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Oggi il Papa pellegrino alla Porziuncola

La visita alla «porta del cielo» per gli 800 anni del Perdono. L'arcivescovo Sorrentino: qui già un inizio di Paradiso

La visita di Francesco alla Porziuncola il 4 ottobre 2013

Vive nel palazzo vescovile dove il giovane Francesco, sotto gli occhi del vescovo Guido, si spogliò di tutto per conformarsi a Cristo. E, quando nel luogo che commemora l’evento – la Sala della Spoliazione – l’arcivescovo Domenico Sorrentino alza lo sguardo, si trova di fronte l’immagine della Porziuncola che viene consegnata dai benedettini al Poverello. Al centro della sala compare poi il Perdono di Assisi con il volto radioso del santo mentre implora l’indulgenza dal Signore per intercessione della Vergine. «Mi pare di scorgere un filo fra le diverse scene – spiega il vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino –. Francesco che ha perduto la sua casa terrena, famiglia ed eredità, riceve dall’alto una nuova casa dove plasma la sua nuova famiglia. Lui che ha gettato al vento i tesori del padre Pietro di Bernardone, distribuisce a piene mani col perdono i “tesori” della misericordia».

Sorrentino sarà oggi accanto a papa Francesco che nel pomeriggio si farà pellegrino alla Porziuncola come le decine di migliaia di persone che fra lunedì e martedì, festa del Perdono di Assisi, sono entrate nella chiesetta all’interno della Basilica di Santa Maria degli Angeli in cui da ottocento anni è possibile ottenere l’indulgenza plenaria concessa a san Francesco da papa Onorio III nel 1216. «La grazia che il Poverello stesso aveva chiesto al Redentore – afferma l’arcivescovo – passava attraverso la mediazione “ufficiale” della Chiesa. Ora un altro Papa, che ha preso lo stesso nome del nostro santo, viene alla Porziuncola. La minuscola chiesa tanto cara a Francesco dilata il suo respiro. Mostra il suo volto universale. E con il dono dell’indulgenza aiuta anche a capire il servizio che il successore di Pietro è chiamato a rendere all’unità e alla santità della Chiesa».

È davvero un giubileo nel Giubileo quello che si tocca con mano nella “piccola porzione di terra” (questo vuol dire Porziuncola): infatti la Provvidenza ha voluto che l’ottavo centenario del Perdono di Assisi coincidesse con l’Anno Santo della misericordia. “Voglio mandarvi tutti in Paradiso”, gridò il Poverello al popolo di Assisi quando annunciò lo straordina- rio privilegio. Sorrentino ama definire la Porziuncola una «porta del cielo». «Francesco – sottolinea – era convinto che con l’indulgenza si potesse avere più facilmente accesso al cielo. L’indulgenza è perdono sovrabbondante che brucia i residui che la colpa lascia nell’uomo anche dopo che è stata perdonata. La teologia parla di “pene temporali”. Residui che devono essere purificati, sulla terra o nell’aldilà. Sono convinto che Francesco non si riferisse solo al Paradiso da raggiungere dopo la morte. C’è un inizio di Paradiso già su questa terra, quando l’uomo vive in grazia di Dio. Francesco aveva questo Paradiso nel cuore e desiderava comunicarlo». E l’indulgenza – bussola del singolare “santuario” della misericordia in terra umbra – parla anche all’uomo di oggi. «Storicamente ci sono state “turbolenze” di vario tipo – ricorda l’arcivescovo –. Non sono mancati abusi che ne svilirono il senso. Ma, se si va al senso profondo di questa prassi, se ne scoprono l’importanza e l’attualità. Dio vuole riconquistare totalmente i suoi figli non solo riaprendo i battenti di casa, come nella parabola del Figliuol Prodigo, ma anche sanando le ferite che il peccato ha prodotto nella vita. Si tratta di un processo laborioso nel quale la grazia chiama in causa la nostra responsabilità. L’indulgenza non è uno sconto sull’impegno. Piuttosto ci ottiene la forza speciale per questo impegno».

