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Paternità responsabile, pastorale in cammino

Il Papa parlando ai giornalisti sull’aereo che lo riportava a Roma dopo il viaggio nelle Filippine, ha riletto il tema della maternità e della paternità responsabili partendo dall’enciclica Humanae vitae di Paolo VI

Famiglia, nuove parole per la svolta pastorale. Dopo i fermenti di rinnovamento sparsi con la “fase 1” del Sinodo lo scorso ottobre, il Papa parlando ai giornalisti sull’aereo che lo riportava a Roma dopo il viaggio nelle Filippine, ha riletto il tema della maternità e della paternità responsabili partendo dall’enciclica Humanae vitae di Paolo VI. Non per attenuarne la portata o per ridefinirne il significato, ma per attualizzarne la traduzione pastorale. «Parole profetiche», ha sottolineato infatti Francesco. Un progetto che acquista nuova forza alla luce della nuova pastorale dell’accoglienza e della misericordia. Le indicazioni coraggiose di papa Montini sull’esercizio responsabile della maternità e della paternità, riproposte nella «Chiesa ospedale da campo», conservano intatta la loro portata controcorrente. Una forza di verità che oggi come allora si oppone, alla luce del Vangelo e della saggezza umana, alle menzogne di certa cultura dominante.

«È come un potente schiaffo a tutte le ideologie», argomenta don Paolo Gentili, direttore nazionale dell’Ufficio Cei per la famiglia, che rilegge le parole pronunciate da Francesco con un sentimento che sta a metà strada tra la leggerezza dell’entusiasmo e il peso della responsabilità. Entusiasmo perché quello che il Papa ha detto a proposito della paternità responsabile apre un dibattito importante, troppo a lungo sopito sotto una pesante coltre di silenzio e di indifferenza, spesso maturata anche nelle nostre comunità.
Le ideologie che Francesco addita come pericoli gravi, contro cui concentrare l’impegno e l’attenzione – spiega don Gentili – sono almeno tre. Quella del gender, innanzi tutto, che vorrebbe decomporre la famiglia dal suo interno, spostando i fondamenti antropologici dal piano della natura a quello dell’arbitrio culturale. Ma anche quella della famiglia “obbligatoriamente numerosa senza l’esercizio della responsabilità” o – al contrario – quella che vorrebbe un rifiuto pregiudiziale della generazione secondo una dissennata “cultura del benessere che anestetizza”. I tanti movimenti No kids, sorti soprattutto in area anglosassone e guardati con favore da certe frange radical–progressiste anche a casa nostra, dimostrano come il rischio dell’egoismo elevato a modello di vita sia sempre presente. E il peso della responsabilità? «Riguarda i nuovi percorsi pastorali incoraggiati e, anzi, resi ormai urgenti e irrinunciabili – prosegue il direttore dell’Ufficio famiglia –  dalla lettura delle parole di Francesco».

Si tratta di proposte capaci di mettere davvero al centro la responsabilità della coppia e della famiglia, sollecitando quella capacità dei coniugi di essere “soggetti pastorali” che deriva direttamente dal sacramento del matrimonio. La strada per arrivare a comporre questa sapiente integrazione pastorale  – che riprende le indicazioni dell’enciclica Humanae vitae e ne rilancia le grandi intuizioni con l’abbraccio della tenerezza accogliente che non teme di confrontarsi con ferite e fragilità – è quella della riscoperta del figlio come dono. E la responsabilità dell’accoglienza non deriva da un rispetto acritico di indicazioni che hanno il sapore di “posti di dogana” a cui mostrare un lasciapassare, ma dall’adesione intelligente a un progetto di vita che non guarda tanto alla rigidità della lettera, secondo le parole di san Paolo, quanto al dinamismo dello Spirito, al cuore e alla volontà condivisa di costruire un futuro di bene per tutti. In questa chiave sarebbe fuorviante pensare che parlare di maternità e di paternità responsabili equivalga alla bocciatura delle famiglie numerose.
Meno di un mese fa, parlando alle associazioni europee delle famiglie extralarge, era stato lo stesso Francesco a dire: «In un mondo segnato dall’egoismo siete scuola di solidarietà e di condivisione». Il no alle «famiglie coniglio», secondo la colorita espressione del Papa, va quindi inteso come un richiamo, tanto più efficace per l’immediatezza del linguaggio, alla ricerca di un equilibrio più consapevole nell’esercizio della sessualità coniugale che dev’essere sempre commisurata – come indicato anche da Paolo VI – ai processi biologici, alla naturale attrattiva erotica, alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali. La parola della Chiesa non è un codice da rispettare con minacce sanzionatorie, ma un invito alla riscoperta della nostra umanità più autentica, che è poi la verità iscritta dal Creatore nel profondo del cuore. «Accompagnare le coppie a riscoprire questa verità – osserva ancora don Gentili – significa riprendere in mano senza moralismi quella legge della gradualità che anche Giovanni Paolo II aveva indicato nella Familiaris consortio e che purtroppo non abbiamo avuto la forza e le possibilità di tradurre in prassi pastorale». In altre parole, secondo le indicazioni più volte ribadite da Francesco, vuol dire prendere per mano le coppie senza giudicare il loro stato di vita ma cogliendo il positivo esistente in ogni relazione tra uomo e donna fondata su responsabilità, progettualità e rispetto reciproco. Siamo davvero ad una svolta? «Basterebbe rileggere l’impianto delle 47 domande diffuse nel questionario in vista del Sinodo ordinario del prossimo ottobre – conclude don Gentili –  per rendersi conto che il cammino avviato ha un suo svolgimento razionale. Quello che il Papa ha detto l’altro ieri è la conferma di un progetto che aiuterà tante famiglie a ritrovare la via del Vangelo».

Luciano Mola

© Avvenire, 20 gennaio 2015

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