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Miracoli eucaristici

Memoria e devozione. Nelle «città del pane» l'Italia rivive la storia di fede del popolo cristiano

lanciano-s.francesco-miracolo eucaristico-15.8.6 - 23.JPGDall’antica acropoli di Alatri la Cattedrale di San Paolo guarda la cittadina laziale. Per raggiungere i cancelli d’ingresso occorre percorrere una scalinata che invita ad alzare lo sguardo. Quasi un richiamo a quell’«ostia incarnata» che il Duomo conserva in una teca di vetro e che spicca sopra un altare della navata di destra. La chiamano «porziuncola» e gli affreschi raccontano il prodigio di cui è stata protagonista. È il 1228 quando una giovane, sotto l’influenza di una «donna malvagia», compie il furto della particola e la avvolge in un panno. L’ostia resta lì per tre giorni e diventa carne. Con questa «forma» continua a mostrarsi oggi all’interno della cappella costruita nel 1997.

Un «segno» passato alla storia come uno dei miracoli eucaristici che puntellano da milletrecento anni l’Italia. Papa Gregorio IX li definisce nel mandatum che descrive i fatti di Alatri «eventi straordinari» che vogliono «risaldare la fede nella verità della Chiesa cattolica», «ravvivare la sapienza» e «riaccendere la carità». Parole che possono essere associate a tutti gli interventi divini che rimandano al «farmaco d’immortalità» innalzato sull’altare e che hanno fatto dei luoghi in cui sono avvenuti autentiche «città del Pane».

La tradizione ci consegna miracoli legati a profanazioni delle specie eucaristiche oppure a paesi in pericolo che trovano nel Santissimo Sacramento il loro viatico. Ma il prodigio può trasformarsi anche nel sigillo per confermare la presenza reale di Cristo nel pane e nel vino consacrati. È quanto accade a Lanciano, la cittadina abruzzese del più antico miracolo eucaristico della Penisola. Risale all’VIII secolo e si verifica di fronte a un religioso assalito da forti dubbi. L’ostia e il vino che oggi sono esposti in un ostensorio d’argento e in un calice di cristallo sono davvero carne e sangue, ha stabilito uno studio scientifico del 1971. E i luminari non sono riusciti a spiegare come il «tessuto vivente» possa essere rimasto immutato.

Anche a Bolsena la fede vacillante di un sacerdote è all’origine dell’evento del 1263 di cui restano tracce nell’altare e nelle quattro «pietre sacre» col sangue sgorgato dall’ostia dentro la Basilica di Santa Cristina, e nella particola e nel «santissimo corporale» intorno ai quali è sorto il Duomo di Orvieto. L’anno successivo san Tommaso d’Aquino chiamerà l’Eucaristia il «Pane degli angeli» nell’inno per la solennità del Corpus Domini che Urbano IV, il Papa che per primo si inginocchia davanti alle reliquie di Bolsena, estende a tutta la Chiesa.

Il vento dell’errore accompagna, poi, i miracoli di Rimini dove nel 1225 sant’Antonio da Padova fa genuflettere un asino di fronte all’ostia per convertire un eretico, di Macerata che accoglie nella Cattedrale il lino striato di sangue nel 1356 per le perplessità di un prete e di Trani che nel Mille vede una donna pugliese friggere un’ostia che nella padella inizia a spargere sangue senza cuocersi.

La geografia «eucaristica» della Penisola è segnata anche dai sacrilegi che vengono «sanati» dall’azione celeste. Così a Torino una lapide nella Basilica del Corpus Domini ripercorre il furto di un’ostia che nel 1453 si solleva dalla sacca del mulo «che trasportava il Corpo divino». Oppure a Siena sono oggetto di una viva devozione dal 1730 le oltre trecento ostie rubate alla vigilia dell’Assunta nella Basilica di San Francesco e ritrovate intatte fra la sporcizia di una cassetta dell’elemosina. E ancora. A Napoli il prodigio delle ostie trafugate nel 1772 e rivenute sotto il letame in un terreno indicato da luci «simili a stelle» è stato celebrato da sant’Alfonso Maria de’ Liguori come «gloria del Santissimo Sacramento» ed è ricordato nel Santuario eucaristico diocesano di San Pietro a Patierno. Invece, a Mogoro, in Sardegna, è stata collocata nel nuovo altare della chiesa di San Bernardino la «pietra del miracolo» dove si possono leggere le impronte lasciate dalle ostie sputate da due uomini dalla «vita licenziosa».

Se con l’Eucaristia il domani di Dio si cala nel presente, i prodigi del Sacramento dell’altare si intrecciano col quotidiano delle comunità. A Gruaro, nel Triveneto, un’ostia intrappolata nella stoffa dell’altare rilascia sangue nel 1294 come attesta la «sacra tovaglia» ospitata nel Duomo di Valvasone; a Canosio e Dronero, in Piemonte, il Pane spezzato ferma la pioggia e spegne un incendio nel Seicento; a Firenze, nel 1595, il fuoco non intacca le particole nella chiesa di Sant’Ambrogio dove, tre secoli prima, in un calice era stato trovato «sangue incarnato»; a Morrovalle, nelle Marche, un rogo di sette ore risparmia nel 1560 l’ostia dentro una pisside; ad Assisi, nel 1240, la preghiera di Chiara sul «Corpo del santo dei santi» allontana i saraceni dalla città; e a Cava de’ Tirreni, nel Salernitano, la peste del 1656 cessa dopo una processione col Santissimo Sacramento.

Intorno al «vero Pane» si sono manifestati inoltre gli angeli (come a Veroli, nel Frusinate, nel 1570) oppure è comparso il volto di Cristo (come nel santuario francescano della Verna, in provincia di Arezzo, alla fine del 1200 oppure a Ferrara dove nel 1172 l’ostia che versa sangue assume i lineamenti del Bambino). «Non c’è nulla di magico nel cristianesimo», ha detto Benedetto XVI nell’omelia per il Corpus Domini di quest’anno. E anche i miracoli eucaristici rientrano in quella «logica della fede» che può spostare le montagne e cambiare i cuori con «la forza mite di Dio».

Giacomo Gambassi

© Avvenire, 3 settembre 2011

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