Agli ottocento anni del sorprendente “beneficio” Sorrentino dedica la sua ultima Lettera pastorale intitolata Perdono di Assisi, cammino di Chiesa. Il testo indirizzato non solo ai fedeli della diocesi ma anche ai pellegrini assetati di riconciliazione che arrivano in città contiene un richiamo alla solidarietà. «Francesco – osserva il pastore – chiese al Papa l’indulgenza della Porziuncola soprattutto a vantaggio di semplici e umili che non potevano permettersi di ricevere questo dono facendo, come allora veniva richiesto, lunghi e costosi pellegrinaggi. Qui il santo esprime sia il senso della povertà, che brilla nei lineamenti semplici della cappellina, sia l’amore ai poveri. Ci insegna così che la misericordia non può chiudersi nel nostro cuore. Al contrario deve diffondersi. È la misericordia che ci fa misericordiosi. E nella Porziuncola si impara a farsi carico delle miserie degli altri. Per questo la misericordia diventa progetto di un mondo più giusto e fraterno».

Gli storici – e la mostra allestita a Santa Maria degli Angeli per la ricorrenza – discutono sulla mancanza della “carta”, della Bolla che attesta la decisione di Onorio III. «Francesco non aveva voluto dal Papa un documento. Gli era bastata la parola. Ma le cattive voci, partendo da questa anomalia, avevano insinuato il sospetto dell’infondatezza dell’indulgenza. Toccò al vescovo Teobaldo nel 1310 garantirne il fondamento storico». E di Teobaldo l’arcivescovo Sorrentino è il successore. Per la Famiglia francescana la Porziuncola è mater et caput (madre e capo) dell’Ordine. «Francesco riteneva questo luogo particolarmente santo – conclude il presule –. Le pietre parlano di un Dio che si è fatto vicino e hanno il calore di un grembo materno: ti fanno sentire l’intercessione di Maria. Tanti santi sono passati in questa cappellina. Generazioni di fedeli si sono messi sulla scia di Francesco. Quella che il Simbolo degli Apostoli chiama “comunione dei santi” ha in questo luogo povero una sorta di “concentrazione”. Non mi sorprende che il popolo di Dio, col suo “fiuto” spirituale, avverta tutto ciò come un flusso di grazia».

Giacomo Gambassi

© Avvenire, 4 agosto 2016

 

La Porziuncola: storia e tradizione

Il sogno di una Terra Santa «serafica» in Umbria

La celebre indulgenza plenaria di Santa Maria degli Angeli in Assisi, o della Porziuncola – il piccolo oratorio caro a Francesco che oggi è inglobato nell’immensa basilica barocca sotto quella che Giosué Carducci chiamò «la cupola bella del Vignola» –, è molto cara alla devozione popolare ma vanta una tradizione storico- filologica tra le più tormentate: e la recente mostra Il Perdono d’Assisi. Storia, agiografia ed erudizione destinata a celebrarne l’ottavo centenario ne dà conto – come testimonia il catalogo curato da Stefano Brufani (Spoleto, Medioevo Francescano, 2016) – con pacata, spietata acribìa storica e filologica.

In effetti, la tradizione secondo la quale nel 1216 papa Onorio III avrebbe concesso a Francesco un’allora inusitata indulgenza plenaria – l’unico esempio di questo tipo ad essa precedente è la celebre indulgenza per l’Iter hierosolymitanum, la Crociata che risalirebbe al 1095 ma che i Pontefici successivi hanno regolarmente confermato – non risulta attestata da alcun documento coevo. Tra 1279 e 1285 il teologo provenzale Pietro di Giovanni Olivi dedicava al tema un’attenta quaestio nella quale ammetteva che, al riguardo, sussisteva una straordinaria incertezza all’interno dell’Ordine e che molti Frati Minori non esitavano ad affermare che non esisteva alcun privilegio confortato da bulla pontificia che ne assicurasse l’autenticità.

Ma Pietro di Giovanni era una presenza assai “chiacchierata” nell’Ordine a causa delle sue posizioni teologiche. Alcuni decenni più tardi il cronista francescano Francesco Venimbeni da Fabriano, che sarebbe scomparso nel 1322, non esitava nelle sue memorie a parlare del 1216 come data sicura della concessione. La que- stione si trascinò comunque per i successivi sei secoli: e in occasione del VII centenario, nel 1916, padre Egidio Maria Giusto non poteva tacere – proprio nella prima nota dell’articolo che apriva la rivista L’Oriente serafico – che annalisti ed eruditi, francescani e no, erano straordinariamente discordi quanto alla data d’avvio della tradizione.

