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Papa Francesco: incontro tanto voluto con mio fratello Cirillo

Francesco è partito dall’aeroporto per il suo 12.mo viaggio apostolico. Prima tappa Cuba per lo storico incontro con il Patriarca ortodosso russo Kirill

«Un viaggio tanto voluto da me, da mio fratello Cirillo e dai messicani»
«Buongiorno - ha esordito Papa Francesco -. Vi ringrazio per la vostra presenza. Farete un viaggo impegnativo ma tanto voluto. Voluto da mio fratello Cirillo, da me e anche dai messicani».

Con queste parole Papa Francesco ha salutato gli oltre 70 giornalisti che volavano con lui verso Cuba e proseguiranno in serata, con lo stesso aereo Alitalia, alla volta di Città del Messico. È stato confermato che Papa Francesco nel 2017 sarà in Colombia per la firma degli accordi di pace tra governo e i ribelli delle Farc.

Ai giornalisti il Papa ha confidato in particolare la sua "voglia di pregare davanti alla Madonna di Guadalupe". E ha ricordato il miracolo dell'icona acherotipa della Vergine donata a Juan Diego, il più umile degli indii come testimonianza dell'apparizione. "Si studia, si studia ma non ci sono spiegazioni umane", ha osservato.

Il programma della giornata di Papa Francesco


"Questo è una cosa di Dio. Tanto che ci sono messicani che dicono: 'Sono ateo ma Guadalupano'", ha ricordato il Papa. A nome dei giornalisti, è toccato alla 'decana' Valentina Alzraki, inviata dell'emittente messicana che ha seguito nel 1979 il primo viaggio di Giovanni Paolo II e tutti i voli papali compiuti da allora, rispondere al saluto del Papa. Valentina gli ha anche donato un sombrero bianco ricordando di aver consegnato lo stesso oggetto anche a Wojtyla in quella prima visita e a Benedetto XVI nel viaggio in Messico del 2012.

Inoltre ha raccontato che il sombrero donato oggi ha una storia davvero curiosa: una famiglia messicana lo aveva portato a Cuba lo scorso settembre per regalarlo a Francesco durante la sua visita. E non riuscendo a consegnarlo alla Nunziatura dell'Avana, riconoscendo Valentina nella hall dell'hotel lo aveva affidato alla giornalista.

Gratitudine per l'organizzatore dei viaggi papali che va in pensione
Nel corso del volo da Roma all'Avana, Papa Francesco ha espresso pubblicamente gratitudine al dottor Alberto Gasbarri, organizzatore dei viaggi papali che lascia per ragioni di età.

"Vorrei dirvi - ha detto Bergoglio ai giornalisti - che è l'ultimo viaggio nel quale ci accompagna il dottor Gasbarri. Da 47 anni lavora in Vaticano, cioè è entrato quando aveva 3 o 4 anni. E da 37 anni si occupa dei viaggi papali". Il Pontefice ha anche presentato ai giornalisti il sacerdote colombiano della Segreteria di Stato che sostituirà Gasbarri nel delicato incarico.

"Lui - ha detto - sarà l'incaricato dei viaggi". Il Papa ha anche sottolineato con un modo di dire colombiano l'efficienza del sacerdote ("non è della pasta del quinto", ha detto) e ha aggiunto che è di buon auspicio la sua presenza nel volo di oggi verso Cuba, perché nell'Isola caraibica procedono speditamente le trattative tra il Governo di Bogotà e la guerriglia.

«Se non avessi fatto il lustrascarpe non avrei potuto ricevere la prima Comunione»
Laureato in medicina e specializzato in neurologia e oftalmologia, ma con un passato da lustrascarpe, Noel Diaz è un giornalista messicano che fa parte del gruppo di inviati che accompagna Papa Francesco. E quando - durante il volo tra Roma e Cuba - è stato il suo turno di salutare il Pontefice gli ha chiesto di poter lucidare le sue scarpe. Cosa che ha poi accennato a fare. Al Papa il giornalista ha spiegato che da bambino la sua famiglia era povera e se non avesse imparato ed esercitato il mestiere del lustrascarpe non avrebbe potuto comprarsi il vestito per la prima Comunione né dunque ricevere questo sacramento.

