’articolo 10. Ovvero senza ascoltare e capire ciò che Galantino in realtà aveva detto, richiamando con lucida passione e nessuna impropria intimazione: ragionevoli princìpi umanitari, il dovere di una fattiva solidarietà intereuropea, una rinnovata richiesta di stabili «corridoi umanitari» (simili a quelli promossi "dal basso" da iniziative ecumeniche cattolico-evangeliche, sviluppati in raccordo col Governo italiano e supportati logisticamente da diverse diocesi), e infine una svolta fattiva e antidemagogica: smetterla di riempirsi la bocca con il famoso «aiutiamoli a casa loro» e cominciare davvero, perché si può fare come la Chiesa e tante Ong italiane dimostrano. Appunti utili anche per Alfano. Ci pensi, e ci ripensi.

Seconda risposta. «Non c’è posto per tutti». Comincia proprio dove si sono fermate le parole del ministro. Ed è risuonata nella sentenza emessa sempre ieri, di buon mattino, dal giornale del potente gruppo industriale Angelucci, per la penna del direttore Vittorio Feltri. Nell’editoriale di "Libero" si riprende, in sostanza, e si aggiorna lo slogan del vecchio e sempre attivo "partito" del «reato di clandestinità» e dei «respingimenti ciechi» nel Canale di Sicilia. Lo sforzo è quello di legittimare il titolo principale che osa accollare «a chi predica l’accoglienza» una vera strage: «In dieci anni 25mila morti». Il paradosso feroce serve per proiettare in pagina una soluzione altrettanto feroce: smetterla di soccorrere chi rischia di affogare, così i poveracci che vengono a importunarci si scoraggiano e gli altri Paesi della Ue si svegliano... Gli italiani, in altre parole, per dirla con papa Francesco, dovrebbero cominciare a balconear: mettersi al balcone del Mediterraneo, a braccia conserte, versare magari qualche lacrimuccia, e sentirsi finalmente in pace con se stessi: è l’accoglienza che uccide, mica l’indifferenza! Un sofismo incredibile, greve e infinitamente triste.

Che guarda caso riecheggia gli argomenti demagogici cari al gran capo leghista, Matteo Salvini. Che però si ferma un passo prima di Feltri limitandosi (si fa per dire) ad accusare di essere «complice degli scafisti» chi – come il segretario generale della Cei – spiega l’errore umano, legale e politico di impostare una gestione truce, carceraria e respingente di persone "colpevoli" di esser state costrette a lasciare casa e patria e di ritrovarsi nella condizione di richiedenti asilo.

La verità è che Galantino ha ricordato all’Italia e alle altre nazioni europee leggi e valori-guida che esse stesse si sono liberamente dati e le responsabilità, anche molto gravi, che portano. Lo ha fatto alla scuola di papa Francesco, confermando l’impegno delle comunità cristiane. Impegno incoraggiato dall’esempio del cardinale Bagnasco, presidente della Cei, che ha aperto le porte del seminario di Genova a decine e decine di richiedenti asilo e dall’abbraccio di carità e di pace del vescovo Suetta e del parroco Francesco che a Ventimiglia hanno spezzato lo schema dello scontro "di frontiera".

Tutto ciò è possibile se si sta "in ascolto" della realtà e non di idee astratte e sospettose sugli uomini e sulle donne migranti e su noi stessi. Bisogna saper accogliere civilmente, secondo giuste regole e fare tutto ciò che è necessario perché milioni di persone non siano ancora costrette a implorare di essere accolte. Bisogna cioè «fermare», come la scorsa estate un ragazzo siriano gridò dentro a un microfono tv, la guerra che potenze d’Occidente e d’Oriente alimentano nel Siraq come in Africa. E che certi media e certi politici continuano con parole mediocri e ciniche. Senza legge(re), senza capire, senza vergogna.

