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Primo non sprecare cibo: sotto accusa i consumi domestici

Domani in Italia Giornata di prevenzione dello spreco alimentare. Presentato a Roma, presso la Fao, il rapporto dell’Osservatorio nazionale Waste Watcher. Intervista al presidente Andrea Segrè, agroeconomista dell’Università di Bologna

Gli sprechi alimentari oltre che immorali e insensati pesano fortemente sull’economia italiana. Lo dimostrano i dati diffusi dall’Osservatorio sui rifiuti Waste Watcher alla vigilia della VI Giornata contro lo spreco alimentare, promossa dal Ministero dell’Ambiente in collaborazione con l’Università di Bologna. Il rapporto è stato presentato oggi nell’ambito del Convegno “Spreco Zero, Fame zero: coltivare le buone pratiche”, ospitato dalla Fao, l’organizzazione dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura. Un’iniziativa promossa, sotto il motto "primo non sprecare",- nell’ambito della Campagna europea di sensibilizzazione “Spreco Zero” 2019.

Ogni cittadino butta in media 39 chili di cibo l’anno

Cresce la coscienza nei cittadini ma resta alto il livello di spreco alimentare soprattutto nelle famiglie. Nel rapporto di Waste Watcher 2014 risultava che 1 italiano su 2 gettava cibo nella spazzatura quasi ogni giorno mentre cinque anni dopo solo l’1 per cento lo fa quotidianamente, effetto della sensibilizzazione al tema degli sprechi. Ma la quantità di cibo sprecata nelle case è ancora di 36 chili l’anno pro-capite, una cifra tanto più grande dei quasi 3 chili di alimenti persi nella produzione e distribuzione. In totale mediamente circa 39 chili per ogni cittadino nel 2018.

Massima parte degli sprechi avviene nelle famiglie

Lo spreco, lungo la filiera, è imputabile solo in parte minore alla produzione in campo (5,5%), all’industria (7%) e alla distribuzione (8,6%), mentre massima parte si deve al comportamento delle famiglie convinte al contrario che la colpa ricada in massima parte sul commercio e sugli sprechi pubblici di scuole, uffici, ospedali, caserme. Ma sono invece le pattumiere casalinghe a raccogliere anzitutto scarti ed avanzi di verdure, latte e latticini, frutta, pane e altri prodotti da forno, pasta, riso e cereali. E se andiamo alle motivazioni, in testa è il cibo buttato perché non consumato in tempo, ammuffito, scaduto, avariato (45%), o scartato per motivi personali di non gradimento (25%) o cucinato, preparato, servito in eccedenza (18%).

15 miliardi di euro di perdite economiche nel 2018

In termini economici lo spreco alimentare domestico si traduce in 196 euro l’anno a persona. Un dato che esteso all’intera popolazione italiana è pari a quasi 12 miliardi di euro, cui va aggiunto lo spreco alimentare nella produzione e distribuzione pari a circa 3 miliardi di euro. In totale oltre 15 miliardi di perdita economica per il Paese.

Serve una svolta culturale a livello domestico

“Ciò che occorre – ha spiegato Andrea Segrè, presidente di Waste Watcher e fondatore della Campagna Spreco Zero - è una grande svolta culturale nella gestione del cibo a livello domestico”. “La prevenzione degli sprechi alimentari – ha aggiunto l’agroeconomista, docente all’università di Bologna - deve partire da noi, nel quotidiano delle nostre vite, perché mangiare è un atto di giustizia e di civismo: verso noi stessi, verso gli altri, verso il mondo. I paradossi del cibo sono evidenti: 821 milioni di individui sulla terra soffrono la fame e 1 persona ogni 3 è malnutrita. Ma intanto una persona su 8 soffre di obesità. Tutti possiamo dare il nostro contributo all’obiettivo #famezero #sprecozero – ha osservato ancora Segrè - acquistando solo ciò che serve realmente, compilando liste precise che non cadono nelle sirene del marketing, scegliendo alimenti locali e di stagione basati sulla Dieta Mediterranea, consultando etichette e scadenze, utilizzando al meglio frigo, freezer e dispensa per gli alimenti senza stiparli alla rinfusa”.

Ascolta l'intervista ad Andrea Segrè
 

Gli sprechi alimentari oltre che immorali e insensati pesano fortemente sull’economia italiana. A che punto è la sensibilizzazione delle famiglie italiane, perché sono proprio loro le principali imputate degli sprechi alimentari….

R. – Oltre il 50 per cento di ciò che si getta via nella filiera avviene a casa nostra per mancanza di conoscenze, per inconsapevolezza, però la situazione sta migliorando, nel senso che l’ultima rilevazione ci dice che gli italiani, due su tre, dichiarano di stare attenti agli sprechi alimentari e nella classifica degli sprechi, gli alimenti sono al primo posto. Quindi vuol dire che la campagna di sensibilizzazione - e, aggiungiamo, anche un po’ la crisi - ci rende tutti più attenti.

Come mai c’è la percezione diffusa che le maggiori responsabilità degli sprechi risiedano nella grande distribuzione...

R. – Perché nella grande distribuzione si promuove l’azione di recupero, perché qualche eccedenza c’è, peraltro sempre di meno ed è una percentuale molto ridotta. Il supermercato, l’ipermercato, è lì per vendere non per gettare via i prodotti. Gli imputati non sono gli attori della filiera agroalimentare, non c’è nessun imputato. Dobbiamo essere tutti più consapevoli che fra recupero e prevenzione dobbiamo arrivare a un sistema più sostenibile, perché è questo che poi ci chiedono le Nazioni Unite e ci chiedono gli obiettivi del millennio. Non è un caso che abbiamo voluto celebrare l’anteprima della Giornata nazionale contro lo spreco  alimentare proprio alla Fao.

Quali proposte pratiche per migliorare il livello di responsabilità dei cittadini, partire dalla scuola o che altro?

R. – L’insistenza, ormai da tanti anni, di inserire nei programmi scolastici l’educazione alimentare e ambientale, come se fossero un capitolo dell’educazione civica o alla cittadinanza, come si dice oggi, è proprio il segnale che noi vorremmo maggiore consapevolezza a partire dai più giovani. Devono capire loro, dobbiamo capire tutti, che il cibo ha valore, che se usiamo l’acqua, se usiamo l’energia, se usiamo la terra per produrre gli alimenti queste sono delle risorse naturali limitate. Il Creato ha dei limiti e dobbiamo rispettare i tempi e quando parliamo di sostenibilità significa usare al meglio le risorse, che abbiamo a disposizione, nel tempo.

Può avere anche un peso importante diffondere i dati economici di danno all’economia del Paese?

R. – Io credo di sì, senza fare allarmismi perché non è il caso di farne, però la stima che abbiamo fatto è che il valore di ciò che si butta via, fra perdite e spreco, anche a casa, si aggira a un punto percentuale del nostro Prodotto interno lordo. E’ un dato significativo, che peraltro non tiene conto di quanto poi ci costa smaltire la spazzatura. Infatti, se parliamo di spreco, quindi cibo ancora buono che diventa rifiuto e che dobbiamo smaltire, questo ha un costo economico ma anche ecologico, nel senso che inquina. Poi, a monte c’è il costo nascosto che dicevo prima delle risorse naturali: il suolo, l’acqua, l’energia. Non ha veramente senso. Questo dato economico che si aggira intorno ai 15 miliardi di euro ci fa capire che è il caso di fare qualcosa!

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

© www.vaticannews.va, lunedì 4 febbraio 2019

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