Non come vecchi Pilato
L’incidente è chiuso, bisogna andare avanti. Un apologo amaro, che tuttavia si presta a due interpretazioni diverse e contrapposte. La prima (sostenuta fra gli altri da Leonardo Sciascia, che del racconto di France fu insuperato traduttore) vede in Pilato il campione dello scetticiscmo moderno, l’uomo che con la sua smemoratezza rende possibile la tolleranza, intesa qui come radicale indifferenza davanti al mistero.
Il procuratore della Giudea, del resto, porta la data del 1902, quando il positivismo ottocentesco non ha ancora ceduto il passo ai furori del XX secolo, che con la sua vicenda di genocidi e totalitarismi costituisce la migliore dimostrazione di come il dubbio, da solo, non riesca neppure a salvare se stesso. Ma c’è un’altra e più sottile chiave di lettura, che chiama in causa la particolare intonazione ironica talvolta riconoscibile negli insegnamenti di Gesù. L’anziano procuratore si sente al sicuro nel suo esibito oblio e pertanto non si accorge delle crepe che cominciano ad attraversare l’Impero da lui servito e custodito per tutta la vita.
Pilato è il mondo di ieri, destinato a trovare una forma di sopravvivenza e addirittura di riscatto solo nel mondo nuovo che sta nascendo dal sacrificio del Crocifisso. È la dinamica che, qualche decennio più tardi, Michail Bulgakov renderà evidente nella partitura de Il Maestro e Margherita: il Calvario è la sconfitta di Pilato, non di Cristo, perché la vittima è sempre più forte del suo carnefice. Se così non fosse, non si potrebbe annunciare con tanta certezza che Gesù è nostro contemporaneo e che lo è da sempre, da quando il nostro presente è iniziato, duemila anni fa, nella grotta di Betlemme.
Affollato e partecipato a dispetto del gelo sferzante, l’evento internazionale sulla contemporaneità di Cristo che si chiude questa mattina all’Auditorium Conciliazione di Roma pone ciascuno di noi nella condizione di Pilato, lasciandoci però la libertà di scegliere: vogliamo accontentarci di una memoria sempre più labile o preferiamo reagire, recuperando la pienezza rivelata dall’Incarnazione? Come era già accaduto nel dicembre del 2009, quando nella stessa sede il Comitato per il Progetto culturale della Cei aveva promosso un’importante riflessione su 'Dio oggi', nei tre giorni del dibattito romano si sono intrecciate competenze e sensibilità differenti, dalla teologia alla letteratura, dalla ricerca artistica all’indagine storica, lasciando spazio ad approfondimenti sul rapporto che Gesù ha intrattenuto e intrattiene con i bisogni dei poveri e con l’universo femminile, con l’inquietudine dei giovani e con il grido dei sofferenti. Sullo sfondo – ma più volte richiamata in modo esplicito dai relatori – sta l’impresa del magnifico Gesù di Nazaret in cui Benedetto XVI ha voluto distillare anni di studio appassionato, ribadendo una volta di più il carattere radicalmente cristologico di un Pontificato che, come mai era accaduto in precedenza, è chiamato a confrontarsi con una cultura da troppo tempo intenta a corteggiare le chimere di un presente fatuo, 'liquido' e smemorato.
In tutto questo, Gesù continua a essere più di un ricordo. È presenza e prossimità, tenerezza e bellezza.
L’uomo di oggi potrebbe ancora intestardirsi di farne a meno, ma così non dimenticherebbe Dio: dimenticherebbe se stesso, dimenticherebbe il segreto originario della propria umanità.
Come il Pilato di France, che si volta dall’altra parte mentre la Storia si sta rimettendo in cammino.