Opere di misericordia e non parole per riformare la Chiesa

In tre atti che restano miliari, tutti da meditare  ancora per lo  spessore, l’introspezione e la  profondità che hanno espresso, papa  Francesco  ha sviscerato nel giorno centrale del Giubileo dei  preti –  giovedì scorso – tutto il senso della misericordia. Nel succo di questo  senso, tutto da meditare non solo per i preti, c’è anche questa  considerazione: «L’amore va posto più nelle opere che nelle parole».   Quali opere? «Quelle che il Padre 'ha preparato perché in esse  camminassimo' ( Ef 2,10), quelle che lo Spirito ispira a ciascuno per il bene comune (cfr 1  Cor 12,7)».  Perciò si deve desiderare e chiedere – ha detto Francesco –  anche uno sguardo che impari a discernere i segni dei tempi nella  prospettiva di quali opere di misericordia sono necessarie oggi per la  gente, «per poter sentire e gustare il Dio della storia che cammina in  mezzo a noi» e perché «nelle nostre opere il nostro popolo sa che  comprendiamo il suo dolore». Quindi, senza ipocrisia, «ora si tratta di  'agire', e non solo di compiere gesti ma di fare opere, di  istituzionalizzare, di creare una cultura della misericordia, che non è  lo stesso di una cultura della beneficenza». E ha spiegato: «Non è  questione che Dio mi usi misericordia in qualche mancanza, come se nel  resto io fossi autosufficiente, o che ogni tanto io compia qualche atto  particolare di misericordia verso un bisognoso. La grazia che chiediamo è  quella di lasciarci usare misericordia da Dio in tutti gli aspetti  della nostra vita e di essere misericordiosi con gli altri in tutto il  nostro agire. Essere misericordioso non è solo  un modo di essere, ma  il modo di essere». 
Se dunque la misericordia «è  il modo di essere», non  un’idea, né un vago sentimento della nostra fede  che galleggia a mezz’aria senza trovare quella concretezza necessaria in  cui esprimersi e realizzarsi, la carità non si dice, ma si fa. E  facendola la si riceve. Da qui la tradizione spirituale e catechistica  che vede nelle opere di misericordia corporale e spirituale la via per  esprimere e praticare l’amore che sa comprendere la miseria dell’uomo e  contribuisce al suo riscatto. Opere che nel loro insieme sono infinite,  perché l’oggetto della misericordia è la vita umana nella sua totalità,  nei suoi bisogni in quanto carne e in quanto spirito. E non v’è dubbio  che se queste fossero praticate nel loro insieme cambierebbero la  società. Sono del resto lo specchio della famosa «Regola d’oro» del fare  agli altri quello che vorresti fatto a te. Sono la forza propulsiva per  una prassi che ha conseguenze incisive in una strutturazione umanamente  degna e giusta dell’ordine sociale-politico che permetta di vivere come  esseri umani e non come bestie. Basta pensare all’opera di misericordia  corporale di accogliere lo straniero, nel contesto attuale della  questione delle migrazioni, o alla richiesta di visitare malati, che può  essere messa in relazione con l’attuale economicizzazione e conseguente  anonimizzazione del sistema sanitario. 
E non v’è neppure dubbio che in esse si gioca anche la stessa credibilità della Chiesa. San Tommaso d’Aquino le chiama  summa religionis christianae. Perché sono il segno di un’unione indissolubile, che è quintessenza,  somma e compendio dell’esistenza cristiana: l’amore di Dio e l’amore del  prossimo. Quindi seguirle è de facto la riforma stessa della  Chiesa. Perché prima di tutto esprimono la riforma operata dalla  misericordia in noi stessi. «Siate misericordiosi come è misericordioso  il Padre vostro» è perciò l’imperativo evangelico che per Francesco si è  fatto pontificato, già prima della sua elezione. E già prima  dell’indizione dell’anno giubilare della misericordia se n’è fatto segno  e strumento. Partendo dagli ultimi, guardando cioè in particolare ai  bisogni concreti dei poveri e dei sofferenti, che sono i prediletti del  Vangelo, nei quali si fa incontro Cristo stesso. Tra le tante attenzioni  nei confronti dei poveri, compresa quella di aprire loro le porte della  Cappella Sistina, come Vescovo di Roma ha fatto realizzare le docce per  i clochard, i pellegrini mendicanti e i senza tetto sotto il Colonnato  del Bernini in San Pietro e ha completato il progetto di aumentare  quest’opera – attraverso le parrocchie romane che vi hanno aderito –  anche con la disponibilità di un servizio  ad hoc per la loro  cura. Così è anche per l’aiuto offerto – tramite l’Elemosinerìa  apostolica – a numerose famiglie disagiate, insolventi e a rischio  sfratto a pagare le bollette. Così è per i 50mila euro che ha fatto  donare al Centro Astalli per il pagamento delle spese di rilascio dei  documenti necessari ai richiedenti asilo. Ma è solo qualche esempio di  molta altra carità operosa e discreta. 