© Avvenire, 12 febbraio 2016

 

Papa in viaggio per Cuba e Messico

 

Il Papa a bordo dell'aereo che lo porta a L'Avana ha incontrato i giornalisti e indossato il sombrero

Francesco è partito dall’aeroporto romano di Fiumicino per il suo 12esimo viaggio apostolico. Prima tappa Cuba per lo storico incontro con il Patriarca ortodosso russo Kirill all’aeroporto dell’Avana. Sull'areo (decollato alle 8,24 e il cui arrivo a L'

Avana è previsto per le 20 ora italiana) il Pontefice ha incontrato i giornalisti e indossato il sombrero.

"Nel momento in cui lascio Roma per recarmi in Messico per sostenere la missione della Chiesa locale e portare un messaggio di speranza, mi è caro rivolgere a lei, signor Presidente, il mio deferente saluto, che accompagno con fervidi auspici per il benessere spirituale, civile e sociale del popolo italiano, cui invio volentieri la benedizione apostolica". È quanto scrive Papa Francesco nel telegramma di saluto inviato al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Messaggi di saluto vengono inviati dal Papa anche ai capi di Stato dei Paesi sorvolati, cioè Francia, Spagna, Portogallo, Stati Uniti e Isole Bahamas.

"In Messico guarderò gli occhi della Vergine Maria, la supplicherò di continuare a guardarci con misericordia. A Lei affido il mio viaggio" scrive il Papa in un tweet.

In seguito il Pontefice proseguirà per il Messico dove rimarrà fino al 17 febbraio, per poi rientrare in Vaticano il giorno successivo. Motto del viaggio, “Missionario di misericordia e di pace”.
Una dichiarazione comune suggellerà l’incontro di un paio di ore tra il Papa e il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kirill. Un segno del dialogo, che continua tra cattolici e ortodossi. Una tappa, questa, che in qualche modo arricchisce di significato il viaggio di Francesco in Messico. Il Papa arriverà nel Paese latino americano alle ore 19.30 locali. Il Pontefice, oltre a Città del Messico, toccherà il sud e il nord del Paese, percorrendo quasi 3.600 chilometri, di cui almeno 400 in papamobile.

© Avvenire, 12 febbraio 2016

 

Una nuova pagina nei rapporti tra le due chiese

L’«ecumenismo del sangue» fa dei cristiani una cosa sola

 

Crossroads in un incrocio rivelatore. Quello che conta soprattutto è trovarsi. Parlarsi vis-a-vis. E andare avanti. Amicizia trasparente e servizio comune. È la scommessa della nuova pagina nei rapporti tra la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica che si apre oggi nella sala d’attesa di un aeroporto sotto il sole dei tropici. È la fine della diffidenza e il colpo d’ala a ciò che da qui in futuro potrà scaturire nel segno della fraternità e dell’«ecumenismo del sangue», dove «l’unità è superiore al conflitto» e la questione delle sofferenze dei cristiani, della pace e della riconciliazione appaiono in primo piano in questo storico incontro tra il patriarca russo Kirill e papa Francesco a Cuba.

