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Per il Concilio panortodosso ora la strada è tutta in salita

Da domenica a Creta l’assemblea attesa da oltre un millennio. La defezione di Mosca ridimensiona un evento storico

Un cammino di preparazione lungo e tormentato. Una vigilia elettrica. Il rischio concreto del fallimento. A due giorni dalla sua apertura, il Concilio panortodosso di Creta è una grande incognita. Di sicuro lo scenario è molto diverso da quello disegnato a gennaio nella 'Sinassi' (la riunione dei primati delle Chiese) di Chambesy, dove venne decisa la sede, l’isola greca appunto, e la data, dal 19 al 26 giugno. Se quella emersa in Svizzera era l’immagine di un Oriente cristiano che pur tra mille differenze desiderava unitariamente interrogarsi sulla propria salute spirituale e dialogare con un’umanità che sembra aver smarrito il senso di Dio, oggi la cronaca è popolata soprattutto da distinguo, impuntature e rivendicazioni di autonomie. E non è molto distante dalla realtà chi pensa che senza la tenacia lungimirante di Bartolomeo I, la sua volontà di andare oltre i particolarismi, le assise sinodali neppure si terrebbero. «Il Santo Grande Concilio è la nostra sacra missione», ha detto il patriarca ecumenico di Costantinopoli arrivando a Creta. «Cinque mesi fa – ha aggiunto – abbiamo preso una decisione e abbiamo apposto le nostre firme su di essa: dovevamo venire a Creta in giugno per realizzare questa visione perseguita nel corso di molti anni: tutte le nostre Chiese desiderano, dichiarano e proclamano l’unità della nostra Chiesa ortodossa. E vogliono esaminare i problemi che riguardano il mondo ortodosso per risolverli insieme».

Parole che al di là della forma pacata, sono la fotografia di un cammino tutto in salita e insieme l’auspicio che chi ha annunciato la propria defezione possa, seppure in extremis, ripensarci. A tutt’oggi, in assenza del richiesto rinvio, hanno deciso di disertare il Concilio le Chiese di Antiochia, Bulgaria, Georgia e, soprattutto, Russia, che da sola vanta la giurisdizione su oltre la metà dei cristiani ortodossi. Sarebbe però ingeneroso accusare Mosca di aver boicottato il cammino di preparazione. Più semplicemente, forte della propria leadership, per così dire territoriale e politica, il patriarcato ortodosso russo non si è speso più di tanto per salvaguardarlo, motivando la propria assenza con questioni regolamentari già note, ma che nascondono ragioni più profonde. Mosca sa infatti che da Creta, cioè da un’assemblea che si muove attorno a documenti già scritti e approvati, in qualche modo blindati, non potrà avere risposte ai problemi che stanno ai primi posti della propria agenda ecclesiale, come la conferma dell’autorità sulla Chiesa in Ucraina o il riconoscimento da parte di Costantinopoli dell’autocefalia della Orthodox Church of America.

Al tempo stesso manca al patriarcato, il cui leader Kirill ha subito critiche, anche severe, per le aperture a papa Francesco, quella visione d’insieme, quello sguardo davvero ecumenico, che per motivi personali, storici e anche di risicata consistenza numerica, è propria di Costantinopoli. Al desiderio di Bartolomeo I di andare oltre gli eccessi del tradizionalismo, di avere un ruolo da protagonista nel mondo globalizzato bisognoso più che mai di un’anima religiosa, di un afflato spirituale, Mosca oppone il rafforzamento della propria leadership sul 'mondo russo', il rinsaldamento della propria presenza nello scacchiere geopolitico, la ricerca di nuovo modo di vivere, di un nuovo orizzonte per l’antico, legittimo, nazionalismo.

«Tutte le Chiese devono partecipare al Concilio panortodosso – ha spiegato lo scorso 13 giugno il metropolita Hilarion, responsabile del Dipartimento per le relazioni esterne del patriarcato ortodosso russo – e solo in questo caso le decisioni prese a Creta saranno legittimate». Detto in altro modo, meglio «rimandare» l’appuntamento «che fare le cose in fretta». Perché un Concilio non può essere panortodosso «se non partecipa l’una o l’altra Chiesa locale». A questo proposito il lungo comunicato diffuso dal patriarcato ortodosso russo il 13 giugno parla di un’assemblea sinodale che in futuro dovrà riunire tutti i vescovi delle Chiese e fa riferimento alla necessità di ridiscutere i documenti preparatori del Sinodo. Evidente il richiamo ad analoghe richieste arrivate da Bulgaria, Antiochia e Georgia, le cui assenze hanno peraltro motivi per ciascuna differenti. In particolare la defezione della Chiesa ortodossa di Antiochia, che comprende Siria e Libano, con fedeli per la maggior parte fuori dai territori canonici, si motiva con l’eccessiva rigidità del regolamento conciliare, ma in profondità richiama problemi di giurisdizione con Gerusalemme. Più sfumata la posizione della Serbia, il cui patriarca Irinej, pur partecipando al Concilio, ha chiesto che si tenga conto delle opinioni delle Chiese assenti, pena l’abbandono dei lavori. Il Concilio – sottolinea una nota – «non può essere ostaggio di regole stabilite e accettate in anticipo». Il riferimento, ancora una volta, è ai documenti preparatori, sui quali i partecipanti non potranno intervenire, fatta eccezione per il messaggio finale. Si tratta di un’agenda in sei punti: «La missione della Chiesa ortodossa nel mondo contemporaneo», «La diaspora ortodossa», «L’autonomia e il modo di proclamarla», «Il Sacramento del matrimonio e i suoi impedimenti», «L’importanza del digiuno e la sua osservanza oggi», «Le relazioni della Chiesa ortodossa col restante mondo cristiano». Una visione panoramica sul cristianesimo d’Oriente da cui, rispetto alla bozza originaria presentata a Chambesy, sono stati eliminati i criteri per la concessione dello status canonicoecclesiologico dell’autocefalia e l’aggiornamento dei vari calendari non concordanti nel mondo ortodosso.

«Principale scopo e importanza di questo Sinodo – scrive Bartolomeo I nell’enciclica diffusa lo scorso marzo – è di dimostrare che la Chiesa ortodossa è la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, unita nei Misteri e naturalmente nella Divina Eucaristia e nella fede ortodossa, ma anche nella sinodalità». Ovvero «i tempi sono critici e l’unità della Chiesa deve costituire l’esempio di unità della umanità, lacerata dalle divisioni e dai conflitti». Questo lo scenario nel quale, idealmente, il patriarca ecumenico di Costantinopoli, primus inter pares tra i patriarchi, ha voluto collocare la sua guida del Sinodo, evento atteso da oltre un millennio, tappa finale di un cammino iniziato più di cinquant’anni fa per impulso dell’allora patriarca Athenagoras. Il via, preceduto oggi da una piccola ma importante 'Sinassi' dei primati, sarà domenica prossima, durante le celebrazione della Pentecoste ortodossa. E davvero ci sarà bisogno dello Spirito Santo per far sì che le diverse anime presenti a Creta riescano a capirsi, parlino la stessa lingua. Un avvenimento, il Concilio, cui la Chiesa cattolica guarda con attenzione e interesse, nella preghiera condivisa, con partecipazione fraterna, ecumenica. Consapevole che il suo esito avrà effetti anche sulla salute, sull’andamento del dialogo interconfessionale. E in qualche modo sul cammino delle riforme avviate da papa Francesco. Che proprio l’unità e la sinodalità secondo il modello ortodosso ha posto al centro della sua 'rivoluzione'.

Riccardo Maccioni

© Avvenire, 17 giugno 2016

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