A  questa cultura della misericordia, che non si limita  all’aiuto  materiale ma tutto comprende, si affiancano gesti che lo vedono agire in  prima persona, secondo il 'fuori orario' di un calendario riformato dal  paradigma dell’amore, inteso proprio come l’unum necessarium. Così, proprio sul tracciato delle opere di misericordia, alla vigilia  dell’apertura della Porta Santa in San Pietro, Francesco aveva  annunciato che ogni venerdì del mese avrebbe anche compiuto un gesto  diverso. Il 18 dicembre 2015 è infatti andato dritto all’Ostello della  Caritas 'Don Luigi Di Liegro' presso la Stazione Termini di Roma dove ha  aperto la Porta Santa della Carità. E a coloro che si proclamano  cristiani in quell’occasione ha voluto ribadire in termini molto  semplici che «Gesù, quando ci predica la vita, ci dice come sarà il  giudizio nostro. Non dirà: tu vieni con me perché hai fatto tante belle  offerte alla Chiesa, tu sei un benefattore della Chiesa, vieni in cielo.  No. L’entrata in cielo non si paga con i soldi. Non dirà: tu sei molto  importante, hai avuto tante onorificenze, vieni. No. Cosa ci dirà Gesù  per aprirci la porta del cielo? 'Ero affamato e mi hai dato da mangiare;  ero senzatetto e mi hai dato una casa; ero ammalato e sei venuto a  trovarmi; ero in carcere e sei venuto a trovarmi'». 
E ha  aggiunto, tanto   per essere ancora più   chiari: «Nell’aprire questa    Porta Santa, io vorrei che lo   Spirito Santo aprisse il   cuore di  tutti e facesse loro   vedere qual è la strada della   salvezza! Non è  la strada   delle ricchezze, non è la   strada del potere. È la   strada  dell’umiltà. E i più   poveri, gli ammalati, i   carcerati – Gesù dice  di più   – ci precederanno in cielo.    Loro hanno la chiave. Colui    che compie opere di carità   è colui che si lascia abbracciare dalla  misericordia del Signore». Da qui non una cultura della beneficenza ma  lo stile di vita di una cultura della misericordia che rende testimoni  credibili. 
Da venerdì 15 gennaio  2016 «i  venerdì delle opere di misericordia» sono quindi entrati nella pratica a  pieno ritmo, con la visita a sorpresa a una casa di riposo per anziani  nella periferia di Roma e in un   Centro di degenza per   malati  neurologici in stato   vegetativo davanti ai quali il   Papa si è  inginocchiato. A   un mese di distanza,   venerdì 16 febbraio, è stata    la volta di un’altra visita a   sorpresa alla Comunità San   Carlo, nei  pressi di   Castelgandolfo, sede del   Centro italiano di   solidarietà  fondato da don   Mario Picchi, sorto per   prevenire e contrastare    l’esclusione sociale e le tossicodipendenze. La comunità, con i 55  ospiti che stanno compiendo un percorso per uscire dalla dipendenza  dalle droghe, si è vista arrivare del tutto a sorpresa il Papa che  voleva trascorrere con loro il pomeriggio. Il 24 marzo è toccato al  Centro di accoglienza per immigrati e rifugiati di Castelnuovo di Porto,  a poca distanza da Roma. Nella cornice delle visite della misericordia  si include anche il viaggio del 16 aprile nell’isola greca di Lesbo per  incontrare i rifugiati del Moria refugee camp insieme ai patriarchi della Chiesa ortodossa. 
Il  13 maggio Francesco è invece uscito dal Vaticano per incontrare una  comunità che ospita persone con grave disabilità mentale, appartenente  alla grande famiglia dell’Arche fondata da Jean Vanier nel 1964 e  dedicata alle persone più deboli ed emarginate della società. Papa  Francesco è arrivato alle cinque del pomeriggio e si è seduto a tavola  per fare merenda con i 18 disabili e i volontari. Ha ascoltato le loro  semplici parole condividendone familiarmente le necessità.  Tutto questo  sono le opere della riforma dell’amore.  Sono opere che si offrono come  esempio vissuto «perché in esse camminassimo», mentre le future visite  rinnoveranno ancora, attraverso gli ultimi, la sorpresa dell’abbraccio  di Dio a Francesco. La prossima ha già una data: 18 giugno, al Collegio  Universitario Villa Nazaret.
Stefania Falasca
© Avvenire, 9 giugno 2016
 
            