Per il metropolita Hilarion è stata proprio l’emergenza della difficile situazione dei cristiani creatasi oggi in Medio Oriente, in Africa settentrionale e centrale e in altre regioni del mondo, a dettare l’agenda. Da qui l’urgenza di una più stretta interazione tra le Chiese cristiane e quindi la decisione di realizzare a stretto giro un incontro da siglare con una congiunta dichiarazione, mettendo da parte antichi disaccordi, ostacoli di natura ecclesiale. Il concilio dei vescovi della Chiesa ortodossa russa, conclusosi a Mosca il 3 febbraio, aveva del resto esortato a fare del 2016 un anno di particolare impiego in questa direzione. Ma l’incontro non può essere rinchiuso e snaturato nelle posture strategiche di alta politica ecclesiastica. Né è da considerarsi un prodromico serramento di fila per stabilire ipotetiche 'sante alleanze' in sinergia con l’agenda mediorentale di Putin.

Spinte dalle urgenze e dalle complesse sfide del mondo globale, dall’emergenza della pace e della rispettosa convivenza religiosa e civile le Chiese entrano oggi, con questo incontro non formale, in una stagione di sostanziale riavvicinamento. E se la stretta da parte di Kirill accettata da Francesco appare nell’attuale contesto coraggiosa, considerata la difficoltà rappresentata dai recenti sviluppi in Ucraina e il relativo problema dell’uniatismo (principale nodo nelle relazioni tra le due Chiese e ostacolo alla realizzazione dell’incontro dei loro Primati), tanto più appare significativa se si considerano il lungo tempo di gestazione e il luogo odierno di realizzazione nell’'isola ponte'. Se è vero infatti che già negli anni 1996-1997 si sono tenuti intensi negoziati, poi svaniti, sulla organizzazione di un incontro del patriarca Alessio II con Giovanni Paolo II in Austria, è anche vero che da parte ortodossa non si voleva che l’incontro si svolgesse in Europa, dal momento che all’Europa è legata la pesante storia delle divisioni e dei conflitti tra cristiani.

«Un mondo nuovo per una nuova stagione di rapporti» ha dichiarato il russo Hilarion. Superato così da parte del patriarcato di Mosca il timore del 'proselitismo' cattolico in Russia e archiviato anche il timore di quello che chiamano 'il metodo dell’uniatismo', in particolare in Ucraina, le auspicate condizioni necessarie le ha date papa Francesco: non mettendo condizioni. Facendo sapere al patriarca Kyrill: «Io vengo. Tu mi chiami e io vengo, dove vuoi, quando vuoi», come dichiarava già il 24 novembre 2014 ai giornalisti durante il volo che lo riportava a Roma da Istanbul.

E proprio da qui si legge la prospettiva di questo incontro da parte di Papa Francesco. Egli ha aderito alle proposte che arrivavano da Mosca anche riguardo al luogo e alla modalità dell’incontro, come anche ai contenuti della dichiarazione comune che sarà sottoscritta dai due. Ma soprattutto egli ha aderito alla volontà dello Spirito di ristabilire quella comunione fraterna che è il grande segno che caratterizza i discepoli di Cristo. Papa Francesco ha ripetuto in più occasioni con parole inequivocabili quali sono le attese che lo animano rispetto ai fratelli delle Chiese ortodosse. Il 30 novembre 2014, in Turchia al Patriarca ecumenico Bartolomeo, disse che per giungere alla piena unità con i cristiani ortodossi la Chiesa cattolica «non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune».

Nel messaggio inviato al Patriarca ecumenico per la festa patronale di Sant’Andrea, il Papa ha ripetuto che tra cattolici e ortodossi «non vi è più nessun ostacolo alla comunione eucaristica che non possa essere superato attraverso la preghiera, la purificazione dei cuori, il dialogo e l’affermazione della verità». In una visione incentrata soprattutto sulla realtà dell’«ecumenismo in cammino», sono parole e incontri all’insegna del coraggio e della speranza, della pazienza e del sentire comune, che hanno fin qui segnato l’iter di Francesco con le diverse Chiese dei battezzati in Cristo. Mostrando come egli aveva annunciato e promesso all’inizio del suo pontificato, che l’impegno ecumenico fa parte delle priorità del suo ministero e come questo cammino trova sviluppo seguendo il Concilio Vaticano II. Con il quale l’ecumenismo, movimento irreversibile della Chiesa, ha smesso di essere mera diplomazia, strategia o adempimento forzato per trasformarsi, nell’orizzonte ecclesiale, in cammino essenziale, obbligo di ogni cristiano e «via imprescindibile dell’evangelizzazione».

Nel multiforme mondo contemporaneo, cattolici e ortodossi sono chiamati a collaborare fraternamente nell’annuncio della Buona Novella della salvezza «perché il mondo creda». E, quindi, insieme con la missione universale, sua gemella, è il cantiere futuro della Chiesa. Quello che si svolge dunque oggi a Cuba è un incontro di concordia non in opposizione a nemici esterni, ma frutto di «una comune conversione al Signore della pace e dell’unità», secondo quanto afferma l’Unitatis redintegratio, al numero 8. Da cui scaturisce l’ecumenismo spirituale e quella sua forma particolare chiamata da Papa Francesco «ecumenismo del sangue». Con tale definizione, egli si riferisce alla tragica realtà presentataci dal mondo odierno, in cui moltissimi cristiani sono vittima di massicce persecuzioni e le comunità cristiane sono diventate Chiese di martiri. Il martirio è ecumenico.

Nell’«ecumenismo del sangue» Papa Francesco vede il fulcro centrale di ogni sforzo ecumenico teso alla ricomposizione dell’unità della Chiesa. Poiché la sofferenza di tanti cristiani, siano essi cattolici, ortodossi o protestanti, costituisce un’esperienza comune più forte delle differenze che ancora dividono le Chiese cristiane. Il martirio comune dei cristiani è oggi «il segno più convincente» dell’ecumenismo come ha affermato nel discorso al Global Christian Forum, il 1 novembre 2015 riprendendo Giovanni Paolo II. E come la Chiesa primitiva era convinta che il sangue dei martiri fosse seme di nuovi cristiani, così il sangue dei martiri del nostro tempo si rivela seme di piena unità ecumenica del Corpo di Cristo. Perché nel sangue dei martiri siamo già una cosa sola.

Stefania Falasca

© Avvenire, 12 febbraio 2016

 

«Da Francesco e Kirill un messaggio al mondo»

 

I segnali premonitori c’erano stati. Ma neanche uno studioso esperto del mondo russo come Adriano Roccucci, ordinario di storia contemporanea all’università Roma Tre e autore di numerosi libri sulla materia (ad esempio Stalin e il Patriarca, Einaudi) poteva immaginare che l’incontro a lungo sognato da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si sarebbe realizzato così velocemente. «Certamente – dice – non mi aspettavo né la data né il luogo. Ma il fatto in sé era ormai maturo. Come è chiaro il messaggio per la Chiesa e per il mondo».

E in questa rapida maturazione è stato più determinante l’atteggiamento di Francesco o il cambiamento di clima all’interno del patriarcato?
Da un lato hanno avuto un ruolo importante l’atteggiamento di aperta disponibilità del Papa, la sua posizione riguardo al Medio Oriente, volta a sostenere le comunità cristiane e favorire itinerari di pace; come pure quella sul conflitto in Ucraina, con la necessità più volte espressa di una pacificazione. D’altro canto però anche all’interno del patriarcato russo ortodosso il clima è cambiato. Con l’avvento di Kirill, infatti, si è sentita l’esigenza di affermare con vigore il profilo più globale di una Chiesa che è uno dei principali soggetti del mondo cristiano e che vuole avere una interlocuzione con il Papa e con la Chiesa cattolica.

Lei accennava all’Ucraina. L’incontro potrebbe giovare alla causa della pace
in quella regione?
Credo di sì. Anche se la situazione è complessa e non è sicuramente la componente religiosa a essere la causa del conflitto. Il patriarca e i suoi collaboratori hanno avvertito una profonda lacerazione per quanto è avvenuto in Ucraina, poiché la Chiesa ortodossa ha i suoi fedeli da una parte e dall’altra della linea di combattimento. Di fronte al rischio che contrasti confessionali possano acuire il conflitto, l’incontro, favorendo il dialogo, non potrà non avere conseguenze positive.