Comunque fosse, la memoria minoritica del documento è affidata alla summa di Francesco di Bartolo d’Assisi: da lì. Attraverso compendi, versioni anche in idioma volgare e manifesti vari si giunse al Liber e all’edizione a stampa, uscita nel 1470 a Trevi e prima opera minoritica mai uscita dai torchi messi a punto dal grande Gutenberg. Sul Perdono si continuò peraltro a discutere, alimentando l’ampio contenzioso esistente tra i Minori di Santa Maria degli Angeli e i Conventuali del Sacro Convento.

Certo, un problema di fondo sul piano storico si pone subito. Onorio III era succeduto a Innocenzo III, che nel 1215 con il Concilio Lateranense IV si era fatto araldo e garante di una Crociata che ormai – problematicamente riuscita nel 1099 e quindi sempre fallita, ben tre volte di seguito nell’arco di poco più di un secolo, sotto la guida dei principi secolari – si configurava come una delle principali causae della Chiesa, insieme con quella (eterna?) della sua reformatio. Per Innocenzo, l’Iter hierosolymitanum aveva un vero e proprio valore “pasquale” – e se n’era ricordato appunto nel suo sermone di apertura del Concilio –, il senso di un nuovo Esodo: la riconquista della Terran Santa, ormai da quasi trent’anni ricaduta nelle mani degli infedeli, avrebbe aperto nella storia della cristianità un’era nuova alla quale il Pontefice assegnava un autentico valore escatologico.

Vero è che Innocenzo era sceso nel sepolcro pochi mesi dopo aver pronunziato quel sermone: ma la memoria della Chiesa intera era satura del suo magistero, che Onorio III s’impegnava a proseguire. E difatti una nuova Crociata, agli ordini del legato apostolico cardinal Pelagio Galvani, si sarebbe mossa non troppi mesi più tardi per raggiungere il delta del Nilo, secondo una scelta tattico- strategica ch’era parsa geniale (si pensava che il sultano ayyubide al-Malik al-Kamil, che governava l’Egitto e custodiva Gerusalemme, avrebbe volentieri ceduto la Città Santa ai cristiani pur di non compromettere i ricchi affari dei porti nilotici). Com’è noto, a quella Crociata prese parte anche Francesco, i cui fratelli si trovavano già in Terra Santa.

Ma, proprio per questo motivo, è verosimile e credibile che Onorio concedesse appunto alla vigilia della partenza di un nuovo esercito crociato un’indulgenza simile a quella che, dal punto di vista religioso, costituiva la principale ragione di partecipazione all’impresa, ma diversa e alternativa nello scopo? Si può concepire che, mentre la Chiesa chiamava alle armi, essa accordasse un simile vantaggio spirituale a chi avesse compiuto un pellegrinaggio a non troppe decine di miglia da Roma, nella bella valle spoletina?

Tuttavia, post eventum, collegare l’indulgenza della Porziuncola a quegli anni, e proprio a Francesco alla vigilia di partire per l’Oriente, poteva sembrare un’occasione troppo affascinante. E spiritualmente troppo significativa. Era in gioco l’affermazione di Assisi come Terra Sancta seraphica, la translatio della sacralità da Gerusalemme ai luoghi nei quali l’alter Christus aveva vissuto la sua Passione. Il Liber di Francesco di Bartolo, l’inventio dell’Indulgenza rientrano in questa strategia legittimatrice. Forse la storia parla un linguaggio un po’ diverso rispetto alla tradizione. Forse non è né giusto né opportuno né possibile mettere a tacere l’autorevole ancorché scomoda voce di Pietro di Giovanni Olivi.

Fin qui la storia documentaria. Che ha le sue ragioni e che nessuno può permettersi di ignorare. D’altronde la tradizione, come è stato spesso dimostrato, conosce a sua volta strade difficili e pur esse stesse praticabili verso la verità. Teniamoci stretti all’una e all’altra: confidiamo nella ragione e nella scienza, rispettiamo e approfondiamo la tradizione.

Franco Cardini

© Avvenire, 4 agosto 2016

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