Marco Tarquinio

© Avvenire, 2 giugno 2016

 

L'intervista

Galantino: sì ai salvataggi, no hotspot in mare

Foto Lapresse

Il ministero dell’Interno aprirà presto due nuovi hotspot in Sicilia, a Mineo e Messina (ma il sindaco Renato Accorinti si dice «totalmente contrario») per aumentare i posti da 1.600 a 2.800. E attiverà 6 strutture mobili a Cagliari, Reggio Calabria e in altre 4 località, pronte a intervenire nei porti di sbarco dei migranti. Altri hotspot di "secondo livello" potrebbero essere aperti per i migranti da rimpatriare. Interventi che, secondo quanto si è appreso, il Viminale sta definendo in una lettera che, forse già oggi, verrà inviata alla Commissione Europea. Alla missiva lavorano gli uffici del capo della Polizia Franco Gabrielli e del capo dipartimento Immigrazione e libertà civili del ministero, il prefetto Mario Morcone, in risposta ai rilievi sollevati in un’analoga lettera inviata venerdì da Matthias Ruete, capo della direzione generale Affari interni della Commissione. In cambio, alle istituzioni europee l’Italia chiede di accelerare sui rimpatri e sulle relocation dei rifugiati, ferme a un anno dall’approvazione all’1% della cifra promessa (per l’Italia, finora 718 ricollocamenti su 39.600 previsti in due anni).

Da Bruxelles, il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker si dice «aperto a discutere le proposte del mio buon amico Renzi»: «non sono contrario» agli hotspot navali, ha detto, ma «ci sono questioni legali da prendere in esame». Sul punto, la lettera italiana conterrà alcuni "chiarimenti tecnici" sulle modalità di accoglienza a bordo e sul quadro legale. Il governo starebbe pensando a una sperimentazione con l’invio di una nave, in collaborazione con Frontex: dopo aver fatto la selezione, cercando di individuare chi ha diritto a chiedere asilo, si punterebbe a passare agli hotspot di secondo livello.
Meccanismo complicato, se si considera che il primo vaglio dovrebbe avvenire in alto mare, nei confronti di persone che fuggono da conflitti o situazioni di crisi, fiaccate e traumatizzate dai pericoli della traversata.

Lo ha fatto notare, in un’intervista a la Repubblica il segretario della Cei, monsignor Nunzio Galantino, definendo le migliaia di morti nei naufragi «uno schiaffo alla democrazia europea» e gli hotspot «una riedizione in brutta copia dei luoghi di trattenimento di persone. Le organizzazioni internazionali a tutela dei diritti umani, come anche la Fondazione Migrantes e la Caritas Italiana, hanno già ricordato che i migranti salvati in mare hanno il diritto, sulla base di una storia personale e non di una lista di cosiddetti "Paesi sicuri", di presentare domanda d’asilo e al ricorso se una domanda non venisse accolta. Sulle navi, questo percorso di protezione internazionale non è possibile». Non è pensabile, ha argomentato il vescovo, «l’utilizzo di navi destinate al soccorso per far stazionare nel Mediterraneo migliaia di persone in attesa di una non precisata destinazione. A meno che le si voglia riportare nei porti della Libia e dell’Egitto, condannandole a nuove forme di sfruttamento».

Osservazioni che collimano con le perplessità «di natura legale» di Bruxelles, ma alle quali il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha replicato: «Noi siamo campioni del mondo di umanità e di accoglienza. Capisco le parole di monsignor Galantino, che fa il vescovo, io però faccio il ministro dell’Interno e ho il dovere di far rispettare le leggi: abbiamo un grande cuore, ma non possiamo accogliere tutti».

Con le amministrative ormai alle porte, nel dibattito è entrato, cavalcando con i suoi toni abituali uno dei temi elettorali prediletti dal suo partito, il segretario della Lega Nord Matteo Salvini, che ha attaccato monsignor Galantino: «Chi parla così è complice degli scafisti e nemico degli italiani e dei rifugiati veri. Mi auguro che ora rettifichi o chieda scusa». Per Salvini, «la quota di immigrati che l’Italia può accogliere in questo momento è zero. Non deve più partire un solo gommone, più ne partono, più ne muoiono in mare».

Vincenzo R. Spagnolo

© Avvenire, 1 giugno 2016

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