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Quel Paradiso un po' meno molleggiato

Al netto di tutte le altre stupidaggini di Sanremo, e spernacchiato come si merita Celentano, non è che la domanda su come raccontare l'Aldilà potremmo porcela sul serio?

Scala-per-il-paradiso.jpgSul caso Celentano Vino Nuovo ha già dato in anticipo: basta rileggere quanto scriveva Gerolamo Fazzini il 2 febbraio. E anche dopo il monologo dell'altra sera crediamo che ben poco si possa aggiungere a quanto altre voci ben più autorevoli delle nostre hanno detto ieri riguardo alla vergogna di sfruttare un palco del genere per insultare e pretendere di ridurre al silenzio due voci come Avvenire e Famiglia Cristiana.

Però anche nei deliri più squinternati, a volte, scappa fuori una parola che può diventare uno spunto per qualche riflessione. Ed è con questo spirito - e con l'intenzione dichiarata di andare decisamente oltre il personaggio Celentano - che provo a tornare anch'io sulla vicenda che ha monopolizzato l'attenzione del mondo cattolico nelle ultime ventiquattr'ore. Non senza prima aver ribadito che sono orgoglioso di aver lavorato per anni ed essere tuttora tra i collaboratori di un quotidiano che lui liquida come «inutile»...

Sinceramente, però, a me di tutto quello che Celentano ha detto è rimasto impresso soprattutto il riferimento al Paradiso. E quell'invito ai preti e ai frati (ma perché mai solo loro?) a parlarne di più. Così mi sono detto: ma non è che il nodo sta davvero qui? Non è che questo principe della chiacchiera da bar ammantata di profezia, sta toccando comunque un nostro nervo scoperto? Non l'ho pensato solo io: in questa direzione, ad esempio, andava anche questo commento a caldo scritto sul suo blog da don Dino Pirri e che già ieri abbiamo rilanciato nella nostra pagina su Facebook.

Così mi viene da dire: al netto di tutte le altre stupidaggini sanremesi, dopo aver spernacchiato come si merita il molleggiato e protestato con questa Rai ipocrita, non è che la domanda su come raccontare all'uomo di oggi il Paradiso potremmo porcela sul serio? Perché purtroppo è vero che sull'annuncio delle realtà ultime facciamo tutti una gran fatica. Che l'Aldilà è il «fine vita» su cui tendiamo a parlare di meno. Non penso alle prediche degli altri. Dico piuttosto che da giornalista cattolico ho ben presente la mia difficoltà a imbastire una pagina che contenga qualcosa di non banale quando arriva il 2 novembre. Perché non è affatto facile (anche se non è vero che non ci sia chi ci prova e con risultati a volte molto interessanti). Anche noi il tema della morte e della vita eterna tendiamo a rimuoverlo, un po' come tutti gli altri oggi. E il risultato è che restiamo ancorati a un'immagine infantile del Paradiso. A metà strada tra gli spot della Lavazza e uno spiritualismo in salsa new age.

Così ieri ho provato a rileggermi il capitolo del Catechismo della Chiesa cattolica che parla della vita eterna (sono i numeri dal 1020 al 1065). Intanto ho notato una cosa che non mi ricordavo: proprio consapevole delle tante visioni sbagliate che la parola Paradiso oggi può evocare, il Catechismo preferisce chiamare questa pienezza di vita «il cielo». Non oso pensare che cosa dirà Celentano il giorno che se ne accorgerà... Soprattutto, però, il Catechismo è estremamente chiaro nello spiegare il legame tra l'orizzonte ultimo e l'impegno nelle cose terrene: il cristiano non è uno che si consola dicendo che tanto poi si sistemerà tutto in Paradiso. Questo era l'atteggiamento propagandato da una visione sbagliata della religione, in cui il sacro serviva essenzialmente a non disturbare il potente di turno. La fede annunciata da Gesù Cristo è esattamente l'opposto: un Regno che è vicino e comincia già adesso. E chiede a ciascuno di contribuire a costruirlo. «L'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente», si legge nel Catechismo (1049).

Ecco, allora, perché c'è assolutamente bisogno di tornare a parlare dell'Aldilà. Perché altrimenti passa sì l'idea che si tratti di quella cosa che ti permette di indorare la pillola «dello spread, dell'economia o delle guerre»; l'ideale per consolarsi pensando che si può comunque stare tranquilli, perché alla fine andrà tutto bene. Invece abbiamo bisogno di ritrovare l'Aldilà proprio per guardarci allo specchio e cominciare a cambiare. Non solo ciascuno individualmente, ma anche tutti insieme, come questa crisi che stiamo attraversando ci invita ogni giorno di più a fare. E - guarda un po', caro Adriano - proprio in forza di questo un quotidiano o un settimanale cattolico non possono non occuparsi anche di politica...

Discorsi troppo alti per un cantante bollito che sbarella sul palco di Sanremo? Probabilmente sì. Ma che ci costa - una volta messi i necessari puntini sulle i - provare a prenderli anche un po' sul serio?

Giorgio Bernardelli

© www.vinonuovo.it, 16 febbraio 2012

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