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Papa: "Se Dio è il Dio della vita, a noi non è lecito uccidere i fratelli"

"L'Iraq rimarrà sempre con me, nel mio cuore". Ad assicurarlo è stato il Papa, al termine della messa ad Erbil, momento conclusivo del suo viaggio, prima del ritorno a Roma di domani. Mosul, con la preghiera per le vittime della guerra, e Qaraqosh, per l'incontro con la più grande comunità a maggioranza cristiana, le altre tappe della terza giornata

“Ricostruire”: non solo le chiese e le case, ma anche i cuori. Senza scoraggiarsi e fuggendo ogni tentazione di odio, violenza, vendetta, ritorsione. Di fronte alle macerie della piazza delle quattro chiese di Mosul, che in una sola notte ha visto fuggire oltre 120mila cristiani, questo verbo appare come una chimera. Eppure è proprio da lì, in mezzo alle macerie lasciate dalla “tempesta disumana” dell’Isis, che Papa Francesco ha scelto di pregare per un futuro di pace e fraternità in Iraq, nel suo ultimo giorno di viaggio:

“Se Dio è il Dio della vita – e lo è –, a noi non è lecito uccidere i fratelli nel suo nome. Se Dio è il Dio della pace – e lo è –, a noi non è lecito fare la guerra nel suo nome. Se Dio è il Dio dell’amore – e lo è –, a noi non è lecito odiare i fratelli”.

Così il Papa ha introdotto la preghiera di suffragio per le vittime della guerra “in questa città di Mosul, in Iraq e nell’intero Medio Oriente”. “Ora preghiamo insieme per tutte le vittime della guerra, perché Dio Onnipotente conceda loro vita eterna e pace senza fine, e le accolga nel suo amorevole abbraccio”, le parole di Francesco: “E preghiamo anche per tutti noi, perché, al di là delle appartenenze religiose, possiamo vivere in armonia e in pace, consapevoli che agli occhi di Dio siamo tutti fratelli e sorelle”.

“Oggi, malgrado tutto, riaffermiamo la nostra convinzione che la fraternità è più forte del fratricidio, che la speranza è più forte della morte, che la pace è più forte della guerra”, ha ribadito il Papa tornando sul tema portante del viaggio.

“Il terrorismo e la morte non hanno mai l’ultima parola”, ha ripetuto anche a Qaraqosh, la più grande comunità irachena a maggioranza cristiana, incontrata nella cattedrale dell’Immacolata Concezione. Torna il verbo “ricostruire”, come consegna, unito a “ricominciare”: “Non smettete di sognare! Non arrendetevi, non perdete la speranza!”.

“Il perdono è necessario da parte di coloro che sono sopravvissuti agli attacchi terroristici”,

raccomanda Francesco facendo eco alle testimonianze di chi, come Doha, quel terribile 6 agosto 2014 ha perso suo figlio: “Il perdono è necessario per rimanere nell’amore, per rimanere cristiani”, la tesi del Papa: “La strada per una piena guarigione potrebbe essere ancora lunga, ma vi chiedo, per favore, di non scoraggiarvi.

Ci vuole capacità di perdonare e, nello stesso tempo, coraggio di lottare.

So che questo è molto difficile. Ma crediamo che Dio può portare la pace in questa terra. Noi confidiamo in Lui e, insieme a tutte le persone di buona volontà, diciamo

‘no’ al terrorismo e alla strumentalizzazione della religione”.

“Non stanchiamoci di pregare per la conversione dei cuori e per il trionfo di una cultura della vita, della riconciliazione e dell’amore fraterno, nel rispetto delle differenze, delle diverse tradizioni religiose, nello sforzo di costruire un futuro di unità e collaborazione tra tutte le persone di buona volontà”, l’appello al termine del discorso alla comunità di Qaraqosh, alla quale ha raccomandando ancora una volta “un amore fraterno che riconosca i valori fondamentali della nostra comune umanità, valori in nome dei quali possiamo e dobbiamo cooperare, costruire e dialogare, perdonare e crescere”.  Infine, un “grazie di cuore a tutte le madri e le donne di questo Paese, donne coraggiose che continuano a donare vita nonostante i soprusi e le ferite”: “Che le donne siano rispettate e tutelate! Che vengano loro date attenzione e opportunità!”.

“Costruire una Chiesa e una società aperte a tutti e sollecite verso i nostri fratelli e sorelle più bisognosi”,

senza cedere “alla tentazione di cercare vendetta, che fa sprofondare in una spirale di ritorsioni senza fine”. Dallo stadio di Erbil, capitale del Kurdistan  iracheno e tappa finale del suo viaggio, di fronte a 20mila persone, il Papa ha chiesto agli iracheni di essere

“strumenti della pace di Dio e della sua misericordia, artigiani pazienti e coraggiosi di un nuovo ordine sociale”.

“Comunità cristiane composte da gente umile e semplice diventano segno del Regno che viene, Regno di amore, di giustizia e di pace”, ha assicurato Francesco: “Il Signore ci promette che, con la potenza della sua Risurrezione, può far risorgere noi e le nostre comunità dalle macerie causate dall’ingiustizia, dalla divisione e dall’odio”.

“La Chiesa in Iraq, con la grazia di Dio, ha fatto e sta facendo molto per proclamare questa meravigliosa sapienza della croce diffondendo la misericordia e il perdono di Cristo, specialmente verso i più bisognosi”,

l’omaggio del Papa: “Anche in mezzo a grande povertà e difficoltà, molti di voi hanno generosamente offerto aiuto concreto e solidarietà ai poveri e ai sofferenti. Questo è uno dei motivi che mi hanno spinto a venire in pellegrinaggio tra di voi a ringraziarvi e confermarvi nella fede e nella testimonianza.

Oggi, posso vedere e toccare con mano che la Chiesa in Iraq è viva,

che Cristo vive e opera in questo suo popolo santo e fedele”. “Lavorare insieme in unità per un futuro di pace e prosperità che non lasci indietro nessuno e non discrimini nessuno”, il saluto finale sotto forma di imperativo, unito ad una rivelazione che è una certezza:

“L’Iraq rimarrà sempre con me, nel mio cuore”.

M. Michela Nicolais

© www.agensir.it, domenica 7 marzo 2021

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