Lei crede a un ruolo di Putin e del Cremlino nella preparazione di questo incontro?
No. Non c’è stato né un ruolo promozione, né di mediazione. Tutto è avvenuto nel solco dell’itinerario di riavvicinamento tra le due Chiese. Ma Putin e il Cremlino certamente guardano a questo incontro con favore e di certo non sono stati di ostacolo. Non bisogna dimenticare, infatti, che l’evento si colloca in una stagione di estrema difficoltà nei rapporti tra Occidente e Russia. Quindi l’incontro non potrà non indicare anche una strada di rinnovato dialogo tra due mondi così vicini, ma anche diversi e che debbono ritrovare le regioni, i modi, i contenuti di una loro relazione.

È corretto dire che in un certo senso questo incontro rompe l’isolamento della Russia?
Senza dubbio e in qualche modo questo è un colpo d’ala del patriarcato che come soggetto anche internazionale apre un ponte con il mondo occidentale.

È un messaggio anche per gli Stati Uniti?
Direi così: non è un incontro dai connotati politici immediati, ma ricorda al mondo che l’universo russo, e quindi anche la sua realtà statuale, costituiscono un soggetto fondamentale negli equilibri geopolitici globali. Un soggetto che non si può ignorare, che non è saggio isolare e con cui è necessario trovare delle piste di dialogo.

Ma in generale ha più influenza Putin sul patriarcato o il patriarcato su Putin?
Qui va fatta chiarezza. Nella rappresentazione mediatica spesso si indulge, riguardo alla Russia, sull’utilizzo facile e superficiale della categoria di cesaropapismo. O si ritiene la Chiesa una “marionetta” nelle mani dello Stato, oppure di guarda al patriarca come a una specie di “ideologo di corte”. In realtà il paradigma delle relazioni Stato-Chiesa in Russia è diverso da quello che si è sviluppato in Occidente. E ha il suo archetipo nella realtà della sinfonia: in pratica il potere religioso e quello politico sono visti come due organi distinti di un organismo unitario. In questo contesto tra patriarca e Putin non può non esserci un rapporto anche di collaborazione. Ma da qui all’idea di una soggezione dell’uno verso l’altro o viceversa ce ne corre. Sulle grandi questioni le posizioni possono essere convergenti, ma sempre all’interno di una dinamica non priva di elementi dialettici.

Ci aiuta a inquadrare la figura di Kirill?
Molto di lui dice innanzitutto la sua formazione, avvenuta alla scuola del metropolita dell’allora Leningrado Nikodim, uomo chiave nel patriarcato di Mosca negli anni ’60 e ’70, il quale sviluppò una serie di relazioni con la Chiesa cattolica, a partire dalla scelta di mandare osservatori sin dalla prima sessione del Concilio. Da lui Kirill ha maturato la consapevolezza del ruolo e della complessità della Chiesa di Roma nell’universo cristiano mondiale. Inoltre, come patriarca, egli ha scelto di proiettare la Chiesa ortodossa russa oltre i suoi tradizionali confini. È andato in Cina ed è stato ricevuto dal presidente Xi Jinping, ha visitato la Chiesa ortodossa di Polonia e incontrato la Conferenza episcopale del Paese, firmando una dichiarazione comune volta a indicare una via di riconciliazione tra il popolo russo e polacco.

Dunque è anche perfettamente coerente la scelta di un luogo di incontro come Cuba?
Sicuramente. I due primati guardano al mondo intero e sono consapevoli di essere a capo di Chiese non riducibili alla dimensione europea.

Mimmo Muolo

© Avvenire, 12 febbraio